Premio Racconti nella Rete 2023 “Silenzio!” di Francesco Gaetano Caolo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Non ricordava come e quando fosse nata la sua ossessione.
Viveva in uno storico palazzo, affacciato sul lungomare di Salerno, da sempre. Un appartamento di famiglia, ereditato dal nonno paterno che a sua volta l’aveva avuto in dote dalla moglie.
Ne era sempre stato orgoglioso, ma quella che era la sua più grande fortuna, col tempo, si era rivelata anche la sua più grande ossessione.
Poteva osservare il mare, sentire le onde infrangersi sugli scogli, i gabbiani stridere pattugliando i flutti in cerca di prede. E ancora, sentire l’odore della salsedine, mentre il sole, silenzioso, andava a nascondersi dietro la Costiera, regalando colori caldi e inimitabili.
Poteva.
O meglio, avrebbe potuto.
Perché, e questo era il suo più grande cruccio (divenuto col tempo un chiodo fisso), quel lungomare, quel lungo tratto di strada che al tramonto si tramutava nel corridoio che conduce al paradiso, era insozzato da un continuo e inarrestabile viavai di persone.
Un vociare ininterrotto copriva i suoni a lui cari, rendendoli impercettibili o, peggio, distorcendoli, riducendo così la poesia ad una macchietta.
Per non parlare, poi, delle automobili, rumorose, dotate di clacson sgraziati azionati da conducenti disgraziati, e ingombranti. E -peggiore delle cose- fetide, al punto di cancellare completamente la fragranza marina.
Fino a tarda notte la situazione non cambiava. Certo, l’andirivieni andava man mano affievolendosi. Le auto divenivano più rade, le persone sempre più sparute.
Eppure, paradossalmente, il fastidio era ancora peggiore perché i pochi rumori prodotti dai disturbatori erano amplificati dalle strade semivuote. Pareva quasi che i ragazzi, che amavano tardare passeggiando sul suo amato lungomare, si divertissero ad alzare la voce per parlare tra di loro, al fine di far ascoltare le loro frivole conversazioni finanche a lui che abitava al quarto piano.
In un momento di rabbia arrivò addirittura a pensare che lo facessero apposta; che lo avessero adocchiato sbirciare tra le palme, nascosto dietro le imposte, e volessero così indispettirlo. Tuttavia non era pazzo e da solo sorrise (solo per un attimo, sia chiaro) della sua paranoia e tornò a crucciarsi della cattiva educazione dei giovani d’oggi.
E poi, anche se il lungomare fosse rimasto deserto per una decina di minuti (tanto agognava per goderne finalmente la sua essenza), di notte non c’erano gabbiani e la poesia sarebbe risultata monca.
Cominciò, così, a cercare quei dieci minuti di pace durante l’arco della giornata.
Chiedeva permessi al lavoro, sfruttava malattie e ferie per trovare il “suo” momento e diventare tutt’uno con il “suo” lungomare.
Dapprima tentò orari comodi: le 7 del mattino, poi le 6; infine le 14, le 15, le 15,30. C’era sempre qualcosa che lo disturbava. Di primo mattino c’erano runner che puzzavano di sudore ed emettevano buffi sbuffi. E poi i cani, con i loro proprietari, che quando non abbaiavano, gli si avvicinavano per fargli le feste, attorcigliandosi con i loro guinzagli attorno alle gambe.
“Mi scusi signore, vuole solo giocare, spero non l’abbia infastidita…”
“È una domanda retorica, la sua?” avrebbe voluto rispondere. Invece si limitava ad un sardonico “Nessun problema”.
Dopo pranzo, sperava che le persone si dedicassero ad una pennichella, ad un po’ di sano ozio sul divano di casa. E invece anche a quell’ora un rumoroso andirivieni, gente in giacca e cravatta che consumava fugaci caffè nei bar affacciati sul mare o anziani dediti sì al riposo, ma sulle panchine all’ombra degli alberi.
Aveva quindi spostato la sveglia. Prima alle 5, poi alle 4. Era riuscito a cronometrare fino a 2,35 minuti di beatitudine. I gabbiani già volteggiavano, la salsedine gli inebriava le narici, le onde si infrangevano ritmando inedite melodie. Poi, di volta in volta, un camion dei rifiuti, uno scooter, un autobus, il solito cane a passeggio col padrone (alle 5 del mattino ti scappano i bisogni?), due barboni che litigavano fra di loro, spezzavano il meraviglioso idillio.
Andava così al lavoro assonnato e già nervoso di primo mattino.
Poi il Covid 19.
Inizialmente seguiva la cosa con distratta curiosità. Sembrava prima una faccenda lontanissima, poi lontana: nulla che potesse intaccare la sua singolare routine.
Col passare dei giorni, tuttavia, ecco i primi casi in Campania, i consigli a limitare gli spostamenti, lo smart working, la cassa integrazione.
Tutto accadde così velocemente che non fece in tempo a realizzare le conseguenze di quell’emergenza. Finché, un giorno, dopo l’ennesimo telegiornale, spense la tv. Erano le 18,30 e una piacevole sensazione lo avvolse.
Non capì immediatamente cosa fosse, infine realizzò: il silenzio.
Corse alla finestra ed ebbe finalmente la tanto agognata visione, il lungomare era vuoto, popolato solo dai gabbiani e ravvivato dagli schizzi delle onde che sbattevano violentemente sui frangiflutti.
Sorrise, stavolta pienamente.
Finché un terribile fischio prima lo terrorizzò poi, come un violento schiaffo, lo svegliò dal sogno ad occhi aperti. Il signor Palumbo, l’imbecille del piano di sopra, aveva collegato lo stereo all’amplificatore facendo partire lo sgradevole suono. Pochi secondi dopo, ecco partire dal balcone del quinto piano l’inno di Mameli, trasmesso a volume altissimo mentre altri decerebrati applaudivano convintamente.
Fortunatamente lo strazio durò poco e poté tornare al suo sogno.
Doveva uscire di casa, doveva godere di quel momento, ma una volante della polizia lo riportò coi piedi in terra: come avrebbe eluso i controlli?
Passò altri quattro giorni a studiare i movimenti delle forze dell’ordine, appuntandosi orari e percorsi. Ma, con somma delusione, si rese conto che le “ronde” erano casuali.
Decise allora di rischiare. Sarebbe uscito al tramonto, per godere del lungomare nella sua massima espressione di bellezza.
Si fece la doccia, si vestì con abiti leggeri affinché nemmeno il peso degli stessi gli desse alcun fastidio e lo distogliesse dalla visione. Ed infine uscì.
Erano le 19,05, e tutto era perfetto.
Si posizionò di fronte al mare, con gli occhi socchiusi e le narici ben aperte, inebriandosi di salsedine e bellezza.
Passò i primi 6 minuti in un profondo stato d’estasi.
Poi cominciò a sentire un turbamento.
“Che succede?” pensò “Non è possibile. No, no, ho i minuti contati. Potrebbe passare una pattuglia dei Vigili Urbani, o un autobus. Non posso sprecare il tempo con pensieri negativi”.
Ma niente, il malessere si faceva sempre più forte.
Ne fu travolto, infine sopraffatto.
Fu costretto a sedersi su una panchina, a capo chino, mentre il sole lentamente si nascondeva dietro i Monti Lattari.
Cercava il tramonto perfetto, trovò solo il crepuscolo dentro di sé.
In quel momento capì. Le città erano create per le persone. Il lungomare, le strade, le scale, i vicoli, erano tutti creati per la gente.
Senza di essa, perdevano di funzione, smarrivano il senso.
Gli spazi deserti avevano sì un certo fascino.
Così come può essere affascinante una foto di Chernobyl ai giorni nostri: dopo un po’ l’attrazione lascia inevitabilmente spazio all’angoscia.
Tornò a casa triste ma allo stesso tempo sollevato.
Si tolse le scarpe, si lavò le mani e accese la televisione.
Stava per parlare Conte, chissà quando sarebbe finito il lockdown.
Mi è piaciuto: è scritto bene, scorrevole, e ti prende perché racconta sentimenti che tutti abbiamo provato, almeno una volta. Un consiglio, semmai, è di eliminare qualche ripetizione e alcuni termini un po’ troppo ricercati. Ottime, invece, le descrizioni precise di gesti quotidiani: “Si tolse le scarpe, si lavò le mani e accese la televisione”.
Grazie del commento e delle tue osservazioni, Benedetta. Felice che il racconto ti sia piaciuto.
Hai una buona capacità descrittiva. A tratti un po’ troppo ricercata ma la prosa scorre bene. Bravo per non essere stato scontato visto l’argomento covid sicuramente poco originale in questi ultimi tempi. La ricerca spasmodica e priva di senso del silenzio in una città come Salerno è stata senz’altro la mossa vincente.
Durante il lockdown le nostre città non sembravano più le stesse. Le strade deserte, il silenzio, avevano reso tutto surreale. Una quiete forzata ma che probabilmente ci ha fatto capire l’importanza del silenzio a cui ci dovremmo abituare ogni tanto senza farci prendere dalla tristezza.
In bocca al lupo!