Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2022 “Viva il sindaco” di Francesco Greco

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Fu in una sera di primavera che si levò il grido “Viva il sindaco! Viva lu sindacu!”.

Nel paesino calabrese ogni cinque anni si sentiva sempre la solita esclamazione, come un rito, mentre chi aveva sostenuto l’opposta fazione politica si rinchiudeva nelle proprie case e non si faceva vedere in giro per qualche tempo, quasi come un’autopunizione perché il proprio candidato non aveva raggiunto l’ambìto risultato.

«Viva lu sindacu!» ripetevano i bambini e anche gli anziani che sostavano perennemente nella piazza, qualcuno dei quali non ricordava nemmeno il simbolo della lista a cui aveva dato il suo voto.

Oltre le varie consorterie che patteggiavano per i propri candidati c’era anche una considerevole fetta di persone che aspettava il vincitore per salire sul suo carro, immaginando che nessuno potesse sapere a chi aveva dato il proprio voto.

Però, facendo due calcoli e leggendo i vari umori tra la complicatissima rete di parentele del piccolo borgo, si poteva ben capire, con una buona approssimazione, chi e come aveva espresso la preferenza nel seggio elettorale. Comunque costoro, come al solito, si spostarono in massa verso la piazza dove il neo eletto primo cittadino e i suoi sostenitori stavano festeggiando gridando anche loro: «Viva lu sindacu!». I numerosi opportunisti di turno volevano accaparrarsi le sue simpatie per soddisfare privilegi o interventi e favoritismi nelle singole proprietà.

«Ora vogghiu u viu se mi menti a luci davanti a casa!» disse sottovoce comare Rita a comare Nunzia, tra un’esclamazione e un’altra, sperando che si sistemasse finalmente un lampione vicino alla sua abitazione.

Per più di un mese nelle case dei vincitori e dei vinti si fecero calcoli su calcoli fino a che non si ebbe una mappa abbastanza coerente con i risultati delle elezioni e delle alleanze. Restarono fuori solo una diecina persone delle quali non si riusciva a capire a chi avessero assegnato il proprio voto. Tra queste certamente c’era maestro Giacomino, insegnante di scuola elementare in pensione, che in pratica aveva istruito per cinque anni la maggior parte degli abitanti del borgo.

L’uomo, pur esprimendo le sue opinioni politiche non faceva mai trasparire in nessun modo la simpatia per una determinata lista e non si riusciva nemmeno lontanamente ad intuire a chi avesse dato il suo voto. Infatti il suo «Viva il sindaco!», espresso in perfetta cadenza, aveva un’espressione e un senso diverso: in qualche modo lasciava inebetiti gli ascoltatori, proprio perché non si sapeva se fosse un grido di esultanza o un grido di ironia.

Lo stesso maestro Giacomino, che conosceva bene il neo eletto, cominciò a raccontare delle punizioni che gli aveva dato, poiché da piccolino era un vero e proprio discolo iperattivo, ma si vedeva chiaramente che ne era orgoglioso.

Si diffuse la notizia che il primo cittadino rifiutò di guardare la mappa dei voti, né aveva voluto sapere il nome di coloro che pur assicurando il proprio appoggio – secondo gli improvvisati analisti paesani – avevano messo un segno nella lista opposta. E subito i così detti “leva-e-porta”, i pettegoli incalliti, comunicarono a maestro Giacomino il fatto cercando di comprendere se fosse una cosa buona o no, per intessere notizie particolari da far girare in paese.

Ma non ci fu nessun commento, sembrava che il vecchio apprezzasse veramente il rifiuto del neosindaco, anche perché aveva commentato più volte il fatto, ricordando come nei cinque anni di scuola elementare avesse insegnato il rispetto degli altri e l’importanza di diventare un cittadino onesto. Era la prima volta che si esprimeva in un determinato modo sbilanciandosi in un giudizio.

Dopo qualche mese le congetture sui presunti voti espressi dalle famiglie e sulle varie alleanze “segrete” – che segrete proprio non erano – finirono. Gli animi si rasserenarono per la nuova amministrazione che avrebbe gestito il paesino per cinque anni.

Le cose sarebbero andate come al solito se in una sera d’inverno don Michelino, un facoltoso imprenditore del posto, in un ristorantino del paese, dopo aver bevuto parecchio e dopo una lunga diatriba sul perché un gruppo politico avesse vinto le elezioni per pochi voti di scarto, fece una clamorosa scommessa: il sindaco sarebbe caduto prima della scadenza naturale.

La scommessa, fatta in un momento in cui l’alcool aveva offuscato le menti, sarebbe rimasta un semplice ricordo innocuo; ma il giorno dopo per un misterioso motivo, il fatto fece il giro del paese e ad accendere la miccia furono due impertinenti ragazzini, che come tutti i coetanei, spesso hanno orecchie particolarmente attenti sui commenti degli adulti. Quando Michelino comparve in piazza, ironicamente, senza farsi vedere, al suo passaggio cominciarono a gridare: «Viva lu sindacu!».

L’uomo, che non aveva mai sopportato essere considerato un perdente, cercò in tutti i modi di individuare dove e chi fossero gli insolenti ragazzini. Ma gli stessi erano troppo furbi, si nascondevano nelle tante viuzze che spuntavano nel corso principale o si sporgevano dalla finestra delle case scomparendo un attimo dopo.

La cosa andò avanti per più di un mese. La collera dell’uomo era evidente e questo fatto, ovviamente ebbe l’effetto di incitare a continuare il gioco perverso, anche perché Michelino non poteva fare a meno di andare in paese a sbrigare le sue faccende. E si sa… la rabbia sostiene lo scherzo e lo stesso, come in un circolo vizioso, la fa aumentare, come se si gettasse benzina sul fuoco.

Ormai tutti nel borgo quando vedevano Michelino aspettavano di vedere il suo volto accigliato nell’ascoltare quell’esclamazione che lo metteva di malumore, alcune volte espressa ad alta voce anche da qualche stupido adulto.

Nello spazio di pochi mesi, l’attenzione del popolo invece di essere sul sindaco che in poco tempo aveva cambiato in positivo la vita del paesino, si concentrò sulla scommessa. Per Michelino diventò questione di vita o di morte, doveva salvare ad ogni costo la sua faccia, fino a che prese una decisione: doveva fare di tutto per far cadere il sindaco e non sentire più l’odiosa esclamazione; se le cose restavano così avrebbe perso la sua dignità. L’uomo aveva conoscenze importanti grazie al patrimonio ingente che aveva accumulato e decise che era venuto il momento di chiedere favori a persone altolocate.

Purtroppo il mondo a volte va così, le persone non vigilano sulle cose veramente importanti: la scommessa diventò in poco tempo l’argomento principe nelle case e nella piazza. In paese – in attesa di come si sarebbero evoluti i fatti – nessuno si impegnò a reagire quando si seppe che alcuni personaggi nei posti di potere tramavano a favore di Michelino per far destituire il neo eletto.

Un faccendiere, a cui l’imprenditore aveva fatto un grosso favore riuscì ad individuare una strada per far accusare il sindaco di aver compiuto un atto illegale. Di per sé si trattava di una banalità, ma le persone giuste al posto giusto, fanno la differenza. Partì una denuncia dettagliata redatta da un famosissimo avvocato di Reggio Calabria di cui si diceva non avesse mai perso una causa.

Quando la notizia si sparse, in paese aumentò il mormorio non sulla questione dell’accusa – poiché tutti sapevano l’onesta e la buona fede del politico – ma sul fatto se Michelino avesse o no la possibilità di vincere la scommessa. Passò tranquillamente in secondo piano il merito della questione, si stava semplicemente in attesa di sapere come quel perverso gioco avesse un esito positivo o negativo. E fu così che in una mattinata di primavera, il paese si ritrovò improvvisamente senza amministratori e da una oscura automobile scesero i commissari che non salutando nessuno entrando nel Comune. Il primo cittadino, non era riuscito a giustificare il suo agire anche se tutti sapevano quello che era stato ordito alle sue spalle!

Michelino fece il suo ingresso nella piazza del paese domenica dopo la messa, in una giornata calda, davanti alla gente. Trionfante avanzava tra una folla di persone. Alcuni si avvicinarono per stringergli la mano. Era al centro dell’attenzione di tutti, anzi lui stesso aveva già comunicato che alle prossime elezioni si sarebbe candidato e la vasta schiera di coloro che salivano da sempre sul carro del vincitore lo ossequiarono con dei sorrisini di compiacimento come per dirgli che era stato bravo a vincere la scommessa.

In una panchina stava seduto maestro Giacomino, con il bastone in mano. Aveva, stranamente, la barba lunga e – osservandolo attentamente – in preda ad una certa agitazione. Sembrava quasi che fosse fuori posto in quella piazza in cui tutti fremevano per i fatti accaduti, come se fosse normale far destituire il sindaco ed essere amministrati dalla commissione prefettizia.

Michelino dispensava sorrisi a destra e a sinistra e vedendo il maestro seduto che stava con lo sguardo in giù, pensieroso, ebbe l’idea di avvicinarsi, voleva conoscere le sue considerazioni sull’accaduto.

Quando gli fu davanti maestro Giacomino lo fissò. Il suo volto diventò arcigno e accigliato e con tutta la voce che aveva in corpo gridò: «Viva il sindaco!» per poi fermare il suo sguardo severissimo all’uomo che aveva davanti a sé che si trovò spiazzato e senza sapere come reagire.

Si fece uno strano silenzio quel giorno. Michelino scomparve come per magia e per almeno un’ora in piazza non fiatò nessuno. Il grido di colui che fu maestro di quasi tutti gli abitanti del paese era stato abbastanza significativo.

Molti pensarono al senso di quella esclamazione e di come fossero stati superficiali e inconsapevoli protagonisti della caduta dell’uomo democraticamente eletto.

Altri aprirono gli occhi su quello che era successo ammettendo la superficialità e la gravità del fatto: una semplice scommessa aveva provocato un danno difficilmente riparabile. Nei giorni successivi recarono come in processione dall’ex sindaco per dargli conforto.

La stessa processione si verificò a casa del maestro che non andava più in piazza ma stazionava su una sediolina davanti al portoncino di casa sua. A tutti spiegava, come quando lo faceva a scuola, che con la democrazia non si scherza e per un gioco perverso i cittadini del paese avevano perso la possibilità di essere amministrati da un cittadino liberamente eletto e soprattutto onesto.

Ogni tanto gli spuntava una lacrima e qualcuno capì il dispiacere che sentiva per l’ex ragazzo discolo diventato sindaco. In lui il vecchio maestro aveva visto i frutti più belli dei suoi insegnamenti.

In pochi festeggiarono la vittoria della scommessa.

Nessuno seppe mai chi fossero, e si ritrovarono a banchettare in un ristorante sconosciuto, lontano, lontanissimo dal piccolo paese.


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