Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “La passeggiata” di Giusy Càfari Panico

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

Gaetano si stropicciò gli occhi, abbagliato dal sole.

Il cielo limpido e il tepore primaverile gli facevano pregustare il piacere della sua passeggiata quotidiana.

Si preparò alla partenza.

Respirò a pieni polmoni l’aria fresca della valle e imboccò il sentiero che portava al rifugio.

Guardò l’orologio: aveva a disposizione un’ora esatta e avrebbe gestito la sua andatura come un maratoneta, per rispettare questa scadenza.

Gli alberi creavano un intreccio fitto attraverso cui i raggi del sole penetravano con fresca discrezione. Sotto un faggio faceva capolino un fungo carnoso e invitante come le labbra di una donna. Si chinò a guardarlo, ma dato che non aveva sacche per raccoglierlo e nessuna moglie che glielo cucinasse, si limitò a respirarne il profumo acre e avvolgente.

Un gorgoglìo richiamò la sua attenzione. 

Era proprio in quel punto che da bambino tirava fuori la borraccia e chiedeva a suo padre di riempirla d’acqua.

“Perché non lo fai tu?” gli diceva l’uomo con la sua voce imperiosa.

“Perché è ghiacciata!”

Da piccolo credeva che la cascatella del torrente finisse in un buco profondo dove aveva paura di cadere e di non tornare più. Ma non l’aveva mai confessato a nessuno.

Aveva paura dei buchi, allora. Poi, crescendo, non ne aveva più avuta di quelli piccoli, dove aveva fatto precipitare per anni cascatelle bianche e pericolose.

Si guardò le braccia che ne recavano ancora le tracce e vi fece scorrere l’acqua corrente. La frescura attenuò il rossore delle cicatrici che sembrarono quasi svanire.

A questo punto del sentiero, Gaetano e suo padre incrociavano la strada asfaltata. Qualcuno, dalle macchine, chiedeva sempre ai camminatori se volevano salire, per arrivare in cima più in fretta, come il vecchio Annibale, che andava con il suo apecar a raccogliere legna lassù.

Chissà perché poi. Perché c’erano alberi più belli, diceva.

O forse andava a parlare con Dio.

Si dice che lo facciano i vecchi quando stanno per morire.

E che Dio stia in montagna.

Per questo anche Gaetano aveva deciso di tornarci.

Ma Annibale non c’era più. Probabilmente era morto, come suo padre, che dicevano che l’aveva fatto morire lui, di crepacuore.

La strada, nell’ultimo tratto, era molto ripida e gli mancava il fiato perché non era più abituato a camminare.

Il corpo faticava, ma il sangue circolava veloce e il respiro profondo arrivava fino alle sue viscere. Le foglie accarezzavano le braccia ferite quasi a rassicurarlo mentre la solita voce imperiosa gli urlava: “Gaetano…Tanino, manca poco e c’è il rifugio!”

C’era da attraversare il torrente prima di arrivare. Si accorse di non avere le scarpe adatte. Come un equilibrista appoggiava le punte dei piedi sulle pietre scivolose, lambite dalla corrente.

Quando era bambino si rifiutava di andare avanti e suo padre lo doveva portare in braccio. “Se farai così anche nella vita non riuscirai mai a cavartela da solo.”

Ma non gli aveva dato retta.

Aveva sempre chiesto aiuto a qualcuno. O a qualcosa.

E poi non era più andato a camminare nei sentieri, ma con la compagnia di Peppe e dello Svelto. Loro avevano i motorini e tutto quanto e andavano sempre in città. Era con loro che era diventato lo “Sballa”.

“La montagna è una gran maestra”, gli ripeteva sempre suo padre mentre avanzavano verso la vetta. “Ti insegna senza parlare. Che bisogna rispettare il mondo e se stessi. E che quando raggiungi la meta ce l’hai fatta da solo e sei più forte di prima.”

A suo padre non erano mai piaciuti Peppe e lo Svelto e gli aveva dato uno schiaffo quando se ne era andato via con loro, mentre sua madre piangeva.

Guardò l’ora: il tempo stava scadendo.

Con una mano si appoggiò ad una roccia e, gemendo per lo sforzo, arrivò finalmente in cima.

Come d’incanto gli apparve, vestita di verde smeraldo, l’Abetina Reale, la foresta di abeti secolari, il luogo magico del suo piccolo mondo di bambino.

Si lasciò stordire piacevolmente dal pungente profumo di resina ed esclamò felice: “Hai visto, ce l’abbiamo fatta. E senza scorciatoie!”

Ma non c’era nessuno ad ascoltarlo.

O forse sì. Dalla porta del rifugio si intravedeva la sagoma di uomo che lo salutava con una mano. Forse era Annibale, forse suo padre, o forse solo la parte migliore di se stesso, lasciata in quella valle.

Gaetano si asciugò gli occhi, mannaggia come si era ridotto in questi anni. A piangere come una donna.

Attraversò la foresta e si lasciò pungere dagli aghi degli abeti. Ben diversi da quelli che avevano scavato nella sua pelle e nella sua anima e l’avevano portato a ferire la pelle degli altri. Talvolta a ferirla per sempre.

Un suono acuto risuonò nella valle:

“E’ finita l’ora d’aria. Tutti i detenuti ritornino nelle loro celle.”

Gaetano diede un’ultima occhiata al cortile che aveva percorso lungo tutto il perimetro fino a quel momento, e disse tra sé sorridendo: “Domani magari vado al mare.”

Loading

8 commenti »

  1. Molto bello

  2. Emozionante, il potere della fantasia…

  3. Bellissimo 🙂

  4. con la fantasia si può volare dove si vuole…bellissimo

  5. Mi è piaciuto molto, anche in questa occasione Giusy Panico, ha palesato la sua conoscenza tecnica della parola scritta dando anche ulteriore dimostrazione della sua fervida e innesauribile fantasia.

  6. Ben strutturato a livello stilistico. Il colpo di scena finale fornisce valore al racconto, inducendo a rileggerlo: quello che ho fatto. Bravo.

  7. I nostri percorsi, sopratutto quando sono stati faticosi, erti, pieni di insidie ed a volte non del tutto conclusi, ci rimangono particolarmente impressi. Ciò accade per sottili meccanismi psicologici per cui tutto quanto resta in sospeso, non pienamente compiuto, si fissa ancor più nella memoria: i compiti non portati a termine si ricordano di più rispetto a quelli terminati, ecco perché anche a distanza di tempo, continuano ad evocarci tensione. Nella storia di Gaetano svolgono però anche un’ulteriore funzione: lo tengono vivo . Racconto originale

  8. il racconto ha la forza descrittiva di un dipinto, trasmette emozioni.
    Complimenti.

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.