Premio Racconti nella Rete 2023 “La PARTENZA. Il coraggio di cambiare” di Paola Cavazzini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023
La PARTENZA – Si immerse in quel fiume di corpi, di voci e di grida, in mezzo a un crogiuolo di esseri umani che come lui avevano una valigia e un fagotto di viveri per il viaggio. |
Per tutta la notte non aveva chiuso occhio. Il ticchettio della sveglia lo aveva accompagnato nel suo dormiveglia, si era alzato più volte e spinto dalla smania di vedere il cielo e guardare la città dormire, si era anche affacciato alla finestra. Da quella di cucina vedeva la strada semi illuminata dalle lampade e la collina che scendeva in basso immersa nel buio. Con i gomiti appoggiati sulla pietra grigia del davanzale spaziava tutto l’orizzonte: riusciva a distinguere bene le sagome dei palazzi con i loro comignoli, gli alberi dalle forme tutte diverse tra loro e in fondo, sul mare, a destra dell’insenatura, la luce della lanterna. L’aria fresca della notte le fece correre un brivido fino ai piedi scalzi sul pavimento lasciò la persiana aperta, richiuse la finestra e tornò a letto, appoggiò le braccia dietro la testa e iniziò a fissare un filo di luce che penetrato dalla persiana, rifletteva nello specchio del cassettone e proiettava nella camera un gioco di luci e ombre sia sulla parete sia sul soffitto e passò in rassegna tutta la stanza, ormai non avrebbe più dormito. La fioca illuminazione era sufficiente a far risaltare nella penombra i mobili e alcuni oggetti. Subito esaltava il candore del centrino, ricamato a gigliuccio, sopra il marmo grigio del cassettone dove scandiva rumorosamente i minuti la sveglia, rotonda, con l’interno bianco e grossi numeri neri. All’anta semi aperta dell’armadio di legno scuro aveva appeso il suo cappotto nero che si sfiorava il lavamano con il catino, la brocca e l’asciugamano ricamato a mano da sua moglie. Sulla sedia aveva preparato i pantaloni, la camicia e la ciacca di lana e accanto, sul baule, aveva adagiato la valigia, legata ben stretta con la corda con sopra il suo cappello nero e sul comodino c’ erano il fazzoletto di stoffa e l’orologio appoggiati sul centrino dello stesso coordinato di quello sul cassettone. Accanto a lui i capelli neri di sua moglie, distesi sul guanciale fino sotto le lenzuola, erano davvero belli, lucenti e ben spazzolati, tutte le sere, prima di coricarsi li scioglieva e li spazzolava. Accanto al letto dormiva, con le guance bianche e rosa, la loro bambina in una piccola culla di legno adagiata in soffici copertine e lenzuolini ricamati e, appesa sopra il letto, vegliava su tutta la famiglia la Madonna col bambino, regalo di nozze di sua zia Teresa.
Pensava che stesse dormendo e invece Dora se ne stava in piedi dietro di lui, sconvolta, con i piedi scalzi, in camicia da notte, con la faccia impaurita perché capiva che stava arrivando il momento. In uno stato semi incosciente lo seguiva ovunque e gli andava dietro ora piangendo ora singhiozzando, lo osservava con l’aria persa mentre si lavava, mentre si vestiva, ma solo nel momento in cui s’infilava il cappotto e il cappello, solo allora capiva che non poteva più fermarlo. Le parole non le uscivano più dalla bocca e il cuore le batteva forte nel petto. S’immaginava da sola con la loro piccola principessa, con il frutto del loro amore, confortata dai parenti e amici, a dover trascorre la sua vita consumata nella pena di attendere una lettera dal proprio uomo per avere notizie della sua salute e del suo ritorno. Sarebbe stata disposta perfino a raggiungerlo con la loro creatura pur di non affrontare da sola gli eventi futuri. Si stringevano forte, si baciavano, si accarezzavano e si parlavano sottovoce Era il momento di terminare questo strazio, di affrontare la realtà, di afferrare la valigia e infilarsi al polso il fagotto, di sparire oltra la soglia della porta dopo un’ultima occhiata intorno.
Gianni aveva voglia di passare da piazza Nuova. Voleva sedersi accanto ad uno dei due grandi leoni che facevano la guardia ai piedi della scalinata. Felice come un bambino adagiò sui gradini in pietra la valigia e il fagotto mentre i suoi pensieri andavano alla moglie e alla sua piccola creatura lasciate a casa. Gli tornavano in mente le immagini del giorno in cui vide per la prima volta Dora. Com’era giovane e bella, alta e slanciata, era dolce, ben educata e con un modo di fare garbato. Era giovane anche lui e pieno di coraggio per imparare un mestiere e cambiare vita. Veniva dalle campagne di un piccolo paese al di là dall’Appennino. Aveva trovato una stanza a poco prezzo in un palazzo vicino al centro, proprio dove lavorava e viveva la donna che sarebbe divenuta la sua futura moglie. Aveva trovato lavoro come calcinaio in una compagnia di muratori e scalpellini e aveva persino imparato il dialetto. Ricordava i suoi genitori, la sua vecchia casa, la campagna e il paese con tutte le sue genti. Nei giorni di festa, a turno, accendevano il camino in una casa per cucinare nel forno tutte le pietanze e tutti andavano in quella casa, seguendo un ordine, per cuocere le proprie pietanze. Vedeva le immagini delle donne che, con le maniche tirate su, i grembiuli e i capelli raccolti, impastavano le farine e davano forma ai lievitati per trasformarli in dei croccanti fili di pane, alla pasta, agli arrosti e ai dolci. Gli uomini si aiutavano a lavorare nei campi, a macellare il maiale e preparare gli insaccati con grande maestria. D’estate stavano tutti fuori sull’aia a giocare e la sera gli anziani stavano a veglia a parlare tutti insieme, a giocare a carte e bere un bicchiere di vino.
I rintocchi della campana raccolsero tutti i suoi pensieri, una pacca alla criniera leonina e via, pronto per immergersi in quel dedalo di stradine e viuzze. Ogni angolo era davvero caratteristico e ogni vico, tra salite e discese, tra sdruccioli e scalini, portava a una piazzetta, a una chiesina o racchiudeva tra le antiche mura un palazzo o un monumento. Quanto gli piaceva stare con la testa rivolta in alto, col naso all’insù, a osservare la trama di fili dei panni attaccati da palazzo a palazzo, da finestra a finestra, su anche fino agli ottavi piani dove, guardando bene, si riusciva a scorgere un pezzetto di cielo. Le lenzuola, i pantaloni, le maglie appesi a quei filari e alle inferriate delle finestre sopra di lui, sembravano stendardi a festa e segnavano la strada lungo tutto il percorso. Di giorno i vicoli erano un brulichio di bambini che giocavano in strada, di donne che dalle finestre parlavano tra loro, di uomini con i carretti carichi di ogni merce che tagliavano da lì per raggiungere le altre vie. Per terra restavano i segni di una giornata vissuta, resti di paglia, di corda, di legna, cappelli perduti, escrementi di cani randagi e di asinelli trainati a forza con il loro carico pesante. Gianni riusciva a cogliere i piccoli tesori e tutti quei particolari che solo a quell’ora si potevano scorgere nel vicolo. Lo attraeva un bassorilievo in ardesia vicino al portone marrone, raffigurava una barca e dei pescatori con le reti, su l’angolo con un piccolo vicolo una madonnina in una nicchia con dei fiorellini freschi. Più avanti un bel palazzo antico, anche se un po’ in decadenza, aveva in alto nella parete davanti una piccola immagine votiva a protezione della casa. Un gatto attraversava a passo svelto, con la scarna pancia quasi schiacciata a terra e si andava a infilare in una crepatura di un portellone, mentre sopra al muro di un cortile altri gatti digrignavano i denti e soffiavano al suo passaggio. Le finestre non avevano le persiane ma gli scurini al vetro e quindi poteva notare la luce all’interno dove qualcuno si era già alzato per andare al lavoro e dall’ultimo piano di un palazzo un neonato piangeva, era una bambina, alla finestra erano stesi dei vestitini rosa.
Il sole che si affacciava piano piano da levante gli scaldava la faccia, il mare era piatto e l’aria odorava di pesce fresco e salsedine; le barche dei pescatori, ormeggiate, avevano già scaricato il loro pescato e ovunque c’erano ceste di acciughe e sardine, cassette di seppie, salpe, cicerelli e saraghi con la livrea e argentata che riflettevano la luce mattutina. I gabbiani camminavano tranquilli sulla banchina, alcuni svolazzavano intorno alle piccole imbarcazioni e stridevano come per annunciare il bottino di pesce appena arrivato. La banchina era piena zeppa di gente. Ovunque c’erano carretti parcheggiati e pronti per essere scaricati, di carrozze, di merci, di casse e di botti di legno ammassate per terra pronte per essere trasportate sulle navi, di cataste di reti da pesca e corde. Si immerse in quel fiume di corpi, di voci e di grida, in mezzo a un crogiuolo di esseri umani che come lui avevano una valigia e un fagotto di viveri per il viaggio. Vicino a un muretto una donna, sola, seduta su una cassetta di legno teneva nella sua lunga veste un neonato avvolto in una coperta. Aveva intorno a sé i suoi panni, legati ben stretti con le corde, e una cesta di paglia coperta da uno strofinaccio che faceva intravedere del il cibo e da una vecchia valigia logorata dal tempo. Vicino a lei c’erano altre donne, con delle coperte annodate a forma di sacco per contenere quei pochi vestiti e oggetti personali. Erano vestite malamente con delle lunghe sottane usurate e la pezzola in testa e tenevano sulle ginocchia dei bambini infagottati in panni che non erano più della loro taglia. Poco più in là alcuni uomini fumavano e parlavano tra loro e dei bambini dormivano in terra, soli, con i loro fardelli. Si fece un po’ di spazio intorno a sé perché aveva sentito i carrettieri gridare a squarciagola di fare largo per passare. I carretti e cavalli erano costretti ad avanzare lentamente tra la folla col terrore di investire qualcuno. Come sempre le operazioni si svolgevano in mezzo ai passeggeri, i loro bagagli e i familiari accalcati sulla banchina, creando così intralcio ai lavoratori e alle attività portuali. Gianni si mise in fila, e piano piano con la mente colma di pensieri e il cuore che batteva forte si avvicinava alla scaletta per salire a bordo. I suoi occhi non trattenevano più le lacrime mentre la terra ferma, ormai lontana, era soltanto una linea e i gabbiani, che seguivano la scia del piroscafo, annunciavano l’inizio del mare aperto. Genova era ormai troppo lontana.
Un lungo addio – si spera un arrivederci – descritto in tempo reale: è come essere nella testa e nel cuore del protagonista. E il finale, come un epitaffio, davvero toccante.
E ce ne costa a lacreme…sta America…!!!
Bravo!
Sorry…Brava!
Efficace descrizione dei carruggi e racconto emozionante.Complimenti