Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Diverso da chi” di Elisa Caramagno

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Mi svegliai come sempre all’alba per prendere servizio al campo di concentramento di Auschwitz. Indossai la mia divisa da guardia e mi diressi verso il campo mentre dal cielo cominciavano a cadere tanti bianchi fiocchi di neve. 

Quel giorno io e il mio amico Karl dovevamo soprintendere al lavoro dei prigionieri nel campo di Monowitz. 

Era inverno e dopo un paio di ore era comune notare qualche corpo che si accasciava nella neve e che veniva subito ripreso dalle guardie, vivo o morto che fosse. Era per me un lavoro noioso che non sopportavo, la mia ripetitiva routine. 

Proprio mentre Karl si allontanava per una pausa, vidi un vecchio fermo in mezzo al sentiero di neve. Innervosito, mi diressi verso l’uomo e lo spinsi, facendolo cadere. Il vecchio mi guardò, era un semplice anziano dalla pelle nera con una lunga barba bianca e qualche ruga nel viso , ma i suoi occhi erano lucidi, svegli, e puntavano dritti nei miei.  L’uomo rimase per terra a fissarmi mentre, improvvisamente, sentì una forte fitta alla testa e cominciai a barcollare, allontanandomi dal gruppo, mentre stringevo il cranio tra le mani per paura che potesse esplodere. Chiusi gli occhi. 

Quando li riaprì, mi ritrovai disteso nella neve, ma in un altro punto del campo. Come ero arrivato fino a lì? Mi guardai i vestiti e restai inorridito. Indossavo un uniforme a righe e su di essa spiccava un triangolo nero, generalmente attribuito ai malati mentali, i disabili, i senzatetto e tutti gli altri individui considerati appartenenti a una classe inferiore. Era un incubo. Io ero un tedesco di razza ariana! 

Improvvisamente notai Karl che si avvicinava verso di me. Cominciai a chiamarlo, fiducioso, ma non feci in tempo a completare la frase, che un forte calcio mi stese a terra. Biascicai, provando a convincerlo della mia identità ma lui continuò a colpirmi. Karl vedeva solo un emarginato, un diverso. I suoi occhi erano accecati dall’odio. Eppure io ero pur sempre l’amico con cui Karl aveva bevuto una birra la sera prima, e che egli considerava suo pari. Cosa mi rendeva diverso ai suoi occhi? Un triangolo nero, un maledetto triangolo nero sui miei vestiti. 

Un altro calcio, un altro pugno e mi risvegliai nuovamente nella neve. Stavolta ero circondato da altri prigionieri. Continuavo a ripetermi che prima o poi quell’incubo sarebbe finito.  

Cominciai a girare intorno al cortile, osservando gli uomini presenti: c’era chi provava goffamente a medicarsi le ferite, chi parlava in modo sconnesso, chi mangiava minuscole briciole di pane, chi giaceva per terra addormentato o mezzo morto, e chi invece era morto per davvero. Non mi ero mai fermato ad osservare le persone in quel campo, non avevo mai fatto caso a tutte quelle sofferenze, perlomeno non le avevo mai viste così da vicino. Magari bisogna davvero mettersi nei panni degli altri per capirli a fondo. 

Ad un certo punto un uomo mi fece cenno di avvicinarmi e io mi sedetti accanto a lui. Egli mi porse un trancio di pane dicendomi che per lui non c’era più molto da fare. Rimasi completamente spiazzato da quel raro gesto di gentilezza e riuscì solo a balbettare un grazie. E così cominciai a chiedermi:

“Cosa mi rendeva diverso da quell’uomo accanto a me?” “Cosa rendeva me superiore e lui inferiore?” Non riuscì a trovare una risposta. 

Ma allora eravamo davvero così diversi come tutti credevano? Che cosa significava razza? Può una semplice differenza fisica o etnica ostacolare la solidarietà, l’amicizia, la fratellanza? 

Per la prima volta nella mia vita mi accorsi che quelle domande non avevano alcun senso. Avevo creduto alla storia delle razze per troppo tempo, mi accorsi in quell’istante che nel mondo esisteva solo una grande famiglia: quella umana.

Mi risvegliai di soprassalto. Avevo la mia divisa da tutti i giorni ed ero disteso nella neve. Un velo di nebbia avvolgeva il paesaggio circostante. Saltai in piedi, non mi importava se quello era stato un incubo, un sogno, se era stato reale o irreale. Corsi subito verso la squadra di lavoro della mattina, ma scorsi solo il vecchio, accasciato davanti a un masso. Gli andai incontro, scoraggiato, ma appena gli fui vicino quello aprì gli occhi. Gli porsi il braccio, egli lo afferrò e io lo aiutai a rimettersi in piedi. Il vecchio rispose solo con un “Grazie, fratello”, prima di sparire tra la nebbia.

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1 commento »

  1. Una tematica difficile e quanto mai attuale svolta con semplicità e con buona prosa. E’ stato piacevole leggerti.

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