Premio Racconti nella Rete 2011 “L’ ora del tè ” (sezione racconti per bambini) di Martina D’Agresta
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Il buffo orologio a cucù appeso nella grande sala fa scattare il suo allegro meccanismo: sono le cinque di pomeriggio.
Corro nella mia cameretta ed apparecchio per quattro. – Sì Teddy Bear, oggi abbiamo un ospite! – rispondo alla domanda eccitata del mio orsacchiotto peloso, mentre dispongo sui lati del tavolincino di legno quattro tazzine su quattro piattini di porcellana, al centro sistemo teiera e zuccheriera. Si tratta del mio fragilissimo servito delle grandi occasioni. – Mi raccomando- gli dico poi più da vicino, con l’ indice alzato, così sono sicura che stia prestando attenzione – Cerca di essere educato, non fare rumore con la bocca quando bevi il tè e giù i gomiti dal tavolo! -. Poi mi volto verso Ginevra, lei non ha bisogno di istruzioni, è una bambola perfetta; dò un colpo di spazzola ai suoi capelli fiammanti, spero di diventare bella come lei un giorno. Oggi il suo cuore sbatte le ali veloce come un uccellino. So perchè si sente così. – Ancora solo un po’ di pazienza, presto arriverà! – la rassicuro, mentre aggiungo tavoglioli rosa confetto e cucchiaini all’apparecchiatura.
Tutto è pronto. – Papà! Papà! E’ l’ ora del tè! -. Spruzzo del profumo nell’ aria, voglio che questo raffinato spuntino sia il migliore della sua vita. – Papà!- lo chiamo più forte, si fa sempre desiderare un po’ . – Muoviti, o il tè si fredderà! -. Spruzzo altro profumo.
Finalmente il mio papà bussa alla porta della cameretta. – Permesso?- chiede, affacciandosi col viso. – Avanti! – gli rispondo con gentilezza. Mentre si avvicina al tavolincino imbandito tossisce forte. Mi preoccupo: – Papà, sei malato? -. Lui mi fa un bel sorriso bianco che mi rassicura: – No! Sono solo stato colto di sorpresa da questo profumo meraviglioso!-. Sapevo che l’ avrei stupito!
Il mio papà ha gli occhi verdi come i miei, ed è muscolosissimo e altissimo, secondo me. Purtroppo non ho ancora ben capito che lavoro faccia. – Prego, si accomodi! – lo invito a sedersi sulla sediolina verde pisello. Lui fa una faccia stranita, poi mi domanda con una ruga in mezzo alla fronte: – Tesoro, sei sicura che questa sediolina riesca a sostenere il peso di papà? – Uffa. Sospiro. Sapevo che avrebbe fatto storie, ma nonostante l’ avessi previsto, rimango lo stesso leggermente delusa per la sua diffidenza. – Ma certo! – cinguetto. Lui ha sempre bisogno di rassicurazioni, è grande e grosso ma è un po’ insicuro, e anche fragile. Gli faccio un sorriso largo-larghissimo al quale non può opporre resistenza, e che spero lo aiuti. Lo mantengo fresco sul viso ( le gote, soffici come nuvole, quasi mi si ficcano negli occhi ) anche mentre si piega per sedersi, e mentre poi posa riluttante il sedere sulla sediolina. A questo punto sono un po’ preoccupata anch’ io, e trattengo il respiro. Ascolto un debole cri-cri del legno verde pisello, poi tutto tace; la sediolina è salva, e anche papà.
Io corro a sedermi di fronte a lui, sul panchetto rosa, Teddy Bear e Ginevra sono già comodi. Le gambe di papà non entrano sotto il minuto tavolo, ma gli sono grata del fatto che non lo faccia presente, neppure con l’ aiuto della mia sconfinata fantasia avrei saputo trovar loro una sistemazione più adatta. Mi fa un po’ ridere il mio papà tutto aggrovigliato su quella sediolina, ha le ginocchia che quasi gli strusciano contro le orecchie, come un enorme rospo. Con un sorriso finto finto cerca di dissimulare la sua aria scomoda scomoda. Sono titubante, vorrei che si rilassasse, poi decido che lo show deve continuare.
– Loro sono Ginevra e Teddy Bear – glieli indico mentre li nomino. La mamma dice che papà è terribilmente incline a dire la cosa sbagliata al momento sbagliato, così, preoccupata che questa sua catastrofica dote si manifesti proprio ora, mi sporgo sul tavolincino, e gli bisbiglio nell’ orecchio: – Teddy Bear ha perso il naso, lo so. Ma tu devi far finta di nulla, o lui ci rimarrà male.-. – Va bene – mi risponde lui, inghiottendo rumorosamente la saliva. Sono contenta che mi abbia presa sul serio.
– Papà, ora ti servo un po’ di tè; ma tu non lo bere subito, che scotta!-. Prendo la mia teiera di porcellana e come la regina di Inghilterra gli verso del fumante liquido dorato nella tazza. L’ aroma è delizioso, fa capriole alte fino al soffitto.
Gli occhi verdi di papà sono due punti interrogativi grandi come case. Sapevo che sarebbe stato difficile per lui accettare una cosa del genere, voglio dire, che esista del tè invisibile. Decido di dargli un po’ di tempo, per fargli digerire la rivelazione, quindi in silenzio riempio fino all’ orlo le tazzine di Sacco Di Pelo ( è così che la mamma chiama Teddy Bear per scherzo), di Ginevra, e per ultima, come suggerisce il galateo, la mia. Poi, ignorando l’espressione congelata di papà, gli chiedo affabile: – Quanti cucchiaini di zucchero ci vuoi? -. – Due -. Gliene mimo due. E continuo, serena: – Un po’ di limone?-. – Sì-. Strizzo l’ aria tra il pollice e l’ indice tirando fuori la lingua a testimonianza della concentrazione e della forza necessarie a spremerne uno spicchio. Papà ha ancora la faccia di chi non capisce nulla; eppure ero convinta di aver mimato il limone a regola d’ arte! Povero papà, impalato, mi fissa con la bocca mezza aperta. Sono momenti nuovi e duri per lui. Mi toccherà insegnargli tutto? Sospiro. Infine scelgo di venirgli incontro, dò io l’esempio per prima: sollevo la tazzina dal tavolo e con grazia, a piccoli sorsi, inizio a bere il mio tè.
Finalmente sembra capire che cosa deve fare. Afferra goffamente la tazzina di fine porcellana, prende un rumoroso, lungo sorso, poi la sbatacchia sul tavolincino, e lì la abbandona.
Quasi mi scappa la pazienza, percepisco che pericolosamente le mie orecchie si stanno tingendo di un bel rosso rubino. – Papà non puoi averlo già finito! – gli faccio presente.
Lui riprende la candida tazzina nella manona, se la rigira per un po’ tra le dita e poi si bea di altri sonori sorsi della mia preziosa bevanda tipicamente inglese. Ne beve uno dietro l’ altro, senza respirare, come se avesse una medicina amara da dover buttare giù. So che questo è il suo più alto livello di interpretazione.
– Che maleducazione! – mi sussurra Ginevra tra i denti. – Su cara, abbi un po’ di pazienza, si sta già impegnando molto, credo – la incoraggio. Sacco Di Pelo prova simpatia per la goffaggine di papà, per una volta non è lui il meno raffinato del banchetto.
Faccio un altro mega-sorriso a papà, sento che le guance mi si gonfiano come mele rosse, vorrei dargli conforto. Mi viene un’ idea che di sicuro lo farà sentire meglio: – Perchè non mi racconti di nuovo che lavoro fai?- gli domando, col mento in su come le principesse. Gli occhi smeraldini di papà si illuminano all’ istante. Questo argomento lo rende sempre contento. Io inizio a sgranocchiare un biscottino alla ciliegia, poi spalmo del burro su una croccante fetta di pane tostato e dò un morso goloso anche lì ( non parlo a papà nè dei biscotti, nè del burro, nè del pane caldo; credo che non sia ancora pronto a tutto questo). Lui mi spiega: -Papà è un ingegnere civile-. Inzuppo il mio biscotto nel tè, poi lo incalzo: – E cosa fa un ingegnere civile di solito? -. Lui: – Tesoro, l’ ingegnere progetta strade, ponti e case. E’ un lavoro estremamente gratificante. Spero che anche tu un giorno ti interessi a questo settore!- mi sorride pieno di orgoglio, il suo sguardo luccica come un gioiello.
A me va di traverso il biscotto invisibile, per poco resto strozzata. Ho visto molti disegni di papà, lui ne va fiero, in realtà sono quasi tutti uguali, un intrecciarsi continuo di linee nere, dritte e monotone. I miei invece sono pieni di colori, curve e movimento, non cambierei mai il mio stile con il suo. Ma non voglio ferirlo, così mi riempio la bocca con la mia ultima, calda, fragrante sorsata di tè. – Finito! – esclamo.
Papà sembra sollevato. Si alza dalla sediolina e inizia a saltellare sul posto per dare agio, immagino, alle sue lunghe gambe addormentate, dopo si stira la schiena. – Come sono andato?- mi chiede fiducioso. – Benissimo! – gli rispondo prontamente, decisa a non procurargli un dispiacere. Poi, però, presa dal rimorso di aver detto una bugia tanto grande, aggiungo: – Ma la mamma è un pochino più brava -.
Studio bene il suo volto, ho paura che ci sia rimasto male. Invece mi accorgo che finge soltanto di essere offeso e con questa scusa viene a farmi il solletico, io non riesco a trattenere le risate; poi mi prende in braccio e voliamo insieme. Infine mi fa una dolce, verde carezza con i suoi occhi uguali ai miei e mi sussurra: – Tu starai sempre con me, vero?- un’ altra delle sue domande difficili. Povero papà, non si accorge mai delle piccole cose. – Sì – gli rispondo; in realtà è già da un po’ di giorni che sono alla ricerca di un principe. Azzurro, preferibilmente.