Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Assassinio al Picassoheart” di Teresa Averta

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

(Dective story)

L’agente segreto si chiamava August Fisher, e Alfred Suggin, agente speciale della squadra anticrimine di Londra aveva già lavorato con lui in un caso che riguardava la sicurezza nella città di Washington.

Perciò quando Fisher si presentò davanti a lui all’improvviso, dicendo: – Prima andiamo sul posto, poi ti spiegherò tutto –, Suggin lasciò immediatamente il suo ufficio, prese il cappello e l’ombrello e lo seguì senza fare domande.

Fisher lo accompagnò in centro in auto, chiacchierarono a lungo durante il tragitto: il traffico era intenso a Trafalgar Square, ma riuscì ad imboccare una tortuosa stradina laterale per raggiungere al più presto la galleria d’arte “National Gallery” dove, per fortuna, parcheggiò – e a piedi raggiunse con Suggin, un famoso emporio di antiquariato, ubicato accanto alla National Gallery, sulla cui polverosa vetrina appariva la scritta sbiadita: Picassoheart” pinacoteca fondata nel 1850.

Davanti all’ingresso di “Picassoheart” c’erano due uomini molto giovani, che potevano essere scambiati per due impiegati di Wall Street usciti durante la pausa per il pranzo. Non erano certo due “guardie svizzere” e non c’era alcun agente di polizia in divisa. Tutto in piena norma!

Deve trattarsi di qualche tesoro prezioso e interessante, senti anche tu “odor di antico”? – Mormorò Suggin, e precedette Fisher nel negozio di antiquariato.

L’interno del luogo era davvero freddo e decrepito, l’esterno del locale, altrettanto angusto e scarsamente illuminato, con pareti di legno scurito dal tempo e un arredamento vittoriano comprendente anche un “becco di gas” per l’accensione di sigari e sigarette. Qualche vecchio libro e un calamaio giacevano sopra uno scaffale di legno putrefatto dal tempo e su una poltrona di velluto rosso, erano posti un dipinto di Picasso, datato 1890 e un quadro del 1850 raffigurante la Regina Vittoria d’Inghilterra, coperto da un drappo nero. Ma la loro attenzione era su ben altro…che l’arte!

L’aria che si respirava in quel luogo era pesante e, nonostante ciò, i due coraggiosi agenti si portarono in fondo all’emporio artistico, vicino al tendaggio che copriva l’ingresso del retro, dove c’era un solenne budda di legno che ormai aveva perso quasi del tutto la vivace vernice originale. A parte qualche macchia di colore qua e là, il legno sottostante era visibile quasi dappertutto.

La scultura del budda non era più brillante e la sua figura aveva un’aria trascurata, abbandonata mentre il cadavere steso a terra tra il banco contenente reliquie antiche e lo scaffale di legno con sopra diversi manuali antichi, aveva l’aria ancor più sconvolgente di chi è stato colpito, oltraggiato non dal tempo ma, da una mano malvagia e assassina.

Stranamente la vittima riversa sul pavimento, aveva su di sé, tra le mani, un pesante vaso d’argilla che ovviamente proveniva da una fila di vasi analoghi allineati su uno dei ripiani più alti, dietro al banco delle reliquie.

La vittima deve essere stata colpita da dietro, in questo punto – disse Fisher a Suggin, indicando una macchia di sangue raggrumato ai piedi del budda di legno.

Probabilmente è accaduto mentre stava andando nel retrobottega. L’assassino deve averlo abbandonato qui pensando che fosse già morto, e invece non era ancora morto, se ha lasciato una scia di sangue che parte dal budda e gira dietro al banco delle reliquie, fino al punto in cui si trova ora il cadavere. È andata proprio così. Non ci sono dubbi. Quando il killer è uscito dall’emporio, quest’uomo, chissà come, è riuscito a trascinarsi fino a quel punto e, nonostante la gravità del dolore e delle ferite, prima di morire ha tirato giù il pesante vaso d’argilla da quel ripiano in alto… dove adesso c’è lo spazio vuoto. Ha cercato di afferrarlo ma, ahimè gli sarà caduto in testa, colpendolo a morte? Oppure no?

Pare anche a me che sia andata così, caro collega – confermò Suggin. – Posso dare un’occhiata al vaso?

– Fai pure ma è già stato controllato tutto. Replicò l’agente segreto Fisher.

Suggin curioso prese il vaso d’argilla dalle mani del morto, che opposero una certa resistenza, e sollevò piano il coperchio. Il vaso era completamente vuoto. Poi si fece prestare una lente d’ingrandimento dall’agente segreto, per guardare meglio e dopo un attimo gliela restituì. In fondo quello era il suo lavoro, la sua specialità.

In questo vaso di argilla non c’è nulla. Non si vede alcuna traccia, alcun frammento, nemmeno negli spigoli.

Fisher non disse niente, e Suggin passò ad esaminare i ripiani del vecchio scaffale. Su quello da cui la vittima aveva preso il vaso ne rimanevano ancora tre, etichettati rispettivamente ”, “Royal Medal of Value1”, “Royal Medal of Value2”, “Royal Medal of Value3“.

Gli altri tre non sono vuoti – disse Fisher, come se leggesse nel pensiero di Suggin. – Dentro c’è esattamente quello che dice l’etichetta: una medaglia di grande valore.

Suggin si abbassò e si accovacciò accanto al cadavere. Portava una collanina con medaglia raffigurante un blasone reale “Royal Arms” lunga fino al petto, secondo l’uso britannico, e aveva un corpo sorprendentemente muscoloso, dei capelli color sabbia piuttosto radi, carnagione chiara e dei lineamenti asciutti, molto alto, insomma tipico uomo inglese. Doveva avere non più di cinquanta anni.

Immagino che sia Mush Milk della Royal Art Family – disse Suggin. – O per lo meno un suo diretto discendente.

Non ci hai azzeccato affatto – replicò Fisher, con disappunto e amarezza. – Era uno dei nostri uomini migliori, grande e abile collaboratore e non aveva proprio niente a che fare con Milk. Per quel che mi risulta, il nonno e il padre di Milk erano collezionisti di antiquariato nobili e rispettabili, e conoscitori di preziosi testi antichi ma Milk era un figlio degenere che usava questo emporio come punto d’appoggio e di spaccio per gli agenti stranieri, che vi lasciavano o vi trovavano messaggi, lettere, merce illecita o rubata, e così via.

Abbiamo iniziato a sospettare di Mush Milk solo di recente, e lo abbiamo tenuto sotto sorveglianza e controllato l’emporio, ventiquattr’ore su ventiquattro, ma senza alcun risultato. Non è mai stato visto arrivare da queste parti, né entrare o uscire nessun agente straniero. Sembrava tutto così misterioso e strano, un piano quasi perfetto.

Poi a un certo punto abbiamo avuto “occhio clinico” “tatto professionale” o chiamalo se vuoi, un colpo di fortuna: abbiamo scoperto che uno dei nostri brillanti agenti di New Scotland Yard, Coffer James, somigliava in maniera incredibile alla vittima, un sosia quasi perfetto di Milk.

Così abbiamo fatto venire qui Coffer, lo abbiamo istruito a dovere su Milk, e poi abbiamo arrestato Milk in piena notte; lo abbiamo sostituito con l’agente Coffer, e abbiamo tolto la sorveglianza al negozio di antiquariato per lasciare agire Coffer in piena libertà. Lui sapeva il rischio che correva.

E l’ha corso fino in fondo, il rischio – disse Suggin, guardando quanto era rimasto del povero agente. – Da quanto tempo si faceva passare per Milk?

Da circa un mese ormai. Ma non si era fatto vivo nessuno, Coffer ne era certo. Passava il tempo libero nel retro, a trafficare e smistare merce antica e quadri di valore, e non solo, a destra e a manca, facendo del negozio, un centro di illecito spaccio apparentemente insospettabile su cui erano registrati centinaia e centinaia di nomi di clienti londinesi ed esteri, ciascuno con il proprio numero e indirizzo. È stata una fortuna che ci siano qua dei microfilm perché l’assassino ha portato via il libro contabile del commercio dell’emporio. Proprio questa mattina l’agente Coffer ci aveva comunicato, avvisandoci per telefono, di aver scoperto che due, tra i clienti registrati, erano degli agenti stranieri… mah!

Come abbia fatto a scoprirlo, probabilmente, non lo sapremo mai, dato che non ha avuto il tempo di spiegarcelo. Proprio in quel momento era entrato un cliente e Coffer ha dovuto riattaccare. Quando poi abbiamo ritelefonato dall’ufficio di polizia, pensando che ormai non ci fosse più pericolo, il nostro agente era già morto.

Evidentemente uno dei due agenti, o tutti e due, erano entrati nell’emporio prima dell’orario di chiusura e avevano capito che era solo un sosia.

Forse avevano un segnale convenzionale che Coffer non conosceva… – Disse Suggin fissando il vaso d’argilla vuoto.

– Fisher, perché ti sei rivolto a me per questo caso?

– La ragione ce l’hai sotto gli occhi.

– Il vaso d’argilla?! Quasi certamente conteneva quello che era stato consegnato a Milk per essere poi passato a qualcuno. Ma se quando Coffer è stato aggredito c’era dentro la medaglia d’oro, adesso la medaglia è sparita insieme all’assassino.

– Esattamente – disse l’agente segreto. – Perciò Coffer ha fatto quello sforzo sovrumano per prendere dallo scaffale un vaso importante… Perché prima di morire ha voluto attrarre la nostra attenzione su questo vaso antico d’argilla?

Ovviamente per comunicarci qualcosa.

Ovviamente – ripeté Fisher, in tono leggermente irritato. – Ma che cosa? È questo che non riesco a capire, Suggin. Ed è per questo che mi sono rivolto a te. Hai qualche idea?

– rispose Suggin. – Cercava di dirvi chi erano gli agenti stranieri.

Suggin generalmente controllava bene le sue emozioni, ma stavolta la sorpresa lo lasciò a bocca aperta e occhi spalancati.

Be’, a me non è riuscito a dire un accidente – borbottò l’agente segreto. – Non mi dirai che a te ha detto qualcosa!

Be’… sì.

Che cosa?

Chi sono i due agenti stranieri.

Bene, direi che il “delitto è perfetto”!

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