Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “L’Edicola di Sant’Antonio” ovvero “Armando Gaina e Pondus pueri” di Antonella Bertoli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Era l’anno 1927, Maria aveva appena dato alla luce Elva, una bella bimba dagli occhi azzurri come il cielo quando è primavera. Il parto non era stato facile: Maria stringeva in bocca le lenzuola per non urlare e si strappava i capelli dal dolore, così la levatrice aveva guardato in faccia il dottore che aveva scosso la testa. Volevano portarla all’ospedale perché le ovaie erano atrofizzate, e Maria anche se stava malissimo aveva chiesto di non privarla del tutto della possibilità di avere altri figli, sapeva quanto ci teneva il marito Enrico Ermanno. All’ospedale le diedero l’anestesia e le lasciarono mezza ovaia, quella che sembrava più sana. A casa la aspettavano Bianca, la maggiore che era nata il 7 agosto del 1921 ed Elvo che era arrivato il 7 settembre del 1925. Maria piangeva calde lacrime mentre stringeva al seno l’ultima piccola, perché guardandola ripensava all’altra Elva che era spirata pochi giorni dopo essere nata. Al collo Maria portava una catenina con il ciondolo doppio: da una parte la foto della piccola scomparsa e dall’altra l’effige di Sant’Antonio, il Santo protettore a cui la famiglia del marito Bordon era devota da sempre. Ma a nulla erano valse le preghiere e le novene, nemmeno il pellegrinaggio che il consorte aveva compiuto a piedi fino a Padova, alla Basilica a deporre un Voto d’oro zecchino che era costato il salario di due mesi. La piccola Elva era spirata dopo pochi giorni. Enrico Ermanno, soprannominato in paese “Armando Gaina” perché sua nonna per sopravvivere, dopo che il marito Menego (Domenico Bordon), tornato dal Brasile, allevava e scambiava “gaine e polastri” con beni di altro genere, aveva giurato di costruire un’Edicola a Villadose, in via Liona dove abitava, se il Santo gli avesse fatto la grazia di donargli un altro figlio.  

Così era nata Elva, ma i dottori gli avevano raccomandato di fare attenzione con Maria, perché un’altra gravidanza, dopo l’operazione e l’ultimo parto, sarebbe stata pericolosa.

Tornati dall’ospedale, Bianca e Elvo accolsero con grida di gioia la piccola Elva che sembrava la sorellina che se n’era andata in cielo ed ora era ritornata perché sembrava proprio lei, tanto le assomigliava.

Enrico Ermanno scavò una buca profonda davanti a casa, proprio sul ciglio della strada: gettò le fondamenta ed eresse una piccola cappella a semicerchio, con una cupola azzurra come gli occhi delle sue figliolette, disegnò col gesso una corona di alloro e di foglie dorate e verdi a basamento della nicchia dove avrebbe posto la statua di Sant’Antonio, chissà che gli facesse la grazia di avere un altro bambino e di far sopravvivere Elva, l’ultima nata.  

Nel tempo libero che gli lasciava il suo lavoro di postino del paese, si era messo a modellare una statua proprio come quella che aveva visto nella basilica padovana, in modo che potesse stare dentro l’Edicola che aveva eretto davanti a casa. Mentre modellava la creta, “Armando Gaina” ripensava a ciò che gli raccontava sempre la sua mamma quand’era piccolo, la storia del miracolo che il Santo aveva compiuto e che chiamava Pondus pueri, anche se non sapeva cosa volesse dire e recitava il verso con la voce piena di devozione mistica. Lui aveva poi scoperto che voleva dire Peso del bambino.

– Tanto tempo fa, – raccontava la mamma – quando il Santo Antonio non era ancora conosciuto da tutti, un piccolo di nome Tommasino che non aveva ancora compiuto i due anni era figlio di buoni genitori che abitavano vicino alla chiesa di Padova. Un giorno, avendolo la madre lasciato solo, cominciò a baloccarsi vicino ad un grosso recipiente di acqua. Forse vi vide rispecchiata la sua figura e, nel desiderio di raggiungerla, cadde nell’acqua a testa in basso e vi perì miseramente. Quando la madre, che accudiva ad alcune faccende, ritornò, vide il suo piccino senza più segno di vita, diede nei più alti e dolorosi gemiti e grida, per i quali accorsero vicini ed alcuni frati che erano intenti ad osservare i lavori della basilica in costruzione. Tutti furono intorno a Tommasino e usarono ogni arte per fargli riacquistare i sensi; ma visto che la morte si era ormai impossessata di quell’Angioletto, presero a confortare la madre e poi si partirono, dolenti di un caso tanto lacrimevole. La madre invece, che maggiormente era invasa dall’amarezza e dal dolore, ebbe anche maggior fede di tutti, e confidando nei meriti di Sant’Antonio, fece voto a lui di distribuire ai poveri tanto grano, quanto era il peso del bambino, se fosse ritornato in vita. Erano passate alcune ore dal triste caso, quando ad un tratto, mentre la donna rinnovava con fervore il suo voto, il bimbo emise un grido. Era ritornato in vita! Da allora si cominciò a diffondere il credo di Sant’Antonio e si cominciò l’usanza di fabbricare il pane per il mese di giugno dedicato al Santo che aveva compiuto il miracolo e a distribuirlo a coloro che ne avevano bisogno. –  

Ogni sera la famigliola di Enrico Ermanno e Maria si radunava intorno alla tavola e prima di cena spezzava il pane che Maria impastava appositamente ringraziando Sant’Antonio per tutto ciò che aveva donato loro e gli chiedeva di far loro la grazia di avere un altro bambino a cui avrebbero messo proprio il nome del Santo.

“Armando Gaina” era nato a Villadose il 17 luglio del 1895 e a vent’anni aveva dovuto andare in guerra, in quella che poi avevano chiamato “La Grande Guerra” per la distruzione, i disastri e i morti che aveva causato. In un’azione di assalto ad una trincea austroungarica, era stato colpito ad una gamba da una scheggia di mina e, nonostante facesse fatica ad avanzare, riuscì a trascinarsi dietro il compagno di milizia portandolo lontano dal fuoco nemico. Per questo gli avevano conferito la “Croce al Valor Militare” che ora si teneva sempre nel taschino del gilet, vicino all’effige del Santo, ma lui sapeva in cuor suo che a salvarlo era stata la sua fede in Sant’Antonio: era Lui che gli aveva donato la forza di issarsi sulle spalle il compagno ed era sempre Lui che aveva condotto gli infermieri proprio nel luogo dove erano caduti entrambi esausti e feriti. Ed era sempre stato Lui se, dopo essere stato ferito così gravemente da renderlo zoppo, questa menomazione gli era valsa la fortuna di essere assunto come postino proprio nel suo paese. Ogni sera, il papà raccontava gli episodi che aveva vissuto: la guerra terribile che lo aveva ferito, gli aerei di legno e ferro che aveva visto per la prima volta volare nel cielo, la storia che gli raccontava la sua mamma del bambino guarito miracolosamente da Sant’Antonio e dell’usanza di fare il pane a giugno, ma anche in altri periodi dell’anno.

Passarono gli anni, i piccoli crescevano ed Enrico Ermanno, finito di modellare la statuetta del santo, la colorò e la mise nell’Edicola che aveva edificato, raccomandandosi che non mancassero mai fiori freschi davanti alla statua.

I paesani cominciarono a fermarsi a pregare davanti all’Edicola di via Liona: la voce si sparse e oltre a loro arrivava gente anche dal circondario, da Canale, Ceregnano, persino da Rovigo. Nel mese di maggio davanti all’Edicola di Armando si celebrava il “fioretto” e tutti i bambini delle case vicine vi partecipavano. Quando scoppiò la seconda guerra mondiale e Villadose fu bombardata, l’Edicola fu quasi l’unica cosa che rimase intatta dei casotti di via Liona…

A giugno del 1934 Maria durante la cena annunciò a tutta la famiglia che aspettava un bambino. Grandi furono le esclamazioni di gioia di tutti quanti. Le bimbe aiutarono subito la madre a impastare il pane in onore del Santo e lo distribuirono ai vicini e a coloro che pregavano davanti all’Edicola. La gravidanza andò bene, Maria coglieva gigli bianchi e rossi che sapeva erano i preferiti di Sant’Antonio e li metteva nel vaso accanto a quelli di tante altre persone che si fermavano a pregare il Santo.

E fu così che il 25 gennaio del 1935 nacque Antonio Bordon, nella casa di via Liona, tra lo stupore della levatrice che si meravigliò della facilità con cui quel bambinone era uscito dal ventre materno. E Maria e Armando che lo tenevano in braccio dissero all’unisono: – E’ stato un miracolo: il miracolo di Sant’Antonio -.

Il pane di sant’Antonio è stata ed è una devozione che ancora oggi, sia pure con meno intensità, manifesta la sua forte vitalità per tutto l’anno liturgico, principalmente durante la pratica dei martedì di sant’Antonio soprattutto a Padova. A Villadose ancora oggi il vaso dell’Edicola ha fiori freschi, anche se l’usanza di fabbricare il pane del Santo è caduta in disuso. È rimasta solamente nella famiglia Bordon- Dall’Ara.  


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1 commento »

  1. Grazie a chi vorrà leggere il racconto e commentarlo. Antonella

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