Premio Racconti nella Rete 2023 “Lo stregone” di Paola Mezzogori
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023Nella manciata di minuti che impiega a salire al piano e suonare al campanello mi domando quanto l’immagine mentale che mi sono fatto dell’amica di Simona corrisponda al vero. Lo faccio sempre quando tratto per la prima volta una persona che non conosco. Sento il bisogno di creare un contatto prima ancora di incontrarla, di preparare uno spazio interiore per accogliere i suoi vissuti e restituirglieli affinché possa elaborarli, trasformarli, o anche solo tollerarli. Non so perché lo faccio, ma sento che è importante.
Simona mi dice sempre che sono uno stregone, che ho dei poteri magici, che tutti mi dovrebbero conoscere. Magari credessi in me la metà di quanto ci crede lei. So che ha grandi aspettative: Elisa è la sua migliore amica e ci tiene molto a regalarle questo trattamento. Chissà cosa le avrà detto, spero di non fare brutta figura.
Lo squillo del campanello mi riscuote dall’ansia da prestazione. Mi accorgo di avere le mani sudate e le asciugo nei pantaloni della tuta, poi mi controllo allo specchio e sento la voce di mia madre in testa che mi dice che questi capelli lunghi mi danno un’aria sciatta. Mi impongo di ignorarla e apro la porta. Elisa è una donna minuta, o almeno così la percepisco dal mio metro e novantatré, ma la sua stretta di mano è forte e il suo sguardo allo stesso tempo sicuro e accogliente. Indossa dei pantaloni neri larghi e un cardigan grigio chiaro copre il suo corpo fino ai fianchi nascondendo le sue forme femminili. Il suo viso dai tratti delicati è truccato appena. Mi colpiscono il suo bel sorriso e i suoi occhi verde azzurri che indugiano nei miei qualche istante più del consueto. Percepisco dietro al suo sguardo una profondità insondabile e una richiesta inespressa: un bisogno di essere vista. Ma come può non sentirsi vista, mi domando, è una bella donna, ma la sua non è una bellezza appariscente, piuttosto è elegante e discreta, di quelle che a uno sguardo superficiale possono passare inosservate.
Mentre entra e si toglie il cappotto e le scarpe rimango colpito dal suo modo di occupare lo spazio. Appoggia le sue cose in un angolo del divano e si muove in modo così delicato da non lasciare quasi traccia del suo passaggio, come un essere etereo. Immagino di prenderla in braccio senza avvertirne il peso. Che strano pensiero, mi dico.
Le offro una tisana e la faccio accomodare sul tatami. Le chiedo di dirmi qualcosa di sé, di come sta, di cosa ha bisogno dal trattamento.
Mi risponde che sta abbastanza bene, a parte un po’ di dolore alla zona lombare, che è un periodo molto intenso della sua vita e che è soddisfatta di tante cose, ma anche un po’ affaticata.
“Ho spesso la sensazione che mi manchi il tempo. A volte penso che avrei bisogno di così tante vite per poter fare tutto.”
Vorrei dirle che è proprio così, che di vite ne viviamo molte e che la capisco perché anch’io fatico a trovare il tempo per coltivare le mie passioni. Forse per questo, pur avendo superato la soglia dei quaranta, non sono ancora riuscito a trovare spazio per un figlio.
“Il tempo di questo trattamento è tutto per te,” le dico invece “ora sdraiati e immagina di essere ai Caraibi o nel posto che più ti piace al mondo e goditi questo momento come una coccola.”
Quando lei si stende sul tatami avverto l’impulso di seguirla e sdraiarmi accanto a lei. Devo essere impazzito, mi dico scuotendo impercettibilmente la testa per scacciare l’immagine e la sensazione di calore che la accompagna.
“Se vuoi chiudi gli occhi” le dico inginocchiandomi al suo fianco. Lei fa segno di sì con la testa, ma prima di farlo mi guarda mentre poso le mani sul suo addome. Io provo un senso di intimità nell’incontro dei nostri sguardi e un’inspiegabile sensazione di familiarità al contatto con il suo corpo, come se il mio avesse riconosciuto il suo. Chiudo gli occhi per concentrarmi sul trattamento e distogliere l’attenzione da queste sensazioni che mi destabilizzano, ma immediatamente si affacciano alla mia mente immagini dei nostri corpi nudi, delle nostre mani intrecciate, delle nostre labbra unite in un lungo bacio. Riapro gli occhi senza staccare le mani dal suo corpo e la osservo abbandonata sul tatami, un sorriso lieve le illumina viso, sembra completamente a suo agio. La trovo una donna affascinante e sensuale e il desiderio di raggiungerla è fortissimo. Sei pazzo, mi dico. Mi tornano in mente le parole del mio maestro. “Le nostre mani sono un canale, attraverso di loro possiamo contattare la parte più profonda di una persona, la sua anima. Potrà capitarti di provare sensazioni forti e inspiegabili che ti faranno perdere il tuo centro. In quei momenti dovrai ricordarti che quello tra te e la persona è un contatto intimo e sacro e come tale dovrai trattarlo.”
Ricordare queste parole mi aiuta a tornare in me. Sposto lo sguardo dalla figura esile di Elisa ai rami spogli delle piante che si agitano fuori dalla finestra mosse dalla tramontana. Il cielo limpido sta iniziando a cambiare colore preparandosi al crepuscolo.
Quando lo stregone mi posa le mani sull’addome quel contatto mi accende nel corpo una sensazione inaspettata, che mi stordisce. Chiudo gli occhi per paura che lo possa vedere. Sento la sua gamba toccare la mia e riconosco una familiarità antica con quel corpo che istintivamente desidero sentire più vicino al mio. Durante il trattamento perdo il senso del tempo e dello spazio. Non so più cosa stia accadendo nella realtà e cosa nella mia fantasia, cosa nel mio corpo e cosa nella mia mente, cosa nel presente e cosa in un tempo indefinito perso tra il passato e il futuro. È come galleggiare in uno spazio infinito dentro un corpo che può espandersi senza confini sotto le sue grandi mani calde. È come essere tornata a casa dopo un lungo viaggio: un luogo familiare, accogliente e caldo in cui posso abbandonarmi senza paure né riserve.
Dopo un tempo che non saprei calcolare lo stregone stacca le sue mani dal mio corpo e si siede alla mia destra mantenendo il contatto tra il mio fianco e la sua gamba. Sento la sua voce sussurrare piano al mio orecchio: “grazie”.
Oddio ma questo vuol dire che è tutto finito? Non voglio perdere questo contatto ora che l’ho ritrovato, non voglio! Resta qui stregone non ti allontanare! Questi pensieri mi attraversano la mente in una frazione di secondo e forse lui li percepisce, o forse no. Sta di fatto che si prende cura del mio bisogno senza che io lo abbia formulato a parole e le sue mani calde raccolgono la mia fredda abbandonata sul tatami. Adesso sì che sono a casa. Non mi occorre altro che questo abbraccio caldo e intimo. La mia percezione è di un’unione che va oltre i nostri corpi vicini e le nostre mani intrecciate. Quello che sento è un contatto tra le nostre anime.
Tengo gli occhi chiusi respirando profondamente e abbandonandomi a questa sensazione di calore e appagamento. Poi, dopo un tempo imprecisato, li apro. I rami degli alberi fuori dalla porta finestra ora sembrano galleggiare in un mare scuro illuminato dalla luna piena. La stanza è buia, ma riesco ancora a vedere il profilo dello stregone.
Iniziamo a parlare. Lui mi dice cosa ha percepito attraverso il contatto con il mio corpo, mi chiede se questo abbia un senso per me, mi dice ciò che secondo lui potrebbe farmi bene. “Hai bisogno di divertirti di più” osserva con semplicità.
Come se fosse facile, penso, per una figlia unica abituata a giocare da sola o a rubamazzo con la nonna. Come si fa a divertirsi? Nessuno me lo ha insegnato.
Mi perdo per un attimo in queste considerazioni, poi la mia attenzione è di nuovo catturata dalle nostre mani, che non si sono ancora lasciate e si accarezzano delicatamente.
Continuiamo a parlare con grande naturalezza, come se fosse normale per due sconosciuti chiacchierare tenendosi per mano. Poi lo squillo del suo telefono ci interrompe. Lei si alza di scatto e la sua mano scivola fuori dalla mia. Per un attimo avverto un leggero senso di vuoto.
“Oddio non mi ero resa conto che fosse passato così tanto tempo scusa,” dice dopo aver visto l’ora sul telefono e averlo spento senza rispondere.
“Era il tempo per te ricordi?” le rispondo.
“È vero ed è stato un tempo bellissimo. Ti ringrazio,” dice congiungendo le mani e chinando lievemente la testa.
Io le sorrido e istintivamente allargo le braccia. Sento il bisogno di ristabilire quel contatto bruscamente interrotto dallo squillo del telefono. Lei mi sorride, si avvicina piano e io avvolgo il suo corpo con il mio abbraccio. Mi sfugge un sospiro. Finalmente, mi dico. Alla mia mente si affacciano di nuovo le immagini di poco fa e sento che il mio corpo è pronto a rispondere. Mi impongo di non avere un’erezione, siamo così vicini, lei potrebbe accorgersene e questo momento magico si spezzerebbe. Mi perdo nella sensazione di familiarità che mi trasmette il suo corpo, nel profumo dei suoi capelli. Mi domando come possa essere tenerla tra le braccia o guardarla mentre dorme. Poi lei muove la testa e le sue labbra finiscono tra la mia maglietta e il mio collo. Non faccio in tempo ad assaporare quel contatto caldo e morbido che lei si stacca e posa un dito sul mio petto, come a voler mantenere tra di noi una distanza di sicurezza.
“Ok ora devo andare” dice piano, ma non si muove. Il suo sguardo è fisso sulla scritta della mia maglietta. Non c’è alcun rumore nella stanza, solo quello lieve dei nostri respiri. Immagino di chinarmi verso di lei, di prenderle il viso tra le mani guardandola negli occhi e appoggiare le mie labbra alle sue. Ma non lo faccio. Invece sento la mia voce dire: “si hai ragione si è fatto tardi”.
Lei mi ringrazia, mi dice che è stato un incontro bellissimo, che le ha scaldato il cuore. Poi raccoglie velocemente le sue cose, mi saluta con un bacio lieve sulla guancia ed esce senza neanche aver indossato il cappotto.
Sono uscita da quell’incontro con sensazioni contrastanti. Mi sentivo inebriata da quel contatto così intimo e caldo. Allo stesso tempo però provavo un senso di incompiutezza perché avrei voluto prolungarlo.
Sono passati i giorni, le settimane, i mesi, gli anni. Tante volte ho fantasticato immaginando di baciarlo invece di mettergli un dito sul petto e dirgli che era ora di andare.
Non ho più rivisto il mio affascinante stregone, ma quell’incontro mi è rimasto dentro e lo porto ancora con me, forse lo porterò sempre con me. Anche il bacio, sebbene ci sia stato solo nella mia fantasia.
Perché non c’è nulla che sia per sempre come il bacio che non ci si è mai dati.
Eppure sono convinta che in un tempo imprecisato, tra un passato infinitamente lontano e un futuro indefinitamente vicino, quel bacio esista. Forse è per questo che ne sento ancora il desiderio, ma non la mancanza.