Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Il giorno perfetto” di PierPaolo Neggia

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Il professor Guido Tesani primario della Clinica Excalibur scosse lentamente la testa esaminando la cartella clinica del paziente seduto davanti a lui.

“Sembra che abbia ripreso a crescere. “

Pronunciò le parole a malincuore senza sollevare gli occhi per incontrare lo sguardo di Arturo Moreno ex primario che aveva occupato la sua stessa scrivania prima di andare in pensione.  

“Ho visto l’ecografia. – Affermò quest’ultimo con un tono di voce volutamente indifferente- Ormai si è preso tutto il fegato. Non potete più fare nulla.”

“Non è detto! – Si affrettò a precisare il primario- Possiamo aumentare il dosaggio della chemioterapia.”

“No grazie, ho già dato! E non parlarmi di operazioni o trapianti. Sappiamo entrambi che sono troppo vecchio per sopportarne un’altra. Penso che tornerò a casa a mettere un po’ d’ordine. Avrò parecchio da fare e poco tempo per farlo. Per questo ti prego di non chiamarmi più.”

L’altro allargò le braccia “Potresti restare qui. Hai ancora un posto nel consiglio di amministrazione e questa clinica l’hai messo in piedi tu. “

“Grazie, ma preferisco illudermi che Excalibur sia quel posto perfetto che ho sognato di realizzare, prima che noi tutti riuscissimo a rovinarla e ridurla a come è in realtà.”

“Rispetto la tua scelta! Ma fatti almeno installare la nuova App del Centro Medico, così possiamo monitorarti a distanza e mandarti i nostri suggerimenti senza disturbarti troppo. “   

Arturo abbozzò un sorriso. “Sai che ho poca simpatia per queste menate tecnologiche.” 

“Dammi il tuo smartphone. Scusa volevo dire il tuo telefonino. Ci penso io.” 

Trafficò brevemente con il suo portatile ed il cellulare del paziente, poi lo riconsegnò al suo proprietario. “E’ quella icona a forma di sole che ride. Si chiama: Il Giorno Perfetto “

Arturo lo prese con una smorfia ironica “Davvero un nome appropriato. Adesso posso andare?”   

“Buona fortuna vecchio.”     

“Buona fortuna anche a te Guido. Ne hai bisogno più di me.”

Arrivato a casa si sedette sulla sua poltrona preferita guardandosi intorno. Per tutto il percorso in auto aveva progettato in modo preciso e dettagliato quello che intendeva sistemare per rendere perfetti, o almeno sopportabili, i suoi ultimi giorni di vita. Ora che era lì non sapeva più cosa fare, nulla aveva un senso.

Il suo cellulare ronzò sommessamente. C’era un messaggio della nuova app. “Non restare lì. Esci di casa.” 

 Digitò una risposta “E’ tardi per uscire. E non so dove andare.” 

Il messaggio di risposta fu immediato “Sono solo le nove del mattino ed il tuo giorno perfetto è appena cominciato. Comincia col mettere un piede fuori da quella porta, poi decideremo dove andare.”

Arturo guardò storto il congegno elettronico che pretendeva di dirgli cosa doveva fare, poi strinse le spalle: “Perché no!”

Prima di uscire recuperò una piccola scatola di metallo dal cassetto dello scrittoio e se la mise in tasca. 

“Guida fino al parcheggio del supermercato. “Ronzò il cellulare.

Non aveva nessuna voglia di fare la spesa ma ormai aveva deciso di stare al gioco. Prese un carrello e cominciò a percorrere le lunghe corsie tirando giù le confezioni dagli scaffali quasi a caso. 

“Vai al reparto cereali.” Suggerì l’app.

C’era solo una donna magra di media statura con una croccia di capelli grigi intenta a sistemare i pacchetti di cereali liofilizzati nel suo carrello.

Arturo ne prese uno da uno scaffale esaminandolo con finto interesse.

“Da quando Arturo, re e signore di Camelot, è diventato vegano?” Chiese la donna sollevando gli occhi azzurri un po’ sbiaditi.

” Ginevra! “Disse lui sorpreso al punto di lasciar cadere il pacchetto. Si fissarono a lungo in silenzio imbarazzati ognuno aspettando che l’altro parlasse. Poi lui si decise “Se hai finito di fare la spesa possiamo uscire a parlare.” “

Lei annuì precedendolo alla cassa. “Hai sempre la tua Jaguar? “Gli chiese quando furono nel parcheggio.

“Adesso ho una Ford, più lenta ma molto più grande ed ha un bagagliaio enorme. Possiamo sistemare dietro la tua spesa e la tua bicicletta.”

Lei rise “Come fai a sapere che ho una bicicletta?”   

“Perché ti conosco.”

“Sono passati quarant’anni da quando ci siamo visti.” 

“Ma tu non sei cambiata quasi per nulla.”

Lei rise di nuovo e ripeté “Quasi……”  con un tono ironico.  Poi andò a prendere la sua bicicletta e lo aiutò a sistemarla nel bagagliaio. 

“Portala al mare.” Ronzò sommessamente il cellulare. Lui la guardò imbarazzato trafficando per bloccare il flusso di messaggi.

Lei disse “Hai anche tu l’app. del giorno perfetto. Lasciala parlare e facciamo quello che dice. Anche per me questo è un giorno perfetto che, a quanto pare, devo trascorrere con te. “

“E la tua spesa?” Disse lui avviando il motore.

“Tutta roba liofilizzata, resisterà qualche ora nel bagagliaio anche se fa caldo. Piuttosto la tua ……”

“Ho comprato un sacco di roba che probabilmente andrà a male, ma chi se ne frega! Hai qualcuno che ti aspetta a casa? “

 “No! Nessun cazzone di amante o di marito che mi caghi neppure di striscio.”

Lui sussultò impercettibilmente ma non abbastanza perché Ginevra non lo notasse.

“Vedo che il mio linguaggio sboccato ti turba ancora. Ma se vuoi passare la giornata con me dovrai riabituarti. Io non sono cambiata, almeno in questo.”

“Il fatto è che, appena ti ho vista, mi è venuta voglia di riprendere il nostro vecchio gioco. E certe espressioni stonano in bocca ad una damigella della corte di Camelot, soprattutto se è la regina.”

“In fondo le mie parolacce ti piacevano un tempo anche se ti scandalizzavano. Adesso che non sono più giovane e bella, ti scandalizzano e basta.”

Guidò fino alla costa e parcheggiò facilmente l’auto in una stradina laterale.

 Non c’era molto traffico in quel giovedì d’Ottobre.

“Chissà se c’è ancora!” Disse lei saltando giù dall’auto con sorprendente agilità.

Fu costretto a correrle dietro fin quasi alla spiaggia e quando la raggiunse ansimava.

“Pensione Rugabella!”  Disse lei indicandogli l’edificio grigio e basso sulla passeggiata lungomare. “Ricordi quanto abbiamo riso nel leggere quell’insegna?”

Lui annuì “A quell’epoca le rughe non erano un problema per nessuno di noi e potevamo riderne.”    

L’app del giorno perfetto taceva ma non avevano bisogno di farsi dire cosa dovevano fare.  Prenotarono una stanza nella pensione per quella notte meravigliandosi ancora che fosse ancora in piena attività e con così pochi cambiamenti visibili dopo tanti anni. Poi cercarono un ristorante aperto in riva al mare per il pranzo. Durante il viaggio avevano passato il tempo a scambiarsi i ricordi di due vite vissute separatamente. Arturo aveva parlato a lungo di sua moglie morta in un incidente stradale otto anni prima e dell’unico figlio che avevano avuto. Ora era un ragazzo di trent’anni che era andato a fare il tecnico informatico negli Stati Uniti e che lui non vedeva da ormai tre anni. Tra loro era rimasto solo qualche messaggio d’auguri sul telefonino. Arturo si era dedicato completamente alla clinica di cui era socio fondatore.

“L’ho chiamata Excalibur. Molti mi hanno chiesto perché ho voluto dare un nome così bizzarro ad una clinica privata. Ho inventato tante storie assurde per spiegarlo, ma nessuno sa la vera ragione.”

 Ginevra parlò della sua esperienza con Medici Senza Frontiere in Africa e del giovane medico che aveva sposato. 

“Un medico inglese ed il suo vero nome è Laurel. Ma io l’ho sempre chiamato Lancelot, almeno quando eravamo soli. E non gli ho mai spiegato la vera ragione di quel nome.”

 Avevano avuto una bambina malata di SLA. Erano riusciti a tenerla in vita per sei anni. Poi l’avevano sepolta in un piccolo cimitero in riva ad un lago africano dove gli animali che lei conosceva ed amava andavano ad abbeverarsi.  Si erano separati.

Lei era tornata in Italia e si era dedicata alla ricerca di nuove cure per quella malattia.

Ma c’era una domanda che avevano evitato di farsi per tutto quel tempo. Alla fine del pranzo, davanti a due tazzine di caffè fumante Ginevra trovò il coraggio di esprimerla. “Per quale motivo quell’app si trova sul tuo cellulare?”

Lui sorbì l’intera tazzina guardandola e cercando le parole giuste per rispondere.

“Ho un tumore. Ha cominciato col mio fegato ma ora si sta diffondendo. Hanno provato con la chemio ma non funziona. E sono troppo vecchio per sopportare un’operazione. Mi restano tre mesi, forse quattro. Tocca a te adesso.”  

Lei parlò senza esitare col suo solito tono ruvido e sbrigativo. “Cancro alle mammelle. Mi hanno già fatto due interventi devastandomi quella parte del corpo ma ogni volta si riforma e sta risalendo. Forse ho qualche mese in più, rispetto a quelli che hanno previsto per te. Ma non posso fare altro che aspettare che arrivi al cervello e mi riduca ad un fottuto vegetale.”

Rimasero in silenzio osservando la cameriera che sparecchiava.

 Poi, inaspettatamente, lei rise. “E’ buffo se ci pensi! Nel mondo di re Artù erano i maghi e le fate a dirti quale era il destino che dovevi aspettarti. Nel nostro mondo è una ridicola app medica che dovrebbe darci consigli su come star bene e sopravvivere. Invece si preoccupa di farci incontrare e stare insieme, comportandosi come uno di quei programmi di incontri combinati sulla rete. “ 

“Ma come ha fatto a capire che eravamo entrambi nella stessa città, nello stesso supermercato e nella merda fino al collo dal punto di vista della salute?”

“Il data base del Centro sa tutto di noi e sembra che ci sia un anima romantica che manovra le interconnessioni tra i dati e le persone.”

Lui ci pensò su per qualche istante: “Alla faccia della Privacy! Fra un po’ scommetto che posterà un video in qualche social sul nostro incontro e su quello che ci siamo detti.”

Lei rise di nuovo:” In quel caso possiamo sempre fargli causa. Ma dubito che vivremo abbastanza a lungo per sapere cosa ne pensa il giudice.”

Uscirono dal locale e passeggiarono a lungo sulla spiaggia parlando volutamente di argomenti banali e privi di importanza.

Si concessero anche una bella cena a base di pesce in un altro locale pieno di luci e di musica.  

Poi venne il momento di tornare verso la pensione. Quando furono nella stanza Arturo tirò fuori la scatoletta di metallo che si era tenuto in tasca per tutta la durata del giorno perfetto.  “Ascolta Ginevra e non interrompermi perché se lo fai non troverò più il coraggio di continuare. Qui dentro ci sono due pillole azzurre. Me le ha date un collega in Svizzera. Sono due formulati a base di oppiacei, coagulanti del sangue, metabloccanti ed altre diavolerie che un tempo avrei saputo citarti e spiegarti a menadito, ma ora sono troppo rincoglionito per farlo. Basta sapere che sono quelle che ora vanno per la maggiore per le loro pratiche di eutanasia.  Nel momento in cui le ho richieste non mi rendevo conto del perché avessi bisogno di due pillole.

Una basta ed avanza per quello che intendo fare io e sarà stanotte. L’altra se vuoi…. la lascio per te. “

Lei lo guardò interdetta senza parlare, infine esplose.

“L’unica cosa sensata che ho sentito da te è che ti sei rincoglionito. Questa bella pensata non te l’avrà suggerita quella maledetta app spero!”

“No! Ho spento il cellulare tre ore fa. Non mi serve più niente o nessuno che mi dica come devo uscire di scena. “

“Vuoi dire che hai concepito questo bel finale melodrammatico tutto da solo?

E come dovrebbe svolgersi la prossima scena? Io e te prendiamo la pillolina, ci stendiamo su quel letto ed aspettiamo la fine mano nella mano parlando dei tempi passati.”

“Sì! -Ammise lui – Questa era più o meno l’idea. Con una variante. Noi ora ci spogliamo, facciamo l’amore come l’ultima volta che stiamo stati qui. Poi prendiamo la pillola.”

Lei scrollò la testa facendo oscillare la treccia grigia. “Non mi spoglierò, perché quello che è rimasto del mio corpo dopo tanti anni e tutte le operazioni non è un bello spettacolo e rovinerei il nostro giorno perfetto. Non farò l’amore con te perché, l’ultima volta che l’abbiamo fatto, quarant’anni fa, tu hai rifiutato di seguirmi in Africa per aiutarmi a curare la gente nell’ospedale dei Medici senza Frontiere.”

“Ero un giovane medico pieno di illusioni di carriera. Non me la sono sentita di seguirti in quella che mi sembrava l’idea folle di una ragazzina piena di ideali irrealizzabili.”

“Però ora sei tu a chiedermi di seguirti in una folle idea suicida concepita da un vecchio coglione avariato e stanco di vivere. Perché dovrei farlo?”

Lui abbassò la testa “Adesso so cosa fare, ma ho paura. Una maledetta, fottuta paura di andarci. E so anche che, se tu venissi con me, troverei tutto il coraggio del vecchio Artù.”

“Questa è una delle tue bastardate! -Disse lei con rabbia- Sono le stesse parole che ho usato io per chiederti di venire con me in Africa. Le mie stesse, identiche, fottute parole. E tu mi hai lasciato andare, da sola e con tutte le mie fottute paure.”

“Lo so! Non ho diritto di chiedertelo ma lo sto facendo lo stesso. La verità è che sono un vigliacco ed i vigliacchi non hanno onestà, dignità o vergogna. Solo paura.”

Lei si voltò verso la porta della camera e la raggiunse aprendola. “Ho bisogno di restare un po’ di tempo da sola adesso. Vado a sedermi sulla spiaggia per meditare. Poi non so se tornerò a casa oppure dal vecchio Artù morente dopo la sua ultima battaglia. In questo momento mi viene solo voglia di mandarlo a fare in culo, lui e tutta la sua giostra di cavalieri della Tavola Rotonda.

Ma ci voglio pensare ancora all’aria aperta. Qui sto soffocando.”

Lui le tese le chiavi dell’auto. “Se decidi tornare a casa non puoi farlo in bicicletta. A me comunque non serve più.”

Ginevra prese le chiavi ed uscì sbattendo la porta.

Arturo attese fino a mezzanotte, poi si spogliò completamente e si mise a letto dopo aver preso una delle pillole azzurre, l’altra lo lasciò nella scatola aperta sul comodino. Spense la luce e si distese supino ad occhi aperti. Dapprima non sentì nulla di particolare a parte una specie di formicolio che partiva dai piedi e pervadeva lentamente tutto il suo corpo. Poi subentrò una fase di intorpidimento che gli impediva ogni tipo di movimento. Ma rimaneva sempre vigile.

Quando Ginevra rientrò nella stanza rimase a lungo incerto se fosse un sogno oppure una percezione reale.

La sentì spogliarsi al buio e rovistare sul comodino borbottando una serie di parolacce e questo gli fece capire che non stava sognando.

Finalmente lei trovò quello che stava cercando, deglutì e si distese accanto a lui in silenzio, senza toccarlo.

Rimasero così immobili aspettando la conclusione del loro giorno perfetto.

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5 commenti »

  1. Tremendo. Scritto bene, senza dubbio, ma mi aspettavo (speravo in) un finale diverso, una sorta di deus ex machina che ribaltasse la situazione. Originale ed efficace l’idea della app del giorno perfetto.

  2. Amica Caterina io non credo ai finali consolatori sopra-tutto se applicati a certe storie ma dato che sei la lettrice , che per me ha un ruolo almeno equivalente se non superiore all’autore, sei libera di cambiare il tragico finale , fammi sapere cosa ti sei inventata per ribaltare la situazione.
    Grazie per il commento

  3. Un finale molto amaro, toccante. Credo che tu volessi rappresentare il viaggio e le ragioni che hanno portato il tuo protagonista fino alla decisione finale. Il racconto è riuscito, secondo me. Bravo!

  4. Al tuo commento Manuela posso solo rispondere grazie , mille volte grazie. Per amore della discussione sono leggermente sorpreso sul fatto che tu parli solo delle motivazioni e della decisione del protagonista maschile e non delle ragioni che portano la protagonista femminile alla sua decisione. Lui ha già pianificato tutto deve solo trovare il coraggio di mettere in atto il suo proposito, lei ha ancora ancora voglia di vivere e non vuole arrendersi al male che la sta uccidendo ma alla fine decide di morire accanto a lui.
    Da te che sei una donna mi interessa sapere come interpreti questa decisione, è plausibile? Tu l’avresti descritto così il suo atto finale?

  5. Trovo plausibile la decisione finale di lei in un racconto che, a mio avviso, ha dei tratti distopici. Ciò su cui, forse, mi sarei soffermata -pensando da donna -, è la prima reazione di lei quando capisce le intenzioni del protagonista. Magari l’avrei fatta reagire di più, scontrarsi con lui, ragionarci anche, per poi abbandonarsi alla soluzione finale. Mi è piaciuto, sei stato bravo a mio avviso.

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