Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Il cardinale Sborrabicchieri” di Fabrizio Buratto

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Il cardinale Sborrabicchieri era in pole position fra i papabili: «Prima gli italiani», si vociferava – sottovoce come quando si recita il rosario – tra i primi inter pares della fronda italica, pronta a riprendersi il soglio pontificio calpestato sul finire del secolo scorso dal miracolato polacco, quindi dal pastore tedesco e, da ultimo, dal discolo argentino.

Ci manca solo il Papa nero, passato di moda in seguito al doppio mandato del presidente americano, che non ha lasciato il segno nella Storia. Perché “le magnifiche sorti e progressive” sono un mito, e i cardinali italici lo sanno bene: la Chiesa, in quanto istituzione plurisecolare, ha il dovere di essere conservatrice. Altrimenti, a furia di aperture – una corrente di qua, una di là – gli spifferi si trasformeranno in tempesta e le finestre prenderanno a sbattere con veemenza sempre maggiore, fino a quando verrà giù tutto.

Forti di tali certezze, i porporati italiani – discendenti di quelle famiglie che, scannandosi fra loro, si assicurarono nei secoli il potere facendo grande Roma e l’Italia con i tesori che tuttora il mondo intero ci invidia –, erano convenuti sul nome che più di tutti offriva garanzie di equanime ridistribuzione: il cardinale Sborrabicchieri.

Ci vollero parecchie cene prelibate e ritiri spirituali in monasteri lontani dal popolo – luoghi dove la vista è nutrita almeno quanto lo spirito –, per addivenire al nome di tale cardinale dalle antiche origini romano-venete il cui ramo materno, sul finire del Seicento, ebbe la felice intuizione di mischiare cromosomi e possedimenti con una famiglia romana dalle malcelate origini volgari. E fu così che alla genìa degli Sburra – il cui etimo rimanda inequivocabilmente alla “suburra” – si unì quella dei Bicer. Stiamo parlando di bicchieri pregiati, in vetro di Murano, grazie ai quali gli Sburra – commercianti che, per sbarazzarsi della concorrenza, non disdegnavano metodi oggi definiti mafiosi –, si arricchirono a dismisura, assicurandosi il monopolio dei calici di lusso.

In una lezione di economia dei nostri giorni, procedendo con lo storytelling di questa case history di successo, si racconterebbe che gli unici fornitori degli Sburra erano tali artigiani del nord-est, i Bicer, accaniti bevitori che, fra un bicchiere e l’altro, soffiavano il vetro bestemmiando da mane a sera – come solo i veneti sanno fare – per il caldo delle fornaci incandescenti nelle quali erano costretti a lavorare. Grazie al posizionamento conquistato, gli Sburra, fecero del loro brand uno status symbol: qualsiasi Papa, per non parlare di un prelato che volesse ambire a più titolate gerarchie nella Ecclesia del Signore o di una famiglia di parvenu decisa alla scalata sociale, si trovava dunque costretto a far bella mostra, su tavole riccamente imbandite, dei bicchieri con la “esse” di Sburra.

Tornando al Nostro, si era ormai giunti al punto che, qualora si fosse domandato al più latitante dei vaticanisti di quotare la vittoria dello Sborrabicchieri al prossimo conclave, ne avrebbe conchiuso una cifra davvero misera, come quando il nome del vincitore è il risultato di una pura formalità. Era solo questione di tempo; di quando Dio avesse ritenuto di chiamare a sé l’argentino, frutto del seno di emigranti piemontesi andati a cercar miglior sorte “quasi alla fine del mondo”.

Neppure a ’sto giro i cardinali erano unanimemente d’accordo su chi dovesse rappresentare Dio in Terra, rendendo manifesto ancora una volta il grande difetto del sistema cosiddetto democratico, inviso al medesimo capo supremo del Vaticano che, sulla base dello stesso, era fintamente eletto. Su di un punto le gerarchie ecclesiastiche convenivano: quando fossero state chiamate ad esprimere il loro voto, fare presto. Occorreva offrire ai media la sensazione che la discussione fosse rimasta nei limiti di un pacifico e civile scambio di opinioni: una, due fumate nere al massimo. E alla terza, il cardinale protodiacono sarebbe stato chiamato ad affacciarsi alla ben nota finestra sull’ineffabile piazza berniniana dello Stato più piccolo del mondo per l’annuncio urbi et orbi: Habemus Papam! Campane a festa: ora inizia il divertimento…

Occupare ad oltranza la cappella Sistina, come avvenne in tempi in cui le logiche di potere prevalevano ancora su quelle di marketing, significava inoltre sottrarre tanta bellezza del creato – e i derivanti introiti – alle centinaia di persone che, quotidianamente, accorrono da ogni dove per ammirare i michelangioleschi affreschi, senza peraltro notare, o quantomeno interrogarsi, su quelle singolari decorazioni a forma di vulva – con tanto di piccole e grandi labbra – che quel buontempone del Buonarroti dipinse per intervallare santi e madonne.

Perché lo fece? I critici d’arte, ovviamente, non concordano. Alcuni addirittura negano di vederle. Ma ciascun freelance, in cuor suo, sa bene quanto possano risultare noiosi i committenti, anche i più danarosi, e Dio solo sa quanto stress arrecasse a Michelangelo quello stuolo di porporati più realisti del re, pronti a censurare la benché minima nudità, si trattasse anche di un alluce valgo, come se i figli di Dio ancor non fossero pronti a rimirar in qual guisa il Creatore li avesse concepiti.

Ma beati i tempi in cui si poteva ragionare di simili quisquilie, tempi in cui nessuno osava mettere in discussione i princìpi della Chiesa, che aveva alle sue dipendenze principi e re, vassalli con relativi eserciti. Il demonio, nei secoli, trovò il modo di moltiplicare i suoi canali per maledire: caratteri a stampa, giornali, radio, televisione… e ora anche internet. Non sfugge più nulla: domandate ad un qualsiasi analfabeta funzionale e vi saprà dire cos’è lo IOR, mentre giornalisti ben più ignoranti e in malafede dell’eretico Giordano Bruno si sentono liberi di accusare la Chiesa dei crimini più efferati, senza peraltro finire bruciati a Campo de’ Fiori.

Il cardinale Sborrabicchieri sa come porre fine a tutto questo. Sono anni che studia e affina il metodo. Che lo lascino fare, ci penserà lui. Quanto a me, umile cronista, servo di servi, sono d’accordo con voi: la stessa devozione alla carriera che ha condotto – più che meritatamente – lo Sborrabicchieri ad un passo dal soglio pontificio, avrebbe da tempo dovuto indurlo a cambiare quel nome… alle volte basta una lettera in più o in meno. Mirabile l’esempio dei Borgia, che si limitarono ad aggiungere una “B”. Nel suo caso, forse, sarebbe sufficiente togliere la “S”: Borrabicchieri. Ancor meglio Borra. E basta. Nome corto, deciso.

È pur vero che a prevalere in tv e sulla bocca delle persone, sarà il suo nome da Papa: Pietro. Una bella rifondazione, una pietra sopra gli ultimi monarchi stranieri. Tornare indietro per andare avanti. Ma quel nome rimane un problema, come un peccato originale, perché nomina sunt consequentia rerum, e la Chiesa non può sopportare altri scandali sessuali. Dunque si proceda con la nomenklatura: Bergoglio, Borra… una successione dolce, alfabeticamente necessaria.

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9 commenti »

  1. Per quanto mi riguarda, vinci a mani basse già dal titolo… Bella cronaca, scritta bene, acida al punto giusto. Bravo!

  2. Già il titolo prepara a una lettura particolare, uso ben riuscito di diversi linguaggi: storytelling e Habemus Papam non sono certo facili da integrare nello stesso racconto!
    In bocca al lupo!

  3. Bravo, bravissimo! Titolo perfetto, racconto scritto bene con la giusta dose di ironia. Hai talento!

  4. Bello e ironico! In bocca al lupo

  5. Divertente e pungente dall’inizio alla fine. Il tuo linguaggio, una valanga che non perdona. Complimenti!

  6. Racconto strepitoso, esilarante e caustico dall’inizio alla fine. Chapeau!

  7. Da veneta mi ha fatto molto ridere a cominciare dal titolo e dagli artigiani del nord est. Racconto molto piacevole, scritto bene.Complimenti.

  8. Ironia e stile. Una successione alfabeticamente perfetta. Complimenti!

  9. Beati i tempi in cui si può usare l’ironia per manifestare le proprie idee e fare riflettere senza essere censurati da un regime o un istituzione religiosa! W la libertà di espressione!
    Ottimo racconto, sorprendente sotto molti aspetti e scritto benissimo. Lettura piacevolissima.

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