Premio Racconti nella Rete 2023 “Romeo e Giulietta” di Roberto Rapastella
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Il prima.
Il giorno che arrivarono stavo lavorando in cantina.
Era passato da poco mezzogiorno quando sentii Hortensia chiamarmi: «Eccomi arrivo… lavo le mani e sono da te» gridai dallo scantinato, perché la cucina era due rampe di scale più su e con il macchinario acceso temevo che non mi sentisse.
Di sopra mi aspettava il fiasco di Frascati e un bel piatto di tonnarelli cacio e pepe.
Hortensia era la donna delle pulizie, una brava rumena con la testa sulle spalle e un bel culo di dietro. Veniva tre volte alla settimana per mettere in ordine in casa e in quei giorni mi preparava il pranzo. Il venerdì a mattina l’andavo a prendere a casa sua e, grazie ad un adeguato extra sulla paga mensile, ci scappava pure qualcos’altro: mi aspettava nuda sotto alle coperte del suo letto, al calduccio, per un servizio completo. Era un lusso che solo allora potevo permettermi, prima mi dovevo accontentare di un viaggetto sulla piazzola di sosta della statale una volta al mese, con una di pelle scura, che costavano di meno delle puttane nostrane.
Chiusi a chiave la porta che dava allo scantinato e mi misi a tavola. Mentre mi sedevo mi soffermai a pensare al mio conto in banca che, dopo anni di scoperto, era di qualche migliaio di euro sopra lo zero. Per contrappunto il cervello mi portò indietro agli anni passati, al lavoro da operaio con un misero stipendio che, pagata la rata del mutuo, ci consentiva di arrivare a malapena alla fine del mese.
I progressi economici erano sopravvenuti da quando avevo conosciuto Romeo e Giulietta. I miei inquilini avevano risposto all’annuncio di affitto ed erano venuti ad abitare nell’appartamento di sopra. Quando si presentarono per la prima volta con quei nomi assurdi li guardai di traverso, come a dire che non amavo essere preso per il culo. Ma loro rimasero impassibili e misero sul tavolo un acconto in contanti di tre mensilità e l’assicurazione che non avevano bisogno di contratti scritti. Gli dissi che a quel punto si potevano chiamare pure Topolino e Minnie, per me non faceva nessuna differenza.
Erano persone riservate che non davano confidenza, tuttavia si facevano apprezzare per la loro precisione e correttezza nei pagamenti dell’affitto e delle prestazioni lavorative che a volte mi richiedevano. In ogni caso i loro affari erano appunto loro e non intendevo intromettermi.
Quel giorno maledetto, un attimo prima di mettere in bocca la prima forchettata di cacio e pepe, fui interrotto dal campanello di casa. Strano, pensai… a quest’ora. Mi alzai e mi diressi verso la porta, guardai dallo spioncino e dietro al cancelletto vidi Giovannino, il postino del quartiere. Forse, da rincitrullito qual era sempre stato, mi aveva dimenticato nel suo giro di mattina. Schiacciai il pulsante di apertura e aprii l’uscio per andare incontro al portalettere.
Con immensa sorpresa, non appena fuori, mi ritrovai circondato da uomini con tute nere, anfibi, caschi, guanti e passamontagna. Tutti mi puntavano contro fucili mitragliatori automatici e pistole, mentre un elicottero volteggiava basso sopra le nostre teste.
«Siamo carabinieri… non ti muovere… sdraiati per terra con le mani dietro la schiena, subito!»
Ci misi un bel po’ per mettere a fuoco ciò che stava succedendo. Mi sembrò di vivere in un incubo. Sconcertato, ubbidii ai comandi ricevuti. Infine, in pochi attimi, mi chiusero le manette ai polsi e mi portarono via di peso. Mentre mi trasportavano in caserma a sirene spiegate, mi stupii ritrovandomi a pensare non ai miei figli, ai nipoti o al mio futuro. No, può sembrare strano, ma in quel momento mi vennero in mente solo due cose che ancora ricordo bene. La prima riguardò il piatto di cacio e pepe lasciato sul tavolo che non avrei potuto gustare; la seconda fu sollecitata dagli sguardi carichi d’odio e di schifo dei quattro militari che mi scortavano.
Cosa avevo fatto di così sbagliato per meritarmeli?
I fatti.
Il Gazzettino della Ciociaria
“Romeo e Giulietta” accusati degli omicidi di otto giovani scomparsi tra le provincie di Roma e Frosinone
Il “Macellaio di Acquacupa” ha confessato
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Ieri mattina, dopo due giorni passati in cella d’isolamento il “Macellaio” ha confessato.
Davide Prosetti, vedovo, operaio in pensione impiegato per 40 anni presso il Macello comunale di Acquacupa, ha confessato di aver “macellato” i corpi di otto cadaveri di persone a lui sconosciute. Uno dei corpi dei malcapitati giovani è stato ritrovato nella cella frigorifera della cantina dell’abitazione: un senzatetto di origini calabresi ancora in fase di “lavorazione”, con gli arti mancanti rinchiusi a pezzi in due sacchi di plastica neri.
I coniugi Herbert Hassel, di origini tedesche, ma cittadino italiano, e sua moglie Emma Vallani gli fornivano, a suo dire, “la materia prima”. I due sono riusciti a fuggire e attualmente sono ricercati con l’accusa di omicidio plurimo premeditato.
Il Prosetti, di anni 67, veniva retribuito dalla coppia, che lui conosceva con i nomi di Romeo e Giulietta, per far scomparire i corpi delle vittime. Il macellaio provvedeva a eseguire l’incarico nello scantinato attrezzato con sega a nastro, piccole celle frigorifere e altre apparecchiature da macellazione. Il reo confesso sezionava i cadaveri in parti più piccole e provvedeva a rinchiuderle in sacchi di plastica. I resti umani venivano successivamente sotterrati in zone impervie e nascoste nei boschi sui Monti Lepini, non troppo distanti dalla sua abitazione ad Acquacupa.
Le indagini degli investigatori hanno rivelato che la coppia adescava i malcapitati (cittadini stranieri irregolari senza permesso di soggiorno, clochard senza fissa dimora e tossici di lunghissima data) promettendo loro laute ricompense per delle serate di sesso promiscuo. Una volta abbordati li portavano nell’appartamento preso in affitto dal Prosetti. Lì erano prima drogati, poi legati e orrendamente trucidati. Gli omicidi, perpetrati con armi da taglio o tramite impiccagione, venivano filmati e trasmessi in diretta online sui siti del mercato nero del web, il fantomatico “Deep Web”. La deposizione è stata resa con estrema calma e freddezza. Fonti anonime del palazzo di giustizia raccontano stupite di una persona ignara della gravità dei fatti che gli vengono contestati. L’uomo si difende dicendo che ad ammazzare non era lui, ma i due affittuari; che lui era responsabile “solo” del sezionamento e dell’occultamento di persone già decedute; che non sapeva nulla delle uccisioni perpetrate nell’appartamento al primo piano. Il sedicente Romeo aveva messo a tacere i suoi timidi scrupoli raccontandogli, molto genericamente, di delitti frutto di regolamento di conti tra organizzazioni criminali avversarie.
Loro erano semplicemente i becchini, i ripulitori delle scene del delitto.
Il dopo.
È quasi sera nella casa di Davide ad Acquacupa. È passata poco più di una settimana da quando il proprietario è stato arrestato. Nastri e guanti di lattice blu della polizia scientifica sono sparpagliati un po’ ovunque. Sulle porte d’ingresso sono stati applicati i sigilli della magistratura: “Abitazione sotto sequestro”. Entrando due cose colpiscono subito: un odore nauseabondo e un rumore sottotraccia. Ascoltando con attenzione si percepisce che il rumore è composito, due suoni distinti: un ronzio incessante, basso e profondo e un altro acuto a tratti, come migliaia di minuscoli martelletti che battono incessanti dei colpi secchi: pick-pick-pick…
Sul tavolo in cucina il piatto dove c’erano i tonnarelli si intravede ancora al suo posto, con la forchetta appoggiata sul bordo, il bicchiere di vino davanti e il fiasco accanto. La scena è nascosta da una nuvola nera che sembra respirare: la nube allargandosi si dirada e permette di vedere i contorni dell’apparecchiatura, poi concentrandosi la occulta facendola sparire dietro di essa. Avvicinandosi ci si accorge che il fenomeno è dato dalle migliaia di mosconi che gli ronzano intorno avvolgendola a guardia della moltitudine di larve mescolate con i tonnarelli all’interno del piatto. Moltissime ancora si devono schiudere. Alcune sono gialle, la maggioranza ha raggiunto il colore rosso scuro, quasi marrone, segno che la metamorfosi è arrivata al suo termine. Molte di queste sembrano muoversi a scatti: per uscire dal pupario, la mosca si serve di una vescicola posta sulla fronte, l’organo si gonfia e sgonfia grazie a delle contrazioni ritmiche, aumentando di volume ed esercitando una pressione sulla parete interna del bozzolo. Finché non riesce a uscire. Appena sfarfallata, la mosca presenta ali molto piccole ed umide, rapidamente queste si distendono e si irrigidiscono, consentendole di volar via.
Nella casa è buio, non tanto per la sera imminente o per le persiane accostate, ma per il fitto strato di mosconi che ricopre la superficie delle finestre. Le migliaia di insetti tentano di uscire, picchiando impazziti sui vetri… pick-pick-pick, ma invano, tanto che uno strato di questi, morti, ricopre uniformemente il pavimento, formando un funereo tappeto nero. Cibo buono per gli scarafaggi che uscendo senza più inibizioni dai vecchi battiscopa in legno, si ingozzano con i mosconi morti; e per i ragni, che sulle loro fitte ragnatele, apparse come per incanto sugli angoli formati dalle pareti e sui mobili, avvolgendo tutto come un sudario grigio, intrappolano le mosche.
Dalla sala da pranzo una nuvola nera di insetti volanti si dirige, attraverso la porta ora aperta che separa il piano terra dal primo, su per le scale, nell’appartamento di sopra. Guidati dal fetore di morte qui ancora più pungente, entrano nel locale dove venivano realizzati gli snuff movie. Le due catene ancora appese al soffitto si muovono sinistramente, andando a cozzare tra di loro sebbene nessuno, apparentemente, le tocchi. Lì venivano appese le povere vittime di Romeo che con il torace scoperto, il viso nascosto da una maschera di cuoio, un collare costellato di chiodi e un coltello in mano, sfogava la rabbia che aveva dentro sul corpo dei ragazzi inermi mentre Giulietta curava le riprese video. Alla fine, quando la vittima aveva esalato l’ultimo respiro, si auto riprendevano mentre si accoppiavano come bestie nella stessa stanza, rotolandosi sul sangue della vittima, sovraeccitati dal lavoro eseguito.
In questo vano il paesaggio e diverso: una moltitudine di puntini rossi, nel buio del locale senza finestre, simili a lucciole infernali, si muovono veloci zigzagando sulle pareti. Sono gli occhi di decine di ratti che salendo sul soffitto servendosi delle catene, sbranano il materiale fono assorbente di cui è foderata la stanza, impregnato dal sangue schizzato dai corpi martoriati. Al basso ronzio dei mosconi e al loro ticchettare sui vetri, in questo luogo di tortura e di morte si aggiunge il borbottio prodotto dal rumore della masticazione dei topi e quello aritmico delle catene che cozzano tra di loro.
Se il diavolo dovesse mai scegliere una colonna sonora per rappresentare il male sulla terra, questa orribile miscellanea di suoni sarebbe senz’altro la sua preferita.
Mamma mia, che horror…!!!
Meglio spaghetti aglio, olio e peperoncino!!!
È già un romanzo in sintesi, molto horror, perché non lavorarci in tal senso?
Magari arricchendo i personaggi di sfumature psicologiche che spieghino l’origine della loro perversione. Complimenti
Wow! Sono lettrice del genere e l’ho apprezzato molto. Forse proprio perchè sono appassionata di thriller, mi è dispiaciuto fosse solo un racconto, mi ha lasciato curiosità per antefatti e risvolti psicologici i dei personaggi. Complimenti!
racconto ben scritto, meritevole di commento. mi è piaciuta la suddivisione in tre sezioni: antefatto umano, fatto disumano e “forme di vita post-umane”. la terza sezione è quella più originale, almeno in termini di soggetto e di approccio avvolgente multi-sensoriale… epperò le due righe di chiusa non solo non aggiungono nulla al racconto, ma banalizzano il senso e invitano sul palcoscenico il “diavolo” e il “male”, un cameo che si poteva evitare puntando sul fatto che se da un lato l’orrore è soggettivo (è negli occhi di chi guarda), dall’altro i suoi artefici non sono né gli artropodi (insetti, con rispettivi stadi larvali, ragni etc) né i ratti, ma i simpatici animalini bipedi della nostra specie. che aggiungere? ottima (e beffarda) la scelta dei nomi dei due carnefici, un po’ forzata la trama (traspare l’artefatto) e forse più corretto parlare di “dark web” che di “deep web. (occhio, refuso: “una di pelle scura (…) che costavano”)