Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “La fuga” di Adelaide Gioci

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Mi insegue ancora, corro, affanno ma continuo a correre. Sento il cuore in gola, i muscoli delle gambe mi fanno male, avrò l’acido lattico in sovra produzione.

E’ buio , la strada è deserta, il vento gelido di dicembre mi taglia la faccia, ma ho ugualmente la schiena bagnata di sudore.

Continuo a correre, giro appena la testa per guardare dietro, sono riuscita a distanziarlo di molto

ma lo intravedo in lontananza che continua a inseguirmi.

I miei passi rimbombano  sui sampietrini , da lontano avvisto un uomo con un cane al guinzaglio

mi dirigo verso di loro, ci distanzia  un grande spiazzato di auto parcheggiate, mi accovaccio dietro una di queste per riprendere fiato, guardo in direzione dell’uomo con il cane, spariti.

 “Maledizione! “, penso.

Potrei urlare, ma mi manca il fiato per farlo . Mi guardo intorno, per capire da che parte fuggire.

Alla mia sinistra vi sono dei giardinetti, alla mia destra la stazione ferroviaria, opto per quest’ultima.

Ho i battiti accelerati, ma non posso fermarmi ora, mi raggiungerebbe e mi dirigo verso la stazione.

Anche se sono le due del mattino, spero di trovare qualcuno .

Guizzo fuori da dietro l’auto , dove mi ero nascosta, ho le gambe pesanti e la mia corsa è più lenta.

Sono davanti all’entrata della stazione  e intravedo un’ombra in  lontananza che mi cerca tra le auto.

Pensavo di averlo distanziato, ma sembra senta il mio odore, non  riesco a far perdere le mie tracce

mi perseguita, instancabile, ossessivo.

La biglietteria è chiusa, passo oltre e arrivo ai binari, non c’è anima viva.

Rimango ferma, le gambe iniziano a tremarmi,  guardo intorno, mi dirigo verso la scritta , BAR

anche qui chiuso, un cartello avvisa che aprirà alle cinque.

Oltrepasso i bagni, di certo non vi entro, sarebbe come chiudermi in una trappola.

Corro più forte, scendo le scale che portano ai vari binari, se potessi, userei il cellulare ma è scarico.

Mi sento persa, avverto un senso di soffocamento, il panico sale dal torace fino alla gola, ho il fiato corto.” Calma, calmati ”,  la mia mente mi urla, “calmati o sei fregata per sempre”.

Nel tunnel si susseguono i numeri dei binari, mi accorgo che c’è un’altra uscita, affretto il passo

mi ritrovo in un parcheggio, a destra un grande cancello che fa da entrata ad un parco.

Il cancello è chiuso da una grossa catena, in cima termina con punte a forma di pugnali, verso sinistra ne mancano tre, bene, penso, sono facilitata per  scavalcarlo.

Mi arrampico, su un mezzo muretto di cinta  che sporge appena, metto un piede su un archetto

che crea un disegno a ghirigori a metà del cancello, mi spingo stando attenta a non cadere, riesco a scavalcare, sono dall’altra parte, all’interno del parco.

Sento rumore di passi, sicuramente è lui, mi ritorna l’angoscia, scappo via.

Percorro un grande viale, delimitato da entrambi i lati da alberi altissimi, immagino siano dei  pioppi, forse tigli, in questo buio pesto non riesco a distinguerli. I lunghi rami assomigliano a braccia tese verso il cielo, sembrano cercare aiuto, vorrei sapere volare per posarmici sopra e non farmi trovare.

Continuo a correre, avverto maggiormente il freddo, ho le tempie che pulsano come due tamburi

se avessi un foro al centro del cranio, mi schizzerebbe fuori il cervello come magma incandescente.

All’improvviso il viale si illumina, la luna è fuoriuscita da una grossa nuvola nera che la copriva del tutto. Mi volto indietro, da lontano vedo una sagoma piccolissima, è riuscito a scavalcare, in questa luce sarò visibile, devo nascondermi. Balzo dietro un albero, un gufo bubola accompagnando i miei

passi. Sussurro alla luna  di sparire, mentre una lacrima scivola sul mio viso.

La luna, sembra ascoltare la mia preghiera, scompare di nuovo dietro lo stesso nuvolone.

Sarei felice, se fossi un gatto,  cosi riuscire a vedere anche in questo buio fitto.

Corro di nuovo, ora sono su un prato, dove i miei passi sono attutiti dall’erba.

Inciampo in un piccolo tronco, forse spezzatosi dal forte vento dei giorni passati, riesco ad attutire il colpo portando, istintivamente le mani d’avanti, ma ugualmente batto il ginocchio.

Mi rialzo, le mani bruciano e il ginocchio duole, a piccoli saltelli raggiungo un grosso cespuglio e

mi intrufolo dentro.

Vorrei piangere ed  urlare, ma ingoio le lacrime, ho i palmi delle mani tutti graffiati e il jeans strappato all’altezza del ginocchio che sanguina.

Mi accovaccio a terra, la visione del sangue , mi ricorda  quel giorno maledetto.

Il volto di Liliana mi ritorna alla mente, il suo sorriso,la sua vitalità.

Vorrei che quel giorno, non fosse mai esistito, è passato più di un anno ma il ricordo è ancora vivido

come se fosse accaduto ieri.

Quella mattina d’Aprile, eravamo felici, il cielo era di un  azzurro intenso.

Avevamo programmato quella gita da settimane, ci aspettava un escursione sui Monti Sibillini.

Il racconto di alcuni amici che vi si  erano recati l’anno prima, aveva solleticato la nostra curiosità.

Nessuna delle due, prima di quel giorno, si era cimentata in una camminata in montagna e la voglia di sperimentare qualcosa di nuovo era tanta.

Sentivamo il bisogno di staccare la spina, io per il troppo lavoro, lei per una storia d’amore finita male. Quando passai a prenderla, saltellava dalla gioia, come una bambina alla sua prima gita scolastica, scaricò lo zaino sul sedile posteriore e la presi in giro, dicendole che il peso dello zaino era troppo e mi avrebbe fatto cappottare l’auto.

Il viaggio fu un susseguirsi di risate, di piccole e grandi confidenze ma soprattutto la gioia reciproca di ritrovarci a condividere qualcosa di piacevole.

Arrivate sul posto, ci unimmo al gruppo per l’escursione, eravamo le ultime della fila. Camminavamo a passo lento, gustandoci il panorama stupendo che ci si mostrava da ogni lato.

Ci inoltrammo su un sentiero di un bosco, la guida ci indicava dove volgere lo sguardo spiegandoci alcune piante che ne facevano parte, l’aria profumava di fresco, il sole faceva capolino attraverso la fitta coltre d’alberi.

Alla nostra destra, costeggiavamo un dirupo , da cui la guida, ci aveva caldamente raccomandato di  stare lontani.

Avevo portato la macchina fotografica, ero eccitata solo all’idea che tutte quelle meraviglie che mi circondavano, sarebbero divenute, con uno semplice scatto, ricordi indelebili.

Liliana era un passo dietro di me, la mia attenzione fu catturata da uno scoiattolo, che sentendo i nostri passi scappò via, su un albero, ma senza nascondersi, fu un tutt’uno l’idea di fotografarlo.

Lasciai il sentiero dirigendomi verso destra, Liliana si fermò,”Che fai ?” mi chiese, le feci segno di stare in silenzio e le indicai lo scoiattolo, allora mi sorrise.

Volevo fotografarlo il più vicino possibile, il gruppo nel frattempo proseguiva  portandosi avanti .

Liliana mi osservava, feci altri tre passi, ma scivolai cadendo seduta, scivolai ancora, ora verso il dirupo, continuando istintivamente , a tenere stretta tra le mani la macchina fotografica.

Liliana emise un “ODDIO” e mi corse incontro stendendo una mano  verso di me, per aiutarmi.

Ci guardammo negli occhi terrorizzate , Liliana inciampò in un sasso e  fu spinta in avanti , scivolò, la vidi ruzzolare fino al dirupo, urlai con tutto il fiato che avevo in gola, scomparve oltre il vuoto accompagnata dalle mie e dalle sue urla.

Fu un attimo e vidi la guida e gli altri intorno, avevano i volti sgomenti, io li fissavo immobile.

La guida mi lanciò una corda , mi disse di afferrarla di passarmela intorno alla vita, il terreno dov’ero era troppo scivoloso per avvicinarsi, dovette ripetermelo tre volte, perché focalizzassi quello che mi stava accadendo. Mi tirarono verso di loro, ero come pietrificata,.

Vedevo d’innanzi a me, ancora gli occhi terrorizzati di Liliana, mentre volava giù dal precipizio.

Riuscì a piangere dopo tre giorni, quando ne ritrovarono  il corpo.

I giorni che seguirono, furono un alternarsi di crisi isteriche e mutismo. Il mio cervello era ossessionato da un solo pensiero, se non avessi scattato quella foto, se non mi fossi avvicinata al dirupo, se fossi caduta io, se e ancora se,  ma ormai Liliana non c’era più, e la causa della sua morte ero io.

Da quel giorno, fuggo dal rimorso che mi insegue, mi dilania, mi ossessiona.

Anche oggi è qui, ha scavalcato il cancello e mi ha raggiunta.

Ora, la sua ombra nera mi fissa, mi condanna, mi tortura. Piango, ma non si impietosisce, non mi scagiona. Mi si è seduto accanto, sento le gambe tremarmi, ho freddo, sono raggomitolata su me stessa.

Nella mente, odo la voce di Liliana, sembra dirmi, “perdonati, io l’ho fatto non è stata colpa tua saresti potuta cadere tu, perdonati “.

Ha iniziato a nevicare, albeggia, l’ombra scura del rimorso si sta allontanando.

Ora la parola “perdonati “ mi rimbomba nel cervello come un mantra, nevica sempre più forte e un vento gelido mi avvolge, ho sempre più freddo, rimango ferma, non riesco a muovere più ne amba ne braccia, tutto intorno è coperto di neve e anch’io sono divenuta un tutt’uno con il cespuglio.

Non ho più paura, il rimorso è lontano, qui accanto a me, in questo bianco che mi avvolge, ora vedo Liliana che mi prende per mano.

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7 commenti »

  1. Bel ritmo incalzante che si adatta perfettamente alla storia. Scritto bene, si legge volentieri. Qualche refuso ma il racconto ne esce comunque accattivante. Brava

  2. Grazie.

  3. Ho letto volentieri anche questo, c’è la curiosità di arrivare alla fine. Anche in questo caso, c’è qualche refuso e spazi da sistemare, ma il racconto c’è.

  4. Prova ad alleggerire il racconto. Ci sono parti descrittive che nella prima parte (quella a cui vuoi dare un ritmo più veloce), lo rallentano. Metterei poi qualche indizio sul perché la protagonista scappi: passare dalla fuga al racconto della gita mi è sembrato come passare da un racconto ad un altro, non ho trovato continuità. (ma forse era la tua intenzione?). Ad ogni modo è un buon lavoro.

  5. Grazie per i consigli. Ho volutamente non dare indizi del perché la protagonista scappi, non solo per creare suspense, ma per dare un finale non scontato. L’idea è di far immaginare che si fugga da una persona, un uomo, che alla fine si rivela invece essere il rimorso. Al rimorso è difficile fuggire, è un ombra che accompagna e non dona pace alla protagonista. Il racconto della gita, è il ricordo che ripete a se stessa e che al lettore nel mentre lo legge, accende un ulteriore curiosità e lo porta alla scoperta di quel finale che non ti aspetti.

  6. Almeno ci provo, spero di essere riuscita nel mio intento, di catturare l’attenzione di chi legge il mio racconto.
    Grazie per i consigli.

  7. Si dice che il finale vada seminato, ma è anche vero che qui avresti allentato la suspance. Però alleggerire il feedback forse manterrebbe il bel ritmo dell’inizio. Comunque una bella idea, si legge tutto d’un fiato.

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