Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Racconti nella Rete 2009 “Dialogo sulla passione” di Marco Giampieri

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009

Siamo seduti uno di fronte all’altro.

Il sole si sta gonfiando vicino all’orizzonte ed il riflesso di quel fuoco sta bruciando il suo viso, riparato da grandi occhiali scuri, mentre io non ho riparo.

Quando le cose che immagini succedono, magari per caso,  io sento il bisogno urgente di essere altrove o  di osservare da lontano, ma starci dentro è penoso.

Non sono innamorato, ma adoro terribilmente la sua passione. E’ come un virus che mi ha lasciato dentro per caso, non ricordo bene neanche quando, un profumo strano che emana dalle sue parole.

Mi piace ascoltare la sua voce, quando si abbassa, quando è un soffio,  quasi un respiro sul mio collo. Spesso è il telefono che mi trasmette questa sensazione, quando ci vediamo è diverso, la vista è un inganno, prezioso certo, ma sempre un inganno.

Ci toglie il respiro, ma ci restituisce subito dopo la realtà, come se la realtà bastasse a capire le persone. 

Ora siamo qui, per caso.

 Poi ci penso, il caso non esiste o tutto avviene per caso. A me non fa nessuna paura il destino, anzi io amo il mio destino, quella strana successione di fatti innaturali, non spontanei, non voluti, sui quali dobbiamo esercitare una scelta.

Certo io non avrei mai potuto invitarla, lei non sarebbe mai venuta se io l’avessi fatto, così non dobbiamo giustificarci di niente, così non abbiamo voluto, così il nostro mondo è salvo.

Poi giustificarci perché?  Mica andiamo a letto insieme, anzi io non c’ho proprio mai pensato,  beh, magari baciarla si, le sue labbra sono così belle, e cosa più di un bacio può trasmetterti la passione di un’anima?

Quando parliamo delle nostre famiglie siamo sicuri, controllati, equanimi nel distribuire insofferenze e tenerezze, gioie e dolori, desideri e rinunce, siamo il riflesso di un ordine interiore imperturbabile. Senza ipocrisie, senza far mai mancare la verità ai nostri resoconti, siamo adulti insomma.

Ma ora siamo qui, soli, per caso.

Mani, occhi, gambe, labbra, sono qui, per caso, senza distanza, senza  famiglia, senza alibi; il tempo ora è come rappreso, condensato in unico gesto, anzi nell’attesa di un segno o di una parola.

Come sempre, dopo il caso, la scelta: quanto può durare questo incontro, di cosa parlare, rimarrà un episodio o il primo di altri, parliamo del più o del meno o parliamo di noi, si ma noi come, noi non siamo niente, c’è una strana sensazione, come se ci nascondessimo qualcosa, ma come dirlo senza ferire, senza cadere in tentazione, senza essere ridicoli.

 

                     Che strana congiunzione …

                     Sono contento ed anche un po’…

                     Certo a farlo apposta …

                     Beh, non avrei cambiato strada..

                     E’ strano, provo quasi pudore, non siamo abituati a parlarci e vederci … Togliti gli occhiali, per favore, non riesco a parlarti se non vedo i tuoi occhi.

 

Si toglie gli occhiali, sposta i capelli fuori dal collo della giacca, inclinando leggermente di lato la testa, appoggia la borsa sul tavolo, si siede, accavalla le gambe, si aggiusta la maglia sul seno.

 

                     Certo, il caso,.. a volte

                     Ah si,  così è meglio, fuori dalle regole, qualche volta abbandonarsi è meglio

                     Non me lo dire, se non ci fosse nemmeno l’occasione di desiderare qualcosa!

                     E tu cosa desideri davvero?

                     La passione, naturalmente!

                     E speri di trovarla,… dove?

                     Ognuno di noi ce l’ha

                     Ma ancora.. con Giulia..riesci.. ce la fai .. insomma c’è ancora passione?

                     E tu con Sergio allora? ma non bisogna subito pensare a quella passione … comunque a volte si a volte no.. Ma è proprio questo il problema, una persona , una sola, non può assorbire tutta la nostra passione, la passione va coltivata ed ogni terreno vuole una cura diversa. Il resto è affetto, stima, consapevolezza, responsabilità, magari erotismo, piacere ed anche passione.

                     Ma non hai paura che coltivare la passione spazzi via tutte queste altre cose?

                     E tu non hai paura che senza passione le altre cose neanche possano esistere? Se non hai passione per te stesso e per la tua vita pensi davvero di poter essere utile a qualcuno? Pensi che qualcuno si ricorderà di te perché tutte le sere ti fai trovare al posto giusto, al momento giusto, col giusto vestito, e dici tutte le cose giuste o per un bacio dato una volta come non ti è più riuscito di ripetere o anche per uno sguardo, una parola che ha lasciato intravedere la tua anima?

                 Non so se ho voglia che qualcuno si ricordi di me, non scambiare la passione con la vanità, tu usi la passione per soddisfare la tua voglia di gratificazione

                 Può darsi, anzi qualche volta sicuramente dovrei essere più selettivo, però sono convinto che prima o poi tutti, dopo aver portato all’altare i nostri doni, pensiamo sia giusto essere ricompensati

                 Attenzione anche la ricompensa è un dono, se ti aspetti qualche cosa vivrai sempre insoddisfatto

                 L’insoddisfazione è uno dei motori della passione, stiamo ritornando al punto di partenza, e comunque la felicità non è lo scopo della vita. La ricompensa o la gratificazione che io cerco, come dici tu, è una sorta di intimità profonda con gli altri, di complicità sostanziale che non ha niente a che vedere con la felicità o il banale amor proprio. Anzi spesso è legata ad una non possibilità, all’inclinazione a desiderare ciò che inevitabilmente non può accadere, alla condivisione dell’incredibile, in fondo alla percezione profonda del dolore.

                 Ma dai!! Più narcisismo di così, secondo me ci stai provando, è la tua tecnica di seduzione??

                 Beh, in genere con ampio insuccesso, nessuna si è mai impietosita a tal punto da concedersi . Tutto quello che ti ho detto del resto è nell’ordine del femminile, casomai, come hai detto tu attiene più alla vanità, ma le donne non amano la vanità negli uomini, soprattutto se ci vogliono andare a letto, forse perché non gradiscono abbracciare il riflesso sbiadito di se stesse.

                 Mah, ti piace essere lusingato!  Comunque a me piace parlare con te.

                 Infatti, è l’unica cosa che possiamo fare. Questa è la regola e siamo tenuti a rispettarla. Ma se per caso …..

                 Se per caso ….

                 Se per caso ci incontriamo e cominciamo a parlare, e ci guardiamo e perdiamo la nostra sicurezza, se per caso mentre parli non riesco a staccare i miei occhi dalle tue labbra, io non so se ….

                 Guarda che questa regola è una garanzia di equilibrio mentale oltre che di rispetto per noi e per tutti..

                 Pensi che non sarei in grado di mantenere questo equilibrio se sapessi o volessi qualcosa di più? Non essere così cattolica, pensare di uccidere qualcuno non corrisponde ad un omicidio.

                 Ma insomma alla fine tutti santi finiscono in gloria! Sempre lì andiamo a cadere.

                 Noi sappiamo che cos’è la passione, non puoi farmi credere che non sappiamo che cos’è la sofferenza. Non ti senti di condividere con me lo stesso desiderio ed il dolore, magari leggerissimo o solo di un attimo, che provi per la consapevolezza che non può essere realizzato? Lo capisco, dire a qualcuno “sei oggetto di passione” è una forma di intimità profonda,  dire “non mi stancherei mai di parlare con te ” è imbarazzante pensando a quanti silenzi riempiono la nostra vita quotidiana, anche con le persone che più amiamo. Forse significa anche procurarsi dolore, ma mi domando passione non viene da patire? Quali sono stati i momenti felici che tu ricordi, con nitidezza intendo dire? Io, se faccio uno sforzo di memoria, te ne potrei dire cinque, sei, non di più. Il battito del mio cuore su un prato e l’odore di quell’erba dopo una corsa, una notte in treno passata a parlare con una ragazza svedese, seduti sui bagagli in corridoio durante un viaggio verso Budapest,  la ruvidezza della barba di mio padre quando, nelle domeniche mattina, andavo nel suo letto, una sera a Trieste, di ritorno in Italia, dopo aver attraversato la Bosnia sull’orlo della guerra civile, il sapore della crostata mangiata al risveglio del primo giorno di matrimonio ….

Non ho mai smesso di guardarla negli occhi, ho capito che qualcosa stava cambiando, l’ho capito dall’umore liquido del suo sguardo, esaltato dal sole. Si è avvicinata, mi ha messo il polpastrello del suo indice sulle labbra e poi, avvicinandosi ancora, ha appoggiato le sue labbra sulle mie, molto piano, premendo quel tanto o poco sufficiente a farmi sentire la loro morbidezza ed un profumo nuovo, inaspettato, un profumo buono e caldo.

Poi da così vicino staccando le labbra mi ha detto:

        Spero che metterai anche questo tra i momenti felici. Sono contenta di averlo fatto, non voglio di più e non voglio darti niente di più di questo bacio, abbiamo già troppo in comune, ma questo ce lo siamo meritato, te lo dovevo per la passione dei tuoi occhi.

Io non ho detto niente perché mi è sembrato uno di quei momenti perfetti, in cui tutto sembra vacillare, e i tuoi sensi sono così fuori dai limiti usuali della loro possibilità di percezione che fai fatica a identificarti con il tuo esserci, con quel tempo e quel luogo, ma nello stesso tempo il dolore così intenso, così innaturale, così poco umano che riesci a sopportare, ti riempie di orgoglio e sembra quasi renderti invincibile. Senti di avere superato una prova, qualcosa che il caso ti aveva presentato come un inestricabile labirinto e dal quale, come un eroe mitico, sei uscito vincitore.

E’ la felicità di un attimo, di un giorno, l’estasi dei santi, che prelude ad un duro atterraggio, quando, ormai solo, il tuo corpo riassorbe il colpo e ricominci a respirare, a guardare,  senti di nuovo le mani, i piedi,  puoi riconoscere un attimo prima da quello dopo, senti di essere in un posto preciso, guardi l’orologio e ti rendi conto di quanto tempo è passato.

Sul  traghetto, tornando a casa, mi sono seduto fuori, lasciando uscire ogni pensiero dalla mia testa, fissando il mare in quella luce fredda e bluastra che prelude alla notte, cercando di mantenere il più a lungo possibile la sensazione delle sue labbra morbide e  la vista del mare.

E mi sono sentito un po’ in colpa, perché ho capito che era quel ritorno, quell’ondeggiare così dolce, quel vento familiare sul mio viso, quel vuoto innaturale e mirabile della mia mente, il momento felice che avrei aggiunto al mio scarno elenco.

 

  

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