Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Colazione con il Linfoma” di Giusy Tomasino

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

(counselor e dintorni)

Chi l’avrebbe mai detto!

Non avrei mai pensato che iniziare quel percorso avrebbe provocato una reazione a catena così violenta, così intensa da lacerarmi l’anima.

Avevo cominciato perché pensavo di dover combattere i fantasmi che il mostro aveva lasciato nella mia testa, quei fantasmi che si erano impadroniti del mio cervello e che mi impedivano di godere appieno la vita dopo la vittoria.

I ricordi del passato continuavano a passeggiare indisturbati nel mio cervello e le loro radici erano arrivate fino alla mia anima. Quelle radici che erano appena entrate a fondo e che erano riuscite a dilaniarla così come i denti aguzzi di una iena riducono a brandelli la pelle di un essere vivente.

Non riesco a sopportare di non essere all’altezza, non riesco a sopportare di essere debole.

No, non è la morte che mi fa paura ma questa debolezza dentro di me e non capisco perché io ne abbia tanta paura perché ho più paura di lei che del cancro.

Non voglio essere aiutata, ma ho chiesto aiuto, son confusa, stremata e disorientata, ho bisogno di tutta la mia forza per combattere questo mostro tentacolare che mi aggredisce cellula dopo cellula, silenzioso e letale come una pantera ferita a morte, che, acquattata nel buio, attende silenziosa e paziente.

Lo so, son fortunata, la roulette della vita ha estratto il numero giusto per me, mi è stata concessa un’altra opportunità e non posso trattarla con leggerezza, ma la mia mente è stata come accartocciata da una gigantesca mano e, nonostante io sia viva, i segni lasciati sono profondi e indelebili, ed è per quello che ho chiesto aiuto, perché credevo che fosse l’uso della parola “remissione” al posto della parola guarigione a farmi paura.

E invece no, questo strano tête-à-tête con il linfoma è solo lo specchietto per le allodole e qui, seduta di fronte ad una psicologa che mi guarda senza aver detto null’altro che un buongiorno, sento come un’onda impetuosa che, salendo lungo la gola, sbatte sulle mie labbra premendo con forza, ed all’improvviso sento la mia voce:

– Non posso piangere, non posso essere debole.

La psicologa di fronte a me continua a restare in silenzio, gli occhi fissi nei miei, ed io mi domando cosa sia venuta a fare, perché non parli, perché non mi aiuti. E proprio il suo silenzio spinge ancora le parole lungo il mio corpo.

– Se piango crolla tutto. Io sono il perno, la mia famiglia ruota intorno a me non posso mostrare quello che ho dentro. Ci ho messo mesi anni per costruire questa immagine perfetta questa immagine forte e sicura e poi, arriva lui e pretende di distruggere quello che ho creato.

Un impercettibile movimento del capo della dottoressa mi fa capire che mi sta ascoltando, ma non proferisce parola, si limita a guardarmi senza staccare i suoi occhi dai miei.

– Vorrei urlare! – mi sento dire

Ed a quel punto la statua di sale che mi siede di fronte, si anima, accavalla lentamente le gambe e, finalmente, parla.

– Cosa vorresti urlare? – chiede

Un fiume, un fiume in piena che attraversa i miei sensi, travolge tutto ciò che trova e continua per la sua strada. Stringo i denti ed i pugni opponendo una inutile resistenza, perché quel fiume si gonfia, si nutre dei ricordi che trova sulla strada, travolge ogni resistenza ed abbatte ogni barriera.

– Vorrei urlare che sono stanca. Sono stanca di indossare maschere, una per ogni occasione, come in un atelier di maschere, da giorno, da sera, maschere da tè e maschere di circostanza.

Sono stanca di sorrisi finti ed auto ironia da quattro soldi.

Sono stanca di essere forte, di avere una parola per tutti, di essere la spalla su cui piangere e la mano a cui aggrapparsi; stanca di essere il sostegno, stanca di capire, stanca  ..

Mi guardo le mani e mi accorgo che son bagnate, bagnate delle lacrime che scorrono sul mio volto senza che me ne sia accorta, mi rendo conto che ho il fiato corto perché i singhiozzi spezzano il mio respiro, non mi importa, non mi importa se lei mi ascolta o meno, non mi importa delle lacrime, non mi importa più di nulla, inspiro profondamente e ricomincio a parlare.

– Vorrei urlare che le mille maschere che anche voi indossate, sono il festival dell’ipocrisia di cui siete dispensatori, senza porvi domande, e senza mai domandarmi chi sono veramente io. Voglio urlare basta guardandovi in faccia, voglio chiedervi cosa altro vi aspettate da me, vorrei sapere se, in fondo, sono mai stata davvero importante per qualcuno di voi.

Ed ecco che la sfinge si anima, stringe gli occhi, si guarda indolente le unghia e, con aria quasi annoiata chiede:

– E quindi?

E quiindiii?!?

Questa… questa non so nemmeno come definirla, mi chiede “e quindi?”

Ma si rende conto di quello che sto dicendo? Non riesco a parlare, la gola stretta in una morsa, le parole, come impazzite, danzano e premono contro le mie sinapsi, sento la testa che scoppia, la lingua cerca uno spazio e preme contro denti e labbra, serro i pugni, come a trovare la forza in un gesto e, finalmente, la mia bocca si apre in un rabbioso ruggito:

– Come sarebbe a dire e quindi? Cosa ne sapete voi della paura e della rabbia? Cosa ne sapete della sensazione di essere sempre un passo indietro? Vi siete mai domandati cosa provo, quali demoni si agitano dentro di me? Avete mai guardato oltre, oltre le apparenze, oltre le maschere, oltre i miei occhi? Vi siete mai accorti del pozzo nero nascosto nel mio sguardo, le mie paure, il gorgo da cui vengo sistematicamente risucchiata? Avete mai prestato attenzione a quel suono indefinito che fanno le mie unghie tentando di risalire dalla notte infinita che tenta di avvolgermi? Vi siete mai domandato quale sia la differenza tra la mia maschera e le mille maschere che voi portate? Perché, perché le mie urla silenziose son rimaste inascoltate, perché avete bisogno del suono gutturale del dolore, perché tra una maschera e l’altra non provate ad essere umani?

Inspiro profondamente, cerco inutilmente e rabbiosamente di asciugarmi le mille lacrime e, nel silenzio assoluto che mi avvolge, mi rendo conto che la psicologa continua a fissarmi, senza nessuna emozione visibile sul suo volto ed io vorrei prenderla per le spalle, scuoterla e urlarle addosso tutta la mia paura, la mia rabbia, la mia solitudine.

Cosa ne può sapere lei di una lacrima nascosta, legata con il filo dell’orgoglio, dei nodi del dolore nascosti tra le mie ciglia? Cosa può saperne della paura, del terrore, della certezza di non essere mai adeguata, di essere sempre fuori tempo, sopra le righe, di non essere amata per quello che sono?

– Ma lei – continuo rivolta a questa donna che finge di interessarsi a me – cosa ne sa dell’immagine che mi sono costruita, giorno dopo giorno, tassello dopo tassello?

Cosa ne sa del mio essere come altri vogliono che io sia, del mio non essere padrona della mia vita, dell’essere sempre a disposizione di tutti, dell’ansia di piacere, di essere accettata? Delle mie paure, del desiderio di essere diversa, della stanchezza infinita del vivere nel nulla della vita? Cosa accidenti ne sa lei dei mille dubbi che lacerano la mia anima, della sofferenza infinita che, come un’edera velenosa, avviluppa la mia anima giorno dopo giorno, nascosta dai miei inutili sorrisi?

Vorrei non soffrire più e fermare le lacrime che riempiono la mia anima ed il mio cuore, invece di scoprire che non sono finite, che ce n’è sempre ancora qualcuna che piango disperatamente sola senza nessuna via di scampo.

Ed ecco che, all’improvviso, quel camice bianco prende vita, come se io stessa l’avessi rianimata, si erge sulla sedia, e, con il dito puntato su di me, gli occhi socchiusi, stretti in una fessura da cui sembrano uscire lame affilate e un sorriso finto come una moneta falsa, con voce glaciale e tagliente, mi chiede:

– Ma sono gli altri a chiederti di essere diversa?

Mi manca il respiro, lei continua a fissarmi sardonica, ed io non riesco a respirare.

Mi alzo, muovo due passi, boccheggio cercando aria, come un pesce fuori dall’acqua, mi sento un macigno sul petto, inspiro aria più e più volte, mi porto le mani alla gola come stessi soffocando, come se una mano enorme impedisse all’aria di entrare nel mio corpo, mi lascio cadere sulla sedia, la testa reclinata all’indietro, e bevo aria, avidamente finché quella sensazione di soffocamento sparisce, ed il respiro riprende un ritmo regolare.

Ed all’improvviso nella mia mente risuonano quelle parole:

– Sei tu che lo permetti, sei tu che apri le porte della tua casa e della tua vita a tutti, rendendoli padroni e non ospiti. Sei tu che soggiaci ai desiderata di tutti, come se tu fossi niente e gli altri fossero tutto. Se tu per prima non credi in te, se non ti rispetti, come pretendi che gli altri possano rispettarti?

Lei, il mio grillo parlante, la mia amica di sempre, la presenza costante nella mia vita da oltre 55 anni. Me lo ha sempre detto. Mi ha sempre rimproverato di consentire a tutti di disporre della mia vita, di sottostimarmi, di non accettarmi ed apprezzare per quello che sono.

Annamaria …… il mio stesso cuore, come io sono il suo, il mio ieri, il mio oggi e il mio domani, l’Amica con la A maiuscola, la persona con cui ho diviso gioie e dolori. L’amica speciale, quella che c’è sempre anche quando non sembra. Noi non abbiamo bisogno di vederci, abbiamo sempre saputo che, se una delle due avesse chiamato, l’altra avrebbe risposto, sempre, dovunque si trovasse.

E così è sempre stato, e domani, con lei, brinderò alla vita.

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3 commenti »

  1. Bella scrittura scorrevole, hai la capacità di fissare sulla carta le emozioni in modo molto preciso. La descrizione di quello che la protagonista prova è come un vortice che ti prende e ti conduce nel buio di ciò che prova. Bella la figura dell’analista che avrei approfondito. Personalmente avrei cercato un finale diverso, stacca un po’, anche come stile di scrittura, dal resto della storia. Comunque brava.

  2. L’ho letto con coinvolgimento fino a 3/4 circa. Poi qualcosa è cambiato, forse c’era fretta di arrivare al finale (per il discorso battute).
    Mi è piaciuta la caratterizzazione della psicologa che, alla fine, non ho capito se è anche la sua amica, confusione generata da questo improvviso terminare.
    Lo rileggerò, non escludo di essere stata io a perdermi.

  3. Grazie, le critiche son bene accette per poter migliorare
    P.S.: Non la psicologa non è la mia amica

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