Premio Racconti nella Rete 2023 “Di rimando” di Raffaela Lettieri
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Il rumore cadenzato dei suoi passi lenti sulle foglie rinsecchite lungo il vialetto ghiaioso che conduceva alla porta d’ingresso diedero a Marco, similmente alle altre volte, lo stesso senso di oppressione e sconforto che, anche a distanza di tempo, era incapace di contenere. E di tempo ne era passato tanto! Le stagioni si erano susseguite con la voracità che richiedono le attese e la quotidianità che accatasta le cose in modo piatto e noioso, cupo e inquieto, solo di rado in modo più solerte. Eppure lui, caparbiamente, continuava a pensare alla loro storia come il grande amore della sua vita, intensa e passionale, travagliata e sofferta, incastonata in spazi temporali fatti di vuoti e di assenze. Quale fosse, infatti, la dimensione del tempo nella sua mente era un mistero. Di esso utilizzava i giorni in cui si sentiva più predisposto ad uscire allo scoperto e, annullando i rimanenti, appariva con la stessa facilità con cui spariva subito dopo averle fatto visita.
Prima di suonare il campanello, si strinse nell’impermeabile, di un nocciola sbiadito, come se la leggera brezza autunnale fosse la causa del lungo brivido lungo la schiena. Poi, si soffermò a guardare il pianerottolo esterno e i diversi vasi sul davanzale. Niente era diverso in quell’angolo che dava sulla strada principale, da come lo aveva lasciato. Le piante grasse disposte una accanto all’altra resistevano alla volubilità delle intemperie con meno fragilità delle altre e la panca, leggermente scorticata, si manteneva solida e robusta, nonostante le piogge e le arsure estive. Istintivamente, ripensò alle volte in cui, lei seduta e lui in piedi, poggiato alla ringhiera, fumavano l’ennesima sigaretta fuori per evitare che l’odore impregnasse le pareti di casa. Dentro gli anelli di fumo risuonavano le loro risate e le voci, a volte pacate, altre concitate, con colpetti di tosse che spaziavano nella conversazione fino a terminarla. Ricordi nitidi, semplici, familiari che gli diedero più coraggio, come se anche la sua anima fosse rimasta impigliata tra le foglie delle piante ornamentali e nei cerchi concentrici vaporizzati verso l’alto, immobili, ad attendere il suo ritorno. E di ritorni ce ne erano
stati diversi, inizialmente carichi di aspettative, poi, impastati del solito odioso confronto affidato alle parole. Parole di pietra, dure, che scorticavano le sue fragilità in modo angosciante rimuovendo sensi di colpa e inadeguatezza. Sì, le parole di Anna, sua moglie, ad ogni loro incontro, non gli lasciavano scampo, inflessibili, rigide, rigorosamente lucide, non prive, però, della sofferenza con la quale le aveva accolte dentro di sé, motivandole. Nella rapida ed ininterrotta veemenza le uscivano di bocca con la precisione di un ragioniere e gravavano su di lui come sfere di piombo. Anna sapeva riconoscere le emozioni. Aveva imparato, come una pannocchia che si sgrana dall’involucro, a cogliere la loro essenzialità, pur consapevole di quanta ambiguità si nascondesse nell’intensità di lasciarsi coinvolgere o nella determinazione di non farlo. Un travaglio che l’aveva tormentata in tutte le relazioni precedenti e che. solo ultimamente. aveva trovato in lei il giusto equilibrio.
Quando la porta si aprì, Marco notò subito il suo abbigliamento sportivo e si sentì rassicurato da ciò che presagì come un incontro rilassante, distensivo. Il trucco era curato nei minimi particolari e sottolineava i suoi occhi grandi, profondi, dalla luminosità cangiante. Lo sguardo penetrante accompagnava le delicate sfumature dell’ombretto, più carico ai lati e nell’incavo, più tenue verso le sopracciglia folte, larghe e ben definite. Una cascata di capelli lunghi, neri-corvino incorniciavano il viso dandole l’espressione seduttiva della sensualità naturale. Anna accennò un sorriso e si scostò dall’uscio per farlo entrare, rimanendo in piedi fino a quando fu lui a sedersi. Il disagio incespicò in una serie di convenevoli che a lui sarebbero bastati per credere che andasse tutto bene, se non fosse che lei, si propose in modo insolito, rimase in silenzio poggiata al bordo del divano in attesa che fosse lui a parlare. Marco ebbe la sensazione di una voragine che lo inghiottiva lentamente facendolo sprofondare in uno stato di confusione e contraddizioni. E, mentre dentro arrancavano in modo disordinato le ferite nascoste, alla mente pulsavano tutte le cose che non
aveva saputo pretendere per sé e le proprie scelte di vita, alterate dall’accondiscendenza completa e incondizionata a sua madre troppo presente, troppo invadente, troppo in tutto. Il tono di voce mutò di rimando, dando inizio a una litania di ammissioni e di scuse, solite anch’ esse: ? Ti amo, continuava a ripetere, concitato. ? Non posso fare a meno di te.
Lei ebbe un moto di stizza per “quel fare a meno”, affermazione superficiale, insignificante, vuota che si cibava di pensieri astratti, contorti più che di presenza nella quotidianità. Era sconcertante la sua visione dell’amore a distanza come le adozioni che implicano solo l’offerta, ma non incidono su altro. “Non posso vivere senza di te.” intendeva non posso vivere se non ti occupi e preoccupi per me, se non spiani la via alle mie difficoltà, se non mi affianchi quando…? Una visione narcisistica, cristallizzata nella conflittualità interiore che sua madre aveva controllato nel tempo e che li aveva tenuti separati e uniti.
Anna si alzò di colpo, sostenuta da una calma surreale. Si avvicinò fermandosi a pochi passi da lui. Lo guardò a lungo, diritto negli occhi, come se lo vedesse per la prima volta. Il suo viso contratto dalla nudità emotiva le sembrò quello di un estraneo. I lineamenti che aveva amato e fatto scorrere tra le dita nelle notti d’amore trascorse quando si erano appartenuti erano alterati dalla paura di non essere abbastanza convincente. Si accorse di quanto fosse invecchiato. Ai lati della bocca e degli occhi rughe profonde segnavano il tempo che aveva raggirato e apertamente mostravano quanto fosse trascorso inutilmente. Lo sentì lontano, perduto. Una fitta le attraversò l’anima, frantumandola in minutissimi pezzi di cui poteva sentire il tonfo sordo del loro rotolio, poi la sentì irrompere come una saetta nella mente che lesse quell’incontro come l’ultimo atto della storia.
Quell’uomo non avrebbe mai potuto prendersi cura di lei, preoccupato com’era dalle sue fragilità di cui si faceva scudo per non uscire dal ventre che lo aveva generato e che continuava a trattenerlo in nome dell’amore.
Con fare risoluto si diresse verso la porta, l’aprì con lenta determinazione quasi a volere che quel lento scricchiolio fosse l’ultimo rumore che avrebbe ricordato: ? Mi dispiace, disse…
Una leggera frescura la colse in pieno viso prima d’infilarsi con sollecitudine in casa, spandendo l’ odore dell’ autunno caldo e gradevole tra le pareti e sugli oggetti. Fuori l’ ombra sbiadita di uno sconosciuto diventava allo sguardo sempre più lontana fino a scomparire tra i pochi alberi del viale e qualche macchina parcheggiata.
Un bel ritratto dell’istante che rivela la fine di un rapporto, il crocevia dove i due cammini divergono. Mi è piaciuto molto il cambiamento del punto di vista da lui a lei. Complimenti Raffaella
La minestra riscaldata non è proprio tanto buona!!!
Meglio cambiare pietanza!
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Racconto coinvolgente e intenso
Anche a me è piaciuto il passaggio dal punto di vista di lui a quello di lei, veramente una bella trovata stilistica, complimenti! E mi è molto piaciuto il titolo, perché anche i titoli devono essere accattivanti e questo lo è.
Un racconto davvero molto bello, carico di nostalgia e di sentimento, anche se non più corrisposto da entrambi. Complimenti!
Anche in poche righe, il tema c’è tutto. Anche attraverso poche parole, il lettore comprende la sofferenza e il disagio. Mi piacerebbe sapere in che modo, quella madre, è stata troppo presente. Molto interessante. Complimenti!