Premio Racconti nella Rete 2023 “Esmeralda la lavandaia che immaginava il mondo”di Eugenio Alaio
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Esmeralda era una quarantenne molto attraente, esile e non troppo alta, capelli ricci castani e occhi verde smeraldo, questo probabilmente il motivo delle origini del suo nome.
Da vent’anni gestiva quella lavanderia donatale dal padre in viale Augusto a Napoli nella popolosa zona di Fuorigrotta. C’ era sempre stata e tutti la ricordavano al pari di un monumento uno di quelli marcati sulle mappe turistiche. La lavanderia era un piccolo locale a fronte strada, ma nel retro c’era il mondo degli abiti, tutti appesi in sequenza che riempivano quella stanza molto grande dove regnavano gli appendi abiti che formavano un circuito che ad Esmeralda appariva un compendio di emozioni. Alcuni clienti frequentavano quella lavanderia da sempre. Esmeralda conosceva tutti, ne sapeva le origini e le vicissitudini. Le chiacchere ed i racconti riempivano sempre gli istanti che preannunciavano la consegna ed il ritiro degli abiti. Era il momento migliore per prendersi una pausa dalla vita frenetica di tutti i giorni, in cui i protagonisti rallentavano un attimo per poter parlare con Esmeralda, la guardavano negli occhi e poi le confidavano tutto quello che gli passava per la testa in quel momento. Esmeralda era brava ad innescare le confidenze, lei confidava qualcosa al prossimo ed in cambio ecco aprirsi un mondo in cui le confidenze la facevano da padrone.
Conduceva una vita molto solitaria. Passava tutto il giorno nella lavanderia in compagnia dei clienti e dei suoi abiti. Dedicava circa mezz’ora, prima della chiusura, quando si faceva sera, a controllare che tutto fosse a posto nel deposito e scorreva gli abiti appesi ricordandone le origini e le storie legate ai proprietari così da poter carpire quelle emozioni che quegli abiti custodivano. Quasi attribuiva un’anima ad ogni abito fino a far si che potesse impersonarne il proprietario. A casa ascoltava musica classica e impiegava il tempo a leggere libri di letteratura e romanzi d’amore. Era convinta che leggere ed acculturarsi le consentiva di non prender per buono mai quello che le veniva detto controllandone le origini e la validità. Era molto curiosa e metteva le sue informazioni al servizio delle sue fantasie. Quanto non le davano i libri lo cercava sul web in modo minuzioso e con la maestria di chi sa ben porre un filtro alle informazioni inutili. Questo suo modo di essere la portò pian piano a instaurare un rapporto molto speciale con gli abiti della lavanderia, un rapporto intimo come nessuno sarebbe stato in grado di fare. Gli dava, con la sua immaginazione, un corpo ed anche un’anima fino a farli vivere in quel suo mondo fantastico e a renderli protagonisti di vita.
Tra le sue clienti, c’era la signora Alberta che veniva in lavanderia ogni settimana. Era una manager di trentacinque anni che lavorava per un importante società di consulenza internazionale ed era sempre in giro, e spesso a Milano per affari. Quando non era catturata dal lavoro si rintanava nella sua casa di viale Augusto a Fuorigrotta in un palazzo degli anni Sessanta all’ultimo piano con un bel terrazzo da cui si vedeva Nisida in lontananza. Alberta passava la giornata senza far nulla, ad eccezione dei momenti dedicati alla lettura e alle sue profonde riflessioni. Bionda, capelli mossi ed occhi azzurro chiaro, con modi eleganti anche se sempre con fare distratto. Portava a lavare sempre abiti con macchie concentrate nei posti più impensati. Qualche volta si trattava di marmellata di mirtilli quando le sue distrazioni avevano raggiunto il culmine solo alla fine della cena in corrispondenza del dessert, altre erano macchie d’olio, quando perdeva il controllo già dalle prime portate. E ogni volta, quando arrivava in lavanderia raccontava ad Esmeralda, con dolcezza, le sue serate ed i danni che aveva provocato ai suoi abiti e chiedeva aiuto per cancellarne le prove. Non parlava mai d’amore, e di questo la lavandaia si doleva, e raccontava sempre delle sue malefatte e delle sue distrazioni, ma aveva sempre la mente da qualche altra parte. Qualche volta raccontava di aver sognato storie d’amore con qualcuno dei commensali che poi non concretizzava, altre volte le diceva ad alta voce dei possibili articoli tecnici che voleva redigere, qualche volta si trattava di convegni dove era stata chiamata da relatrice, altre di clienti importanti da incontrare. Questa vita frenetica, che si ribaltava anche sui suoi abiti che ne portavano segni evidenti, non le aveva consentito di avere una storia d’amore duratura e soprattutto di conoscere la vera essenza dell’amore, ed Esmeralda quasi se ne dispiaceva perché, al contrario, la sua indole bramava della voglia di amare. D’altronde amava la gente che passava dal suo negozio, e avrebbe voluto che la sua voglia d’amore fosse stata la stessa anche per gli altri, ma, ciò nonostante, lei avrebbe voluto vedere Alberta felice e accompagnata, magari al mattino, da un bell’uomo a depositare le sue malefatte ovvero gli abiti macchiati. Qualche volta Esmeralda aveva sognato, in quelle mezze ore in cui si intratteneva da sola con i suoi vestiti la sera, che potesse farla innamorare di Ludovico, anch’egli suo cliente, un uomo di quarant’anni, brizzolato, con occhi azzurri ed un po’ di barbetta incolta. Fisico prestante e molto simpatico. Avvocato in campo fallimentare era anche lui spesso su Milano. Era un cliente abituale che frequentava la lavanderia con sistematicità. Portava le camicie ed ogni quattro giorni un vestito da lavare. Anche lui si macchiava spesso, ma non per distrazione, ma perché era incauto e arruffone. Anche lui chiedeva miracoli ad Esmeralda quando le macchie erano irreversibili. Quelle serate da sola in negozio, Esmeralda sognava che gli abiti di Ludovico e quelli di Alberta potessero congiungersi ed uscire insieme per una bella serata, magari a cena, sperimentando la capacità di ognuno dei due di non macchiarsi. Esmeralda riconosceva, anche se dai racconti e dagli abiti, che i due avevano una certa affinità che a ben vedere poteva essere anche esplosiva. Ci si immagini una persona distratta insieme ad un arruffone, pensava. Che cosa ne poteva venire fuori se non un grosso pasticcio. Ma Esmeralda sognava in mezzo a tutti quegli abiti e spesso appendeva quelli di Alberta e Ludovico uno vicino all’altro per fargli fare, per così dire, conoscenza e magari far sì che uno dei due trovasse il coraggio per invitare a cena l’altro. Era una sognatrice Esmeralda, ma questo non le faceva bene, la allontanava sempre più dalla realtà e non le consentiva di costruire una vita propria in cui fosse protagonista e non soltanto osservatrice. Viveva una vita immaginata in mezzo a quegli abiti ed era sola. Era anche una bella donna, ma era rintanata in sé stessa e non si innamorava, ma immaginava e viveva storie di altri. Il suo romanticismo era interrotto e andava su tutte le furie invece quando riconosceva tra gli abiti appesi, quelli dei tre ragazzi, ovvero i figli della signora Riccardi. Non riusciva a pronunciare il suo nome, Elena per mantenerne il distacco; infatti, tra le due donne non correva buon sangue. La signora era molto altezzosa e nonostante portasse sempre i suoi abiti con macchie rilevanti e spesso incancellabili, voleva avere sempre la meglio ed era sempre pronta a criticare il lavoro di Esmeralda costringendola spesso a rilavare quegli abiti quando a suo giudizio le macchie non erano state ben tolte. Quando veniva al negozio con i suoi tre figli, che erano poi gli artefici di quella fiera di macchie, invadevano tutto il negozio ed i ragazzini non stavano un attimo fermi mettendo le mani, un po’ come un polipo con i suoi tentacoli, dappertutto. L’antipatia che Esmeralda nutriva per la signora Riccardi restava imprigionata negli abiti appesi nel deposito che lei tendeva sempre a spostare in ultimo in modo che fossero coperti o nascosti dagli abiti che le erano più simpatici.
La signora Luigia o Gina, invece, era una specie di mascotte tra i suoi clienti tutti affezionati a quella donna, avanti con l’età, ma ancora capace di badare a sé stessa. Gina aveva novantaquattro anni, ben portati, era ancora autosufficiente e aveva ancora una folta capigliatura interamente bianca. Camminava a piccoli passi, con la schiena un po’ china, ma era ancora una donna tutta di un pezzo autonoma ed indipendente. Portava di tanto in tanto un po’ di vestiti e qualche soprabito ed immancabilmente non mancava di accompagnarsi con i saporiti biscotti che di tanto in tanto faceva con le sue mani. Aveva sempre avuto questa abitudine. Faceva il pane, splendide focacce, panini e naturalmente magnifici biscotti. Era un’attività che la teneva occupata e le consentiva di pensare meno al suo amato marito mancato quindici anni prima. Esmeralda provvedeva a rammendare qualche piccolo strappo o qualche scucitura. Gina non era più attenta e laboriosa come una volta quando macinava di giorno in giorno numerosi pullover fatti a mano e con lana pregiata. Faceva degli autentici capolavori e negli anni aveva anche affinato le sue tecniche per tenersi ancora al passo con i tempi. Per Esmeralda gli abiti di Gina erano un po’ il vecchio saggio in mezzo a tutti quegli abiti di gente più giovane e talvolta distratta o scapestrata. Era una garanzia di stabilità avere traccia di una cliente così, in mezzo a tutti quegli abiti o quella gente che popolava il retrobottega della lavanderia. Gina ringraziava sempre Esmeralda, con dovizia, per le sue cure ed i suoi preziosi rammendi. Diceva sempre che ormai la sua vista non la aiutava più. Esmeralda dal canto sua la trattava come una figlia anche se anni or sono l’aveva trattata come una madre. Un altro dei clienti della lavanderia era Fausto, un uomo di quarantasei anni, single, che era uno specialista nel portarle a lavare piumoni, copriletti e copridivani e a sottolineare le numerose macchie che con il tempo aveva provocato e che in molti casi era difficile da togliere. Si notava dalle cose che portava e dalla posizione delle macchie che doveva avere una vita molto attiva e non consueta. Parlava poco, ma spesso fissava con occhi sorridenti Esmeralda, probabilmente ne era attratto, anche se la cosa poteva essere inconsueta perché la donna non glie ne avrebbe mai dato l’occasione. Con il tempo le sue visite divennero più frequenti, trovava sempre una scusa qualsiasi per portare qualche indumento da lavare. Qualche volta era un pantalone con una brutta macchia che sembrava provocata volontariamente, altre volte era una giacca macchiata ai polsi. Ogni tanto poi scompariva. Era quando partiva in giro per il mondo a fare reportage fotografici per conto di testate giornalistiche internazionali. Ogni tanto si fermava più del dovuto al negozio e incantava Esmeralda con magici e avventurosi racconti di paesi lontani che a volte la lavandaia stentava a riconoscere se non con l’ausilio di una cartina geografica. La incantava con posti come il Costa Rica dove le faceva percepire il predominio della natura sull’uomo e l’equilibrio dei rapporti dell’uomo con l’ambiente. Poi le raccontava della Birmania, paese orientale autentico dove il turismo non era ancora diffuso come per la vicina Thailandia ed i sorrisi della gente erano ancora autentici così come le bellezze dei paesaggi. Esmeralda ne era incantata e durante i racconti riusciva persino a guardarlo fisso negli occhi quasi come fosse lo schermo di un film di avventura.
La lavanderia era frequentata da tanti altri personaggi di cui Esmeralda conosceva tutte le sfaccettature caratteriali. Sapeva come prenderli, conosceva le principali leve motivazionali di ognuno, riconosceva quando erano crucciati o quando avevano l’umore al settimo cielo. Soffriva con loro e gioiva quando ve ne era l’occasione, ma silentemente. Erano emozioni che si scatenavano e vivevano soltanto dentro di lei ed al massimo venivano fuori nei suoi momenti serali passati tra gli abiti appesi nel retrobottega. Una volta immaginò pure una rivolta degli abiti. Non tolleravano più di convivere, d’estate, con gli abiti invernali, faceva troppo caldo e quindi si lamentavano. Arrivarono al punto, immaginò, di minacciare di raggrinzirsi così da vanificare la stiratura. Esmeralda li ascoltò, con la sua mente, qualche minuto e poi conscia della fondatezza delle richieste tornò al suo bancone e scrisse una lettera destinata ai suoi clienti in cui minacciava di disfarsi dei vestiti invernali se non fossero stati ritirati di lì a un mese. Ebbe molto consenso, al suo ritorno nel retrobottega in mezzo ai suoi abiti. Le sembrò che da quel giorno i vestiti avessero cominciato a comportarsi in modo differente. Notava più rispetto ed accondiscendenza via via che quegli spazi venivano liberati dagli abiti invernali il che dava concretezza alle sue decisioni. Sentiva qualche profondo cambiamento nei rapporti con quel suo piccolo mondo innescato da un gesto di condivisione e di comprensione. Esmeralda rifletteva che poteva essere una delle soluzioni alle vicende del mondo esterno: la comprensione e la condivisione dei bisogni altrui ed immaginava di poter contagiare ognuno di quegli abiti, quasi come se li irrorasse di un’essenza che solo lei possedeva così da diffondere quei due valori nel mondo. Esmeralda immaginava e pensava in modo ambizioso, scavando nella sua anima più che nella ragione poi tornava a volare basso e si proponeva di realizzare cose più accessibili quale quella di far incontrare Alberta ed il signor Ludovico. I due anche se agli antipodi, ai suoi occhi stavano bene insieme, non fosse altro perché già da tempo aveva provveduto ad affiancarne i rispettivi abiti e immaginando che così si potessero abbracciare e godere della morbidezza del cappotto di cammello di Ludovico che sistematicamente portava con qualche macchia di caffè sul finire dell’inverno quando il suo guardaroba apriva le porte agli abiti estivi. Una volta Esmeralda arrivò persino a creare degli appuntamenti fittizi tra i due preannunciando che gli abiti erano pronti e ciò al solo scopo di farli incontrare. Una volta ci riuscì, ci aveva lavorato molto, li aveva telefonati un paio di volte dicendogli di essere puntuali perché aveva il negozio in subbuglio tra abiti entrati ed abiti usciti così da consentirle di fare spazio. I due si incontrarono nel piccolo negozio che li costringeva a stare l’uno a fianco all’altro quasi quel piccolo spazio fosse complice di Esmeralda. Lei, a sua volta, si gongolava nel vederli. La sua immaginazione correva un po’ più veloce della realtà ed era attratta dai sentimenti profondi che le riempivano l’animo. Gli sguardi dei due si incrociarono più volte ed Esmeralda cercava di scorgere in quegli occhi un segnale d’amore, ma era praticamente impossibile anche se la sua immaginazione avesse viaggiato alla velocità della luce. Il rapporto tra i due però divenne sempre più empatico alimentato da quei momenti in cui Esmeralda scompariva nel retrobottega volutamente, tardando a tornare di proposito con gli abiti smacchiati. . I due, in quegli sprazzi di tempo si raccontavano l’un l’altro piccoli aneddoti e sorridevano poi mentre controllavano la pulizia dei vestiti. Alberta guardava, ma non vedeva perché distratta ed era Esmeralda a farle notare i punti dove le macchie erano state eliminate. Ludovico girava in sotto e sopra i suoi abiti e annuiva esprimendo il consenso per il lavoro fatto, ma Esmeralda era cosciente che quell’uomo non aveva compreso nulla di tutto perché cominciava ad essere interessato, ora, ad Alberta più che agli abiti. E così dopo un po’ di rumore fatto con quell’incontro programmato per così dire non ci fu tuttavia nulla di fatto, ritornò sovrano il silenzio. Ludovico non aveva colto l’attimo e non aveva neanche tentato di invitare a cena Alberta. Ma almeno si erano riconosciuti anche se non ancora conosciuti e questo era un traguardo importante secondo Esmeralda. Lei alla fine creò altre occasioni ed anche separatamente quando venivano al negozio trovava il modo di far domande, raccontare aneddoti dell’altro e dell’altra in modo da suscitare interesse e desiderio di conoscenza. Fu così che dopo qualche mese di duro lavoro, Esmeralda fece sì che Ludovico invitasse Alberta fuori per un aperitivo. Si sarebbero incontrati fuori la lavanderia, anche per dare, inconsciamente, i dovuti meriti ad Esmeralda ed avrebbero passato un po’ di tempo insieme per conoscersi.
Un altro dei fantomatici personaggi di quella lavanderia era Ulderico. Un ragazzotto non troppo esile, con gli occhiali ed i capelli ricci. Era follemente innamorato di Elisabetta, ragazza decisa, capelli castano scuro e sguardo intelligente. Molto carina aveva però di punto in bianco lasciato Ulderico non ritenendo che tra i due potesse costruirsi qualcosa di fondato. Ulderico ne era uscito scioccato, non se l’aspettava, ed aveva passato già due stagioni da solo da quella fine dell’estate dell’anno prima, in cui Elisabetta gli aveva scritto in dei messaggi della sua volontà di lasciarlo. Non si erano più incontrati, neanche per caso, forse volutamente, anche se lei nel tempo era diventata cliente della lavanderia ed amica, naturalmente di Esmeralda. Ulderico, approfittava spesso di Esmeralda per confidarle il suo dolore ed il suo sgomento e per sapere qualcosa di Elisabetta. Diceva che non riusciva a togliersela dalla testa e che ogni giorno era uguale al precedente e le mancava tanto. Un giorno disse ad Esmeralda, quando fu il giorno del ritiro degli abiti invernali: “Sai Esmeralda “, con aria affranta, “Questo è il primo inverno che i miei abiti non hanno incontrato quelli di Elisabetta e questa per me è una gran sofferenza”. Ciò non era accaduto neanche nella lavanderia perché Elena faceva in modo da non incrociare in nessun modo Ulderico. La donna gli mancava anche in quel modo, nel mondo dello spirito o dell’anima. Esmeralda qualche volta, quando ci riusciva, metteva vicini gli abiti di Ulderico e quelli di Elisabetta, ma non glielo diceva, teneva questo segreto per sé.
Confidandosi ancora Ulderico, le raccontò che passate tre stagioni, mentre si avvicinava ’estate, un giorno quasi impazzito dalla mancanza di Elisabetta aveva preso il coraggio a due mani nel timore che ci fosse un altro e le aveva mandato un mazzo di girasoli, simbolo di luce, gioia e letizia, con un biglietto su cui aveva scritto dei versi che recitavano:
Ogni giorno
Potrebbe accadere ogni giorno di incontrarti
Mentre cammini con passo lento su un ponte dorato
Incrociare il tuo sguardo avvolgente, così come un tempo, che dopo ogni sospiro scatena un sorriso
Riconoscere il tuo piacere nel vedermi
Stare vicini, sentire il profumo e parlare d’amore
I giorni scorrono nei potrebbe, ma è solo un sogno che si replica ogni giorno.
Lei fu glaciale, non ci fu nulla da fare. Ogni possibile emozione annidata in quelle righe era soltanto una nuvola passeggera. Elisabetta era più che decisa e probabilmente stava progressivamente cancellando Ulderico dalla sua vita. Si dissolse via via nel nulla e Ulderico non ne seppe più nulla di lei anche se continuò a cercarla invano e a portarla nel suo cuore per sempre.
Intanto di giorno in giorno ritornava al negozio l’ amico Fausto. Compariva quando lei meno se l’aspettava e sempre con una scusa opportuna. Sembrava che centellinasse la roba da lavare giorno per giorno e non faceva come al solito quando le scaricava interi armadi al ritorno da qualche paese lontano. Qualche volta quando riusciva a passare al mattino la aveva invitata anche per un caffè per aver modo di starle a fianco al di fuori di quella bottega. Fausto, non le disse mai, che era un’emozione starle al fianco. Poteva godere dei suoi capelli mossi dal vento e sentire il profumo dello shampoo alle mandorle misto al profumo di Opium che Esmeralda usava con sistematicità. E poi il suo modo di camminare, come se ogni passo sicuro ed elegante, attraversasse un ponte dorato posto sulla strada della vita. Erano state piccole uscite, ma avevano contribuito a rafforzare il rapporto tra i due. Intanto Fausto continuava a riempirla di racconti di viaggio e a incitarla a partire con lui un giorno per scoprire un mondo differente da quello che conosceva. Le parlava sempre del Costa Rica e la riempiva sempre di centinaia di immagini nella speranza che potesse percepire le bellezze del paese e desiderare di visitarlo con lui.
Una sera, si avvicinava l’orario della chiusura. Come al solito Esmeralda aveva abbassato la saracinesca del negozio per concedersi quei momenti suoi così come faceva ogni sera e per calarsi nel suo mondo immaginario vissuto quasi come un metaverso dove gli avatar erano gli abiti. Poi sarebbe uscita dalla porta laterale come ogni volta. Ad un certo punto sentì bussare alla porta del negozio con insistenza e dopo aver controllato dallo spioncino riconobbe Fausto che al di là della porta vociferava chiedendo aiuto e a ben vedere aveva un soprabito tra le mani. Esmeralda aprì lentamente la porta e Fausto la guardò con un sorriso che le faceva provare la sensazione di un abbraccio. Entrò e dopo essersi scusato più volte sottolineò che era una questione di emergenza e si avvicinò ad Esmeralda continuandola a guardare negli occhi e tenendo ancora vivido il sorriso. Esmeralda lo accolse ricambiando l’abbraccio anche se virtualmente. Fausto non perse altro tempo, si avvicinò e liberatosi del soprabito, che posò sul bancone, la prese tra le braccia e provò a baciarla intensamente. Lo aveva immaginato mille volte e ognuna delle volte in cui era entrato, sempre con una scusa plausibile, in quella bottega. Era cominciato tutto per caso. Occhiate fulminee per comprendersi su quali erano le macchie incriminate, chiacchierate di routine e poi la scoperta che dietro quel nome e quella bella donna, c’era un mondo fatto di tenerezze e comprensione. A poco poco Fausto si era innamorato e aveva anche cominciato a riconoscerlo a sé stesso, però non si dichiarava a Esmeralda perché distratto dai frequenti viaggi che il suo lavoro gli richiedeva. Nei viaggi dimenticava solitamente un po’ tutto, anche se da un po’ di tempo e a differenza del passato questa volta non riusciva a dimenticare nulla e ricordava con più intensità ciò a cui teneva portando con sé Esmeralda e immaginando di averla a fianco in ogni momento., Qualche volta era arrivato al punto di idealizzarla. Nel tempo aveva imparato a conoscerne le smorfie, le reazioni, che cosa amava e ad immaginare quello che desiderasse e a strappare sorrisi ad ogni sospiro perché erano quelli che alimentavano il suo forziere d’amore. Dopo essersi baciati, inconsapevolmente si ritrovarono ancora abbracciati nel retrobottega. Gli abiti ordinati erano appesi sulle loro teste, altri li abbracciavano dai lati. Nell’aria l’odore del cellofane ed anche quello dei detergenti usati per il lavaggio e la stiratura quell’odore di pulito che ti resta nella mente da quando sei bambino Fausto continuò a baciarla e stava per cominciare a sbottonarle il camice blue che Esmeralda portava sistematicamente quando era a lavoro. Lei dal canto suo stava per abbandonarsi nelle braccia dell’uomo, che probabilmente desiderava da tempo. Ma ad un tratto si ritrasse, si bloccò. Continuava a guardarlo con desiderio e con il viso rilassato dopo quegli intensi baci, ma non riusciva ad andare oltre. Era bloccata dagli abiti, si sentiva osservata. Era come se i soprabiti di Alberta e Ludovico o gli abiti della signora Gina, fossero essi stessi, e la guardassero non per giudicarla, ma per apprezzare quel diverso modo di essere della loro Esmeralda. Fausto non capì abbastanza del comportamento della donna, ma accettò di fermarsi non proferendo parola. Era meravigliato, confuso, innamorato. Esmeralda gli spiegò a grandi linee le sue emozioni, ma lui non capiva. Nonostante avesse girovagato in mondi e culture diverse, avesse fotografato i Toraja, in Indonesia, che praticavano le tradizioni più arcaiche non comprendeva l’imbarazzo di Esmeralda. Per lui erano solo abiti, mentre per l’altra erano diventate anime. Alla fine, si convinse, ma fu più l’amore che la razionalità a guidarlo. L’amava, come non avrebbe mai immaginato e voleva in qualche modo tirarla fuori da quel mondo e da quella bottega che la aveva imprigionata ormai da troppi anni. Fausto immaginava un futuro in giro per il mondo con Esmeralda, voleva portarla con sé ed anche sposarla e perché no fare anche dei figli. Dopo qualche giorno, Fausto partì per l’ennesimo reportage, questa volta in Vietnam. Sarebbe stato lontano circa un mese e questo avrebbe dato modo ad Esmeralda di riflettere sui mutamenti di vita che la stavano accompagnando in quel periodo. Passò a salutarla facendo cenno a ciò che era accaduto, ma Esmeralda era ancora distante non se la sentiva di impegnarsi o di paventare cambiamenti nella sua vita che potessero portarla fuori da quel negozio.
Alberta e Ludovico si erano intanto incontrati altre volte. La sera dell’aperitivo sugellato dall’incontro fuori dalla lavanderia aveva avuto un seguito. Prima di lasciare il tavolo del bar dove si erano seduti avevano prenotato un tavolo fronte mare ad un piccolo ristorante a Pozzuoli nella vecchia darsena. Era un posto romantico che era poi quello che entrambi probabilmente cercavano. Di sera in sera in due si erano innamorati e messi assieme. La loro vita a due non era poi una passeggiata. L’una distratta, l’altro arruffone. Perdevano continuamente cose ed impazzivano per ritrovarle. Dopo cena, quando erano fuori, erano spesso chiamati dal proprietario che si affacciava dal ristorante gridandone il nome ad alta voce, perché immancabilmente dimenticavano di pagare il conto. Spesso si incontravano in aeroporto, quando si spostavano a Milano. Lei era alla continua ricerca della carta di imbarco anche se sporgeva dal taschino della sua giacca, mentre lui l’aveva stivata sotto varie cianfrusaglie che teneva nello zainetto. Nonostante ciò, avevano cominciato ad amarsi intensamente e a comprendersi e perdonarsi reciprocamente. Con il tempo decisero di cominciare a vivere dei periodi insieme e comprarono una casa a Milano. Spesso erano via per settimane e concentravano gli impegni di lavoro alternandoli a interminabili giornate di passione. Poi quando tornavano a Napoli si separavano di nuovo tornando ognuno alla propria dimora ed Esmeralda poteva ancora sentirli vicini non solo attraverso gli abiti che, come di consueto, portavano a smacchiare, ma anche attraverso il loro andirivieni al negozio. Forse un giorno non li avrebbe visti più e non le sarebbero rimasti neanche gli abiti con la loro anima ancora annidata tra quelle pieghe. Di questo Esmeralda era cosciente e infatti con il tempo i due scomparvero ed il retrobottega si svuotò un po’ e divenne più triste. Con il tempo anche la signora Gina non venne più al negozio. Era morta all’età di novantasei anni dopo aver vissuto una vita portata avanti con le proprie braccia e le proprie gambe e portando con sé quel bel viso che aveva quando appena ventenne era venuta a vivere a Napoli trasferendosi lì e lasciando un piccolo paese lucano in cui aveva vissuto la sua adolescenza.
Esmeralda era sempre più innamorata di Fausto che intanto da circa due anni aveva acquistato una piccola villa in Costa Rica, sul mare e non distante dalla capitale se non a meno di circa due ore di macchina. Aveva intenzione di trasferirsi in quel rigoglioso e ridente paese e farne una base per la sua vita futura anche fatta di girovagare per il mondo. In questo suo progetto c’era anche Esmeralda a cui spesso chiedeva di seguirlo in questa sua pazza, ma romantica avventura. Esmeralda dal canto suo era sempre più coinvolta con Fausto. Le mancava ogni volta che era lontano e non sopportava l’idea di non averlo più vicino. Aveva reso più luminosa e più felice la sua triste casa fatta di mobili in legno antico ed ambienti bui. Spesso si fermava a dormire da lei e questo le aveva insegnato che cosa fosse la convivenza e la conoscenza. Anche Esmeralda era cambiata e parlava e immaginava sempre meno con i suoi abiti e più con il suo compagno.
Finché un giorno, decise. Chiuse il suo negozio, anzi lo cedette ad una giovane coppia di ragazzi sperando che seminassero empatia nel loro lavoro, un po’ come aveva fatto lei, ma tenendosi lontani da quel mondo immaginario. Partì per il Costa Rica con Fausto e coronò il suo grande amore, ma soprattutto il suo magnificarsi finalmente della vita. La sua lavanderia, il suo retrobottega si erano trasformati, come in una favola, nel più grosso e meraviglioso ecosistema al mondo in cui regnava supremo il suo coronato sogno d’amore.