Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Lo spazio pittorico” di Guido Marziano

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

L’accesso al pubblico era ancora precluso, ma tanto bastava. Entrando a teatro per le prove, quella prima sera, avevo varcato una soglia; era come se mi fossi ritrovato nel backstage di un film di Fellini. Il regista, emozionato, era seduto sul palco rivolto alla platea vuota, dove gli attori occupavano le prime file. C’era una tale eccitazione che, a stento, si trattenevano dal confabulare tra loro per ascoltarlo. Seguivano leggiadri la scia delle sue parole, come uno stormo dietro al suo direttore, cambiando la direzione dello sguardo all’unisono, sollevandosi e ridiscendendo lievi nei pensieri. Pura energia.

Ebbi una sensazione pittorica talmente forte che restai ammaliato. Mi sedetti lateralmente sul palco e cominciai a tratteggiare in china il regista con sullo sfondo l’attrice, le venature del legno del parquet, il blocco di appunti ed il canovaccio buttati a terra. Continuai finché il regista, stizzito, mi chiese di non scrivere più. Avrei forse dovuto spiegare che non stavo scrivendo. Mi limitai a posare il blocco di carta.

Mi sembrò straniante ricevere, nei giorni successivi, una mail in cui si scusava con tutti per lo spaesamento. Tutte le attività pensate per noi avrebbero comportato un contatto fisico che non ci era consentito. Dovendoci distanziare di un metro ed indossare le mascherine, si era disorientato. Per l’incontro successivo, promise, avrebbe trovato delle soluzioni da proporci che avremmo apprezzato. Restava il rammarico per lo spaesamento della volta precedente e se ne scusava.

Ero appena entrato nella compagnia e mi sentii in parte responsabile. Allegai nella risposta la foto del mio schizzo e lo tranquillizzai, sottolineando che non avevo preso appunti, se questo aveva inteso; mi ero messo a disegnare. Semplicemente, avevo goduto di quanto ci fosse di prezioso nel nostro incontro e non mi ero soffermato sulle difficoltà. Poi scrissi:

Le carovane che attraversano il deserto sanno da dove partono.

Chi parte, sceglie di uscire di casa e spaesare.

Chi li guida, conosce appena qualche oasi e poco più

ma nessuno della carovana partirebbe da solo.

Lo sherpa nell’Himalaya percorre a piedi la stessa strada degli altri,

nè ad Ulisse è richiesta minore fantasia per le glorie passate.

Il tempo lento è prezioso quanto quello serrato

ed i monaci si soffermano più a lungo a pregare

quando la giornata si preannuncia impegnativa.

Spaesarsi è meraviglia, strabiliano i bambini.

Non c’è creatività senza spaesamento.

Dismesse le certezze del pedagogo, riposto il vestito da regista,

in pandemia allo sherpa non resta che spaesare.

La meraviglia di giungere a destinazione è la stessa ogni volta.

Corsi il rischio che si potesse offendere; che non fossi compreso; che il mio schizzo fosse fuori luogo; che la risposta fosse esibizionismo e mancanza di rispetto. Ma schiacciato il pulsante d’invio, non accadde nulla e rimasi per giorni ad interloquire con l’alveare muto, con la griglia dei volti che avevo stampato dallo schermo durante il nostro ultimo incontro online. Anche questo è spaesamento.

In quei giorni realizzai che c’è un tempo, precluso agli spettatori, in cui l’arte della pittura può vivere anche a teatro. Che non si trattava di un dettaglio minore da relegare alla scenografia, ma di una capacità suggestiva che avrebbe potuto essere linfa vitale per un attore. Lo pensai guardando un acquarello appeso in camera in cui il fumo di un camino faceva sbiadire i tetti, la cupola di una cattedrale, un fiume che tagliava la città, l’oceano su cui si affacciava. Cosa avreste pensato sporgendovi su quei tetti vaporosi? Cosa avrebbe pensato il vostro personaggio? Guardare dall’alto aiuta a spaesare. Restava fuori dal teatro il mondo intero e, dentro, si apriva una nuova dimensione in cui solo il disegno avrebbe potuto condurci per mano. Pensai al teatro come somma di tutte le arti messe assieme per distillare qualcosa di magico da vivere, chiarire a noi stessi e donare agli altri. Mi sembrò che il mondo dell’impercettibile diventasse essenziale, per chi ne sapesse cogliere la poesia. Per esempio, in camera c’era un secondo acquarello. Ricordai che mentre veniva dipinto, una goccia di colore era caduta in un bicchiere ed era svanita nell’acqua. Piccola meraviglia. C’era poi un pennello poggiato su di un foglio bagnato. Ne avevo visto la tinta fluire dalle setole in volute, risucchiata sulla carta da forze invisibili. Il pittore non se ne curava. Piuttosto dipingeva concentrato, tenendo un altro foglio zuppo in verticale su di un cavalletto. La pittura colava stemperandosi nell’acqua della carta seta. L’immagine che ne derivava era dilavata in una giornata di pioggia. Risaltavano le luci, i fari delle auto, i riflessi delle pozzanghere. Si perdevano i dettagli e si sfuocavano le figure, ma restavano i colori. Tra i passanti, mi sembrò di riconoscere il mio personaggio stretto nella sua palandrana. Un’altra suggestione, questa è la forza della pittura. Perché mai rinunciarvi?

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