Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “L’imperatrice e il figlio della sarta” di Laura Venneri

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Ezio si guardava intorno con circospezione e ad ogni passo si girava per controllare che nessuno lo seguisse. Non che avesse un qualche motivo per temere per la sua vita ma di quei tempi non si poteva mai stare tranquilli. Bastava un cenno del capo, un’occhiata sbagliata e il sovrintendente poteva accusarlo di tradimento o di eresia. La situazione era piuttosto burrascosa ormai da anni ma in quegli ultimi tempi Ezio era particolarmente angosciato, dormiva male e in alcuni sogni Lei lo faceva accecare. Erano sogni tanto vividi che si svegliava gridando, madido di sudore.

Eppure, Lei non era sempre stata così. E di certo lui era stato un fedele servitore ma la paura serpeggiava a corte da quando Carlo, qualche mese prima, si era fatto incoronare dal Papa e Lei si era messa in testa il matrimonio. Nessuno osava contraddirla ma anche i suoi più fedeli servitori, fedeli si fa per dire, appena voltava le spalle si lanciavano occhiate di scetticismo.

Che Lei un tempo fosse diversa Ezio lo sapeva dai racconti di sua madre, fino al momento di spirare, con occhi sognanti, gli narrava di quegli anni a corte…

La madre di Ezio, Teofrasta, era arrivata a corte a quindici anni come sarta. Aveva mani piccole e agili ma soprattutto uno straordinario gusto. Doveva avere a che fare con la sua origine corinzia. Corinto era più antica di Atene anche se nessuno osava farne cenno per paura di offendere Lei. Corinto aveva dato al mondo grandi opere d’arte, modelli imitati in tutto il mondo nell’antichità, ceramiche ricercatissime e ideali architettonici che sarebbero divenuti eterni. Sebbene Corinto fosse molto cambiata rispetto ai racconti mitici del passato, Teofrasta si vantava delle sue origini e nella tessitura diceva di ispirarsi ai grandi artisti della sua città, nei colori e nelle decorazioni dei suoi abiti. In realtà, sua madre non aveva una così vasta cultura ma nella Costantinopoli di quei tempi che ricercava gli antichi fasti in un mondo che cambiava irrimediabilmente, era certamente un’ottima pubblicità.

Teofrasta era greca in tutto e per tutto, nel naso adunco e nella postura fiera. Era una sarta ma camminava come una regina. E sapeva bene che solo se ti dai valore gli altri ne danno a te. Si avvicinava la Sfilata della Sposa, evento importantissimo e Teofrasta venne scelta per realizzare l’abito di una delle aspiranti spose. Veniva dalla Grecia come lei e questo spinse Teofrasta ad impegnarsi più del solito. Si convinse che quella ragazza ateniese sarebbe stata la svolta che attendeva da tempo nella sua carriera. Non che fosse avida di denaro ma voleva la sicurezza economica, smettere di affannarsi e godersi la vita.

La sera prima del suo arrivo Teofrasta la sognò: era bellissima e indossava un himation filato con l’oro e un copricapo ripieno di gemme, la bellezza del suo viso abbagliava ma le sue mani….le sue mani erano sporche di sangue! Teofrasta si svegliò di soprassalto e il pensiero le andò ad Elena di Troia – chissà perché – che si immaginò uguale alla donna del sogno. Scese dal letto e scrollando i ricci capelli neri scacciò via anche i pensieri. Quel sogno non era un presagio – si disse. E lei era una fervente cristiana, prese il santino che teneva nascosto in un sacchetto di iuta sotto il cuscino e se lo portò alle labbra. Guai se qualcuno l’avesse trovato. In quei tempi le immagini sacre erano proibite per una disputa che non le era molto chiara ma lei al santino della Vergine Maria non rinunciava, soprattutto dopo un brutto sogno.

La mattina seguente era una splendida giornata di sole, le porte della città rilucevano, le strade brulicavano di gente e di carretti ricolmi di stoffe e di spezie.

Quella settimana il figlio dell’imperatore avrebbe scelto la sua sposa.

E finalmente Teofrasta fu condotta nel palazzo di Dafne dove alloggiava la nobile che avrebbe dovuto vestire. Mentre attraversava il chiostro istoriato con miti antichi tratti dall’Odissea e dall’Iliade per un attimo le tornò in mente il sogno della notte precedente e pregò silenziosamente.

Le pesanti porte di faggio si aprirono e Teofrasta la vide, era di spalle affacciata alla lunga finestra ottagonale ma quelle spalle erano senza dubbio greche. Si girò lentamente e al sorriso timido di Teofrasta rispose con un cenno del capo di approvazione e si presentò. Era Irene Sarantapechos di Atene e alla sfilata della sposa sarebbe stata la più elegante. Teofrasta pensò che avrebbe vinto anche ricoperta di stracci, non perché fosse particolarmente bella ma perché in quello sguardo fiero sguardo c’era già il suo destino di Imperatrice.

Lei lo sapeva – ripeteva ad Ezio – sapeva già che lo avrebbe sposato. La madre in punto di morte sembrava essersi ormai convinta che Irene avesse un qualche potere magico e nonostante stringesse tra le dita rattrappite dal lavoro il santino della Vergine Maria, Ezio sorrideva di quella fede strana di sua madre un po’ pagana un po’ cristiana.  Ma per fortuna non doveva più nascondere i suoi santini e i quadretti dei Santi che campeggiavano dappertutto nella stanzetta, alcune icone di stoffa venivano utilizzate anche come puntaspilli. D’altra parte, come amava ripetere Teofrasta, Irene stessa glielo aveva promesso che non avrebbe più dovuto nascondere le immaginette sacre perché lei, vera cristiana, avrebbe messo fine a quella follia dell’iconoclastia portata avanti da suo suocero. Ma occorreva tempo e pazienza, gli uomini non erano pronti per una donna così determinata a comandare. Come un uomo.

Per fortuna sua madre era morta prima che la politica e la storia rendessero Irene la donna terribile e temuta che era ora. Aveva fatto in tempo però a festeggiare il suo più grande successo in politica religiosa: il concilio aveva reso illegale l’iconoclastia e Teofrasta aveva tirato fuori dai nascondigli tutte le sue icone e festeggiato con un calice di vino. La sua Basilessa aveva mantenuto la promessa fattale tanti anni prima e Teofrasta la venerava come una santa. Un’altra pregiata bottiglia di vino era stata stappata quando l’esercito di Irene aveva sbaragliato quegli arabi infedeli.

Sua madre la chiamava Basilessa, Imperatrice. Era già morta quando Irene aveva cambiato il suo titolo in Basileus, Imperatore. E aveva realizzato il suo destino di comandare come un uomo. La transizione non era avvenuta così semplicemente: erano stati anni di intrighi e di veleni, di sospetti e di morti, di persecuzioni e di guerre intestine.

Teofrasta aveva tenuto in braccio il piccolo Costantino appena nato, si era occupata di lui, non solo di vestirlo come un degno erede al trono dell’impero più ricco al mondo, ma anche di cullarlo quando piangeva e di consolarlo quando gli istitutori lo rimproveravano. Irene era troppo impegnata a proteggere l’Impero per fargli da madre e Teofrasta l’aveva sostituita in molte occasioni. Quando era nato Ezio i due bambini avevano spesso giocato insieme nei giardini del palazzo imperiale, avevano imparato a leggere e a scrivere insieme. Ezio era molto dotato per la matematica ma sua madre gli ripeteva che non doveva surclassare il suo compagno di studi, che sarebbe stato imperatore un giorno e lui lo avrebbe servito, magari come sovrintendente.

Come si era sbagliata! Il piccolo Costantino non sarebbe mai stato imperatore: la brama di potere di sua madre lo avrebbe impedito nel modo più crudele che si possa immaginare. Non avendo avuto il coraggio di ucciderlo, lo aveva fatto accecare rendendolo di fatto un disabile, inabile a comandare la gloriosa erede dell’Impero Romano. Il destino di Costantino avrebbe addolorato profondamente Teofrasta che lo aveva amato come un figlio ma soprattutto perché avrebbe visto Irene per quello che era.

D’altra parte, già alla morte di suo marito, Leone IV, molti avevano insinuato che fosse stato avvelenato. Ormai Ezio era più che convinto che l’imperatrice fosse un’assassina e che quelle voci, che sua madre definiva ignobili, avessero un fondo di verità.

Costantino era morto pochi giorni dopo l’accecamento, a soli 26 anni. E lei era rimasta l’unica e indiscussa sovrana dell’Impero Romano d’Oriente. La prima donna ad avere tanto potere. Un fatto inconcepibile e mai avvenuto prima. Aveva sbaragliato tutti. Il marito, i cognati e infine il figlio. Dopo tanta violenza, sebbene fosse un’abile governante il clima che si respirava a corte era di incertezza. Come prima di una tempesta.

Tuttavia, Ezio era rimasto a corte, cos’altro avrebbe potuto fare? Non conosceva il mondo fuori da quelle mura e le sue conoscenze di matematica gli avevano assicurato un buon lavoro. Serviva fedelmente Irene ma nel profondo del suo cuore ne era terrorizzato.

Lei, dopo tanti complotti, era diventata paranoica e diffidente. Le sue fiere spalle greche reggevano troppo peso e troppi peccati. Quando arrivò la notizia dell’incoronazione di Carlo, re dei Franchi, come imperatore dei Romani Irene fece una scenata. Gli ambasciatori furono arrestati e sostituiti, le guardie alle sue porte triplicate e Niceforo il sovrintendente alle finanze, capo di Ezio, spadroneggiava e faceva spiare tutti i nobili.

L’idea del matrimonio fu sicuramente di Irene. Non di qualche suo collaboratore. Solo Lei poteva ambire a tanto, solo Lei era la più abile stratega tra tutti i suoi consiglieri. Avrebbe sposato Carlo Magno e l’Impero Romano d’Occidente e d’Oriente si sarebbero riuniti dopo 405 anni. Avrebbe realizzato la più grande unione politica di tutti i tempi e l’Aquila imperiale sarebbe rimasta a Costantinopoli, dove era giusto che fosse. I due eserciti più forti al mondo sarebbero divenuti uno solo. E le divisioni religiose sarebbero state sanate. Certo, per quelle ci sarebbe voluto tempo e parecchie morti ma era disposta a sacrificare sull’altare nuziale la fede del suo popolo pur di restare sul trono che tanto sangue le era costato. Era un piano perfetto e la sofisticata macchina della diplomazia bizantina si mise in moto con fervore.

Ezio si chiedeva se una donna che aveva sopraffatto tanti uomini poteva veramente, nel profondo del suo cuore, desiderare quel matrimonio ritornando ad essere moglie di qualcuno, sebbene tanto importante, seconda ad un uomo per giunta – si diceva – analfabeta.

Non lo avrebbe mai scoperto: giunto davanti alle porte degli uffici contabili le lance dei soldati si chiusero di fronte a lui, quasi sul suo naso, impedendogli il passaggio. Un ordine di arresto era stato spiccato contro di lui, recava la firma del sovrintendente. Ezio capì che era la sua fine.

Nel frattempo, nell’ombra, nelle stanze più vicine al trono, forze potenti avevano deciso che quel matrimonio era troppo, era giunto il momento di mettere fine al dominio di una donna che aveva osato troppo, che si era posta come un uomo al di sopra di altri uomini. La fine di Irene avrebbe portato la stessa firma vergata sulla condanna a morte di Ezio…  

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1 commento »

  1. Complimenti, un bell’affresco storico, molto interessante. Grazie

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