Premio Racconti nella Rete 2011 “Stella la magra detta Polpaccino” (sezione racconti per bambini) di Stefano Bordoni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011C’era una volta, tanto tempo fa, una farfalla che ballava insieme al vento tra i fiori e i fili d’erba del giardino. Di fronte a lei una bambina stava appoggiata al davanzale della finestra e la guardava tenendosi la testa tra le mani. Che bella farfalla! Pensava la bambina, sembra che regali i suoi colori e la sua leggerezza ad ogni fiore che avvicina. Ma non si concede mai del tutto, non diventa mai prato. Piuttosto il prato rimane incantato e vorrebbe volare via insieme a lei. Che sciocco! Dall’altra parte, la farfalla guardava la testa della bambina che era così piccola da sembrare un’imperfezione del legno nella gran cornice della finestra. Che bella bambina! Pensava la farfalla, che sguardo fiero e irriducibile può avere la dolcezza! Se il mondo potesse, si farebbe guardare solo da occhi così. Se il vento avesse la sua voce, ogni casa accenderebbe il suo fuoco la sera ed ogni cane tornerebbe al suo padrone. La farfalla si fece grande, grande e ancora più grande e si presentò alla bambina con le ali spiegate. Oh! Fece la bambina. Chi sei? Sono Farfata e vengo dal mondo dei sogni, come te, rispose la farfalla. E tu chi sei? Mi chiamo Stella, anche se tutti mi chiamano Polpaccino perché sono molto magra. Mentre diceva così, Stella fece un passetto indietro per nascondere la sua magrezza. Vuoi venire con me? Le chiese Farfata. Oggi è il solstizio di primavera e il tempo sta cambiando ancora. Vorrei, disse Stella, ma la mia nonna è a letto malata ed ha bisogno di me. E poi devo accudire la casa e i conigli. Faremo più in fretta del tempo perduto, disse Farfata e la prese per mano. Oggi le scuse non valgono. Stella e Farfata cominciarono a volare o forse non volavano, ma insomma la farfalla aveva le ali al vento e loro, beh loro si trovarono all’improvviso in una vallata, dove le case erano di chi dovevano essere e gli animali se ne andavano in giro tranquilli facendosi i fatti loro. Buongiorno, li salutò un cavallo seduto su una panchina mentre si leggeva il giornale. Buongiorno a voi! Dissero Stella e Farfata. Buongiorno! Risposero allora i castori della diga, le mucche giramondo, le formiche scienziate. Buongiorno! Risposero le famiglie Krik, Krink e Krok dalla collina. Buongiorno! Risposero strani esseri con molte braccia e molti nasi. Buongiorno, ripeté piano Stella a sé stessa, pensando che quello stava diventando davvero un gran buon giorno. Ora andiamo a casa mia, disse Farfata. C’è qualcosa che voglio mostrarti. Stella non credeva ai suoi occhi. La casa di Farfata era fatta di un velo così sottile che se lo guardavi si rompeva e si aggiustava in un modo diverso, così che la casa cambiava forma continuamente. Mentre entravano in quella che sembrava un’immensa pagoda giapponese, le pareti e le finestre continuavano a spostarsi per diventare una baita di montagna piuttosto che una torre campanaria. Arrivati al secondo piano, la casa aveva già cambiato forma sei volte ed era ora una lunga, larga, infinita scalinata. Stella si appoggiò al corrimano un po’ intontita e in quel momento vide una figura alla parete. Si spostò di lato e la figura con lei. Si girò, si chinò, si toccò il naso e le orecchie e lo stesso fece quello strano quadro. Dunque era uno specchio! Ma al posto delle sue gambette magre, del nasino che usciva lungo dalla sua faccina scavata, vide una ragazza bellissima e seducente, dai capelli lunghi e morbidi. Si fermò a fissare estasiata quella figura, incredula di come potesse riconoscersi in un’immagine così diversa dalla sua. Tu sei questo, le disse Farfata. Tu sei questo e quello e mille altre cose ancora. Tu sei il Sole e la Luna e tutte le Foglie di tutti gli Alberi del Bosco. Tu sei la Stella del Mondo Come Dovrebbe Essere. E il Mondo ti ringrazierà, un giorno, per essere stata la sua memoria. Ritorna al tuo mondo ora. Mi mancherai e ti mancherò, ma sapremo aspettarci. L’attesa sarà più breve del tempo guadagnato. Stella si alzò dalla finestra un po’ incantata, sentendo arrivare il camion del latte. Polpaccino, vieni fuori che ti ho portato la spesa! Dai che ho fretta! Le urlo il lattaio. E lei, Stella la magra detta Polpaccino, scese di corsa le scale ridendo.