Premio Racconti nella Rete 2023 “Il primo bagno” di Gianpaolo Chieffi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Abelos ascoltava il suo canale radio preferito che trasmetteva l’hit parade di fine anno 2199. Gliel’aveva consigliato uno dei Pittori, lo sparuto gruppo di adolescenti che frequentava da qualche mese dopo la scuola. Stava per attraversare la strada quando una forza invisibile lo bloccava. Si sfilò le cuffiette e dal semaforo fuoriusciva una voce robotica “Profilo inesistente, prego abbonarsi e ricaricare”. “No! Un alto impianto con le strisce a pagamento” il ragazzo strinse le mani a pugno. Espirava con forza aria dalle narici come uno di quei tori durante le gare che una volta avevano luogo nelle arene. Scaricata la frustrazione riprese il suo cammino sul marciapiede che costeggiava un prato confinante degli orti urbani. Faceva caldo, molto caldo. A causa di quell’imprevisto fu costretto ad allungare il suo tragitto di un paio di chilometri. La sua destinazione distava solo pochi passi in linea d’aria e si trovava dietro a un padiglione di alberi e piante che dava ristoro ai suoi concittadini in quegli afosi pomeriggi autunnali.
“Abelos!” Dall’altra parte della strada un ragazzo alto con una gobba lievemente accennata urlava il suo nome. “Hey dico a te, Imbianchino!” Il suo capo era cinto da una sottile fascia illuminata su cui scorrevano simboli incomprensibili e che gli copriva gli occhi “Vieni che ti ricarico l’Abaco!” gli disse ticchettando le dita sul visore facciale non riuscendo a trattenere una risata roca. Quella attraversò la strada fino alle orecchie di Abelos schivando le unità mobili Pegaso che lievitavano ad alta velocità a due dita dal suolo. “Serse, che idiota” mugugnò Abelos scuotendo il capo mentre estraeva dal suo zainetto un berretto bianco su cui erano ricalcati i contorni di una bestia del passato, un orso polare. Alcuni riccioli biondo cenere sfuggivano dal copricapo come zampilli di una fontana. Li riportò all’indietro con un gesto sbrigativo delle mani.
Efesto lo attendeva dall’altra parte dell’attraversamento gratuito. Aspirava boccate di vapore da un tubetto di cellulosa che gettò lontano con uno schiocco quando si accorse dell’arrivo dell’amico. Prima di toccare terra quel mezzo cilindro si trasformò in una farfalla dalle ali giallo limone e fucsia che prese a volare. “Ti sto aspettando da venti minuti Abe” disse il compagno di scuola che svitava il tappo di una borraccia per poi mandare giù un lungo sorso. “Fra un po’ questi ci faranno pagare pure per pisciare,” proclamava Abelos mentre incrociava il suo sguardo e gli batteva un cinque senza fermare il suo moto “scusami Marchese”. Era il soprannome che gli aveva affibbiato da quando frequentavano il primo anno di liceo. Efesto era sempre impeccabile nel vestiario, quel giorno indossava un pantaloncino di jeans color sabbia e una maglietta crema con il colletto bianco a punta. Odorava di cotone appena stirato.
L’interno dell’ex porcile era stato ripulito, le stalle adibite a spazi espositivi. Una serie di tubature forate spuntavano dal sottosuolo fino al soffitto soffiando una brezza refrigerante. “Raffreddamento ionocalorico ragazzi, bassissimo potenziale di riscaldamento globale” furono le parole con cui li accolse Olimpia. Era un signora sulla centinaia, ex ingegnera di Grifopia, un’azienda specializzata nel trasporto di persone tramite droni da cui si era licenziata cinque anni prima.
“Cari Pittori, sarete i primi in Europa ad ammirare dei quadri di un’avanguardia giapponese” la curatrice della mostra con mano tremante fece scattare una levetta sulla parete. Le tele si illuminarono. Subito dopo ispezionava il volto dei ragazzi a catturarne gli estemporanei riflessi. “Porco tofu!” Abelos girava su se stesso come un compasso elettrificato risucchiando nei suoi occhi tutti i dipinti che erano alla sua portata.
Si rivolgeva quindi all’amico “Marchese ci pensi che questi quadri non sono mai stati fotografati?” Abelos non attese la risposta di Efesto, rimasto paralizzato sul posto. Si precipitò di fronte ad una tela che ritraeva una foresta di bambù con in mezzo un ruscello. Poi prendeva posto su un cubo di fieno lì davanti. Estrasse un quaderno dallo zaino e con una sola manata saltò una decina di pagine prima di trovarne una vuota dove cominciare a tracciare qualche linea. “Abe io vado dove si trova il dipinto dell’ultimo torii in legno del paese, m’è venuta un’idea” Efesto si era scongelato dalla stasi e trotterellava verso la rappresentazione del sacro portale vermiglio. Abelos annuì con la testa e tirò fuori un astuccio con degli acquerelli. Iniziò a dipingere non prima di aver fatto scorrere sotto ai suoi polpastrelli la carta ruvida e bianca.
Un sibilo lontano. Abelos alzava lo sguardo in ricerca della fonte di disturbo. Di nuovo silenzio. Si alzò per sgranchirsi le gambe e avvicinandosi alla finestra prossima all’ingresso vide un gruppetto di suoi coetanei che avanzava a larghe falcate. “Serse!” ora il fischio tornava udibile, più forte.
“È una delle sue video-mosche maledizione” seguiva con il dito un oggetto metallico volante che entrato da una grata del soffitto procedeva spedito verso il centro del capannone. “Olimpia spegni le luci!” Abelos lasciava cadere il pennello e si sbracciava verso l’ingegnera che era seduta in fondo allo stanzone, affianco agli abbeveratoi. Le sue mani sporche di colore si muovevano in aria a semicerchio tracciando una specie di arcobaleno.
A quel punto prendeva una fionda dal suo zainetto e raccoglieva qualche sasso dalle macerie di un muro diroccato. La banda di Serse intanto provava a sfondare l’entrata serrata da una trave orizzontale. Efesto si appoggiava con tutto il suo peso al portone venendo sbalzato all’indietro. La sua maglietta si colorava del grasso dei chiavistelli. Olimpia era accovacciata nella posa del loto in fondo allo stanzone e quel trambusto la lasciava indifferente. “Beccata!” Abelos urlava di gioia, aveva centrato in pieno il drone che cascato al suolo cercava di rimettersi in volo. Lo finì affondandoci il tallone fino a sotterrarlo definitivamente. La porta smise di battere poco dopo. Il Marchese si lasciò cadere al suolo insozzando di terra i pantaloni. Olimpia alzò una palpebra per una frazione di secondo. Si mosse solo per passare alla posizione dell’albero.
Dopo aver racimolato i loro oggetti e salutato Olimpia che aveva finito i suoi esercizi, i due amici decisero di tornare verso casa. Serse li stava aspettando al semaforo gratuito. Stavolta non sbraitava ne sembrava intenzionato ad attaccarli. Nemmeno Abelos ed Efesto avevano voglia di alimentare diatribe e stavano per attraversare quando il bullo premette un pulsante laterale del suo visore. Ne scaturì un fascio luminoso che proiettava immagini su una parete bianca di un edificio vicino. Si vedeva un bosco di bambù e un fiumiciattolo. Le colonne rosse verticali che Efesto aveva reinterpretato come grossi trespoli per uccelli.
Le mani di Abelos scattarono come mosse da un impeto propulsore e accompagnate da un balzo elastico sfilavano l’Abaco dal viso di Serse. Il Marchese poté solo osservare l’amico di sempre muoversi in una dimensione di velocità aliena alla sua. Il primo movimento di Serse fu quello di proteggere il suo sguardo dalla luce solare. Una fascia biancastra correva lungo il parallelo che gli passava sugli occhi arrivando all’attaccatura delle orecchie dove rimaneva un solco tra i capelli.
Braccia e gambe presero a muoversi senza coordinazione. Rincorreva il visore a forma di anello che rotolava verso il ciglio della strada e nella foga lo calciò spingendolo in mezzo alla carreggiata dove il transito delle Pegaso si faceva più fitto. “No!” urlava Serse “Fermatevi! Il mio Abaco!” e mise un piede sulle strisce pronto ad attraversare. Abelos tentennò per un nanosecondo ma alla fine lo afferrò per un braccio “Fermati Serse, dove vai!”
L’altro ragazzo si preoccupava solamente di coprirsi gli occhi dal sole per non perdere di vista l’Abaco. Con uno strattone si divincolava dalla morsa del Pittore. Il riflesso della luce sull’asfalto non lo agevolava. Una Pegaso nera con il tettuccio bronzato lo schivò in tempo e il movimento d’aria generatosi spinse il visore verso il marciapiede opposto.
“No! No! No!” il ragazzo barcollava come appena sceso da una giostra vorticosa. Efesto decise di lanciarsi per strada ma fu placcato da Abelos che inchiodava l’amico per terra con un’occhiata che penetrò le sue retine.
Un altro veicolo stava giungendo a grande velocità e puntava dritto verso Serse, i fari presero a lampeggiare, l’ululato di una sirena scaturiva dalla vettura rimbombando tra i grattacieli rotanti. Nonostante il poco margine, la manovra automatica di sterzata fu inizializzata. Da sportellini invisibili della scocca fuoriuscirono degli uncini d’emergenza che aggrappandosi all’asfalto produssero scintille. La vettura stava per centrare Serse in pieno quando Abelos lo raggiunse in tuffo nella speranza di catapultarlo il più lontano possibile.
Il Pittore sentì il contatto del metallo sulla pelle. La sensazione di quando si mette un piede nel mare freddo. I primi bagni in tarda primavera. “Addio” pensò. Chiuse gli occhi. Un attimo dopo sentì le sue membra trasportate in alto. “Questa deve essere la mia anima che vola in cielo” pensò il ragazzo “almeno non provo alcun dolore…”
Sentì una lacrima scivolare sulla guancia. Spalancò le palpebre di scatto. Affianco a se vedeva Serse. Sembrava inanimato. Mentre si allontanava puntò lo sguardo verso terra. Olimpia era lì sotto e maneggiava un telecomando. Efesto sbatteva la braccia e saltava urlando verso il cielo “Abelos!”.
“Marchese!” il nome dell’amico stava risuonando nella testa del ragazzo volante “Mi puoi vedere? Non voglio morire!”. E poi ancora una volta “Marchese!” Ma stavolta il nome dell’amico prorompeva impetuoso dalla sua bocca. La sua ascesa stava invertendo rotta. Alzò il capo. Una creatura robotica con la testa d’aquila e il corpo da leone li teneva saldi tra i suoi artigli gommati.
L’ex mattatoio ospitava nuove opere. Il numero di ragazzi era aumentato. Non c’erano più solo Abelos ed Efesto. Un mucchio di Abachi giaceva in una cesta all’entrata. Olimpia azionava le luci e inaugurava la mostra. Abelos deviava il suo percorso prima di accomodarsi di fronte alla tela che aveva scelto.
Appoggiò la mano sulla spalla di un ragazzo seduto per terra. Testa rasata e una striscia di capelli attorno alle orecchie che non ricresceva. Era intento a replicare un quadro di un gruppo di bagnanti su una spiaggia assolata. “Bravo, promette bene quest’acquerello. Divertiti amico” – disse Abelos staccando la mano e riprendendo il suo cammino. “Il mio primo bagno” gli fece eco Serse “non fa tanto freddo come pensavo”.
Buon pomeriggio a tutti. Sono molto felice di essere entrato a fare parte di questa comunità. Fatemi sapere cosa ne pensate del mio racconto, che siano commenti positivi o negativi. Sono qui per confrontarmi con voi, crescere e imparare!
Un po’ freddo il racconto come il mare di sera di primavera, ma comunque intrigante…!
Ciao Sergio, grazie per aver letto il racconto e per il tuo commento. Ero curioso di sapere quale aspetto in particolare ti abbia restituito questa situazione di freddezza. Inoltre è un fastidio che ti ha stuzzicato nella lettura o è rimasto solo un fastidio? Grazie!
Premetto che non è il mio genere, ma l’ho trovato interessante, cioè è pieno di immagini futuristiche originali, ben descritte e pieno di nostalgia per un passato oramai lontanissimo. E poi solo per quel “porco tofu” vale la lettura 😉
È un modo di scrivere e di raccontare un po’ lontano dalle mie abitudini letterarie.
In realtà io amo il thriller, ma meno il fantascientifico.
Ciao.
Molto originale e piacevole. A tratti la narrativa non è chiarissima ma è sempre godibile e capace di sorprendere. Terminologia anche raffinata. Un unico neo: controlla di più i piani temporali. Molte volte – a mio avviso – all’imperfetto segue un passato remoto e viceversa. Cmq bravo.