Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2022 “La gente di 12 anni è saggia” di Angela Brunello

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

La polvere tornava invadente e …non avrei dovuto passare un altro giorno in pigiama.

Quella cipria farinosa mi spiava contro luce, annoiata come io lo ero di me stesso. Fu l’odore stantio delle stanze non arieggiate che mi spinse ad alzare la tapparella in cucina alla ricerca di ossigeno.  

Guardando di sotto vidi che era già lì. Forse la scuola era finita prima.

Come suo solito armeggiava con il cellulare e rivolgeva qualche cenno distratto al ragazzo che le era accanto. Quell’abitudine al nero era ormai scomoda visto che il caldo pizzicava, ma lei non ci badava, non più di tanto. Lei sotto il sole, lui all’ombra del tiglio invaghito dai suoi capelli la guardava curioso, sulla maglietta bianca aveva disegnata una stampa colorata, simbolo di qualche culto intellettuale di moda. D’un tratto le prese il braccio, con garbo la tirò verso di sé scostandola dal volo di un insetto minaccioso. 

Scambiarono altre parole, poi lui attraversò verso la fermata del bus. Lei lo guardò salire come se non le dispiacesse e si avviò verso il portone. Non aveva torto, non le serviva un ragazzo. 

Nel giro dell’ultima settimana avevo fatto progressi. Il dolore era diminuito e riuscivo a muovervi senza bisogno di assistenza. Sul lato destro della testa avevo ancora la ferita da medicare, ma andava molto meglio: i punti si erano asciugati e l’odore del disinfettante era meno intenso. La gamba era ancora dolente ma potevo indossare dei pantaloni ampi e morbidi perché adesso la pelle non pativa più come prima.

Il corpo reagiva, ma quanto tempo ci avrei messo a riprendermi… non lo sapevo ancora. 

“Sono quii!”. Ecco che entrava. Da quel guscio di indumenti neri usciva una voce briosa come vegetazione dalla lava. Era la sveglia a quel fuso orario emotivo e mi faceva rotolare verso i pensieri buoni. Per me la giornata iniziava solo quando lei ritornava. 

Dopo l’incidente aveva imparato a muoversi silenziosamente per non svegliarmi e al mattino usciva di casa che a mala pena la sentivo. 

Le ore solitarie mi passavano accanto per le medicine, per un po’ di tv e per soffocare la paura di non farcela, acquattato delle stanze mi tranquillizzavo perché sembrava fosse ancora notte e il buio mi consolava dopo il trauma della fiammata violenta che mi aveva rovinato.

Con lei in casa tutto era più facile anche dimenticare.

Ogni giorno lo zaino di scuola cadeva a terra in un posto diverso e così le scarpe, oggi però aveva solo una sacca sportiva. La luce amabile entrò nelle stanze con lei.

“C’è cibo?” 

Questa era sempre una tra le sue prime domande. Lena non era ancora arrivata e io non avevo proprio idea di cosa potesse esserci in frigo. 

“La scuola è finita prima?” chiesi alzando un po’ la voce per farmi sentire.

“C’erano i giochiii in campo” rispose lei dalla camera come abituata a dover ripetere le cose.

Avrei dovuto prepararle qualcosa, ma la fasciatura alla mano destra non me lo permetteva, così mi sedetti al tavolo in cucina: dalla finestra aperta veniva l’aria quasi estiva, il rumore delle auto e la gente in moto indaffarata nel via vai delle faccende quotidiane.

Si sentì armeggiare nella serratura dell’ingresso. Lena entrò decisa come suo solito.

“Buongiorno! Sono arrivataa!” 

Probabilmente la dimensione femminile imponeva di annunciarsi all’ingresso: da quando ero costretto in casa notavo questi dettagli che prima non avrei per nulla considerato.

Lena appoggiò la borsa in entrata, tolse le scarpe e prese a ciabattare dopo aver riposto il suo tradizionale sacchetto di plastica azzurro. I capelli lisciati e in ordine la facevano subito più giovane. Per fortuna c’era lei. Senza non sarebbe andato avanti niente lì dentro. Era stata di grande aiuto anche nei giorni dell’ospedale.

“Sei già tornata?” le chieste mentre Sara le veniva incontro dal corridoio. 

“C’erano le gare, senza la sesta ora” spiegò lei distratta. 

“Hai vinto?” chiese curiosa col suo modo fermo.

“La gente normale vince tuttii i giorni, Lena! Ti ricordi?” Si guardarono complici di discorsi segreti.

“Adesso ti preparo qualcosa” le disse sorridendo e le accarezzò una ciocca di capelli ondeggianti.

Lena si assicurò che io stessi bene e si mise ai fornelli, mentre Sara sistemava il tavolo e si versava un bicchiere d’acqua. Raccontò di atletica e di quello che avevano detto i prof, della sua amica Cami e del ragazzo della maglietta bianca. Era gentile a coinvolgermi nelle sue faccende, dall’altro lato non avevo grandi avventure da riportare e quindi finii per ascoltare quello che dicevano: il mercato, il tempo, i lavori sulla linea 8.

Se non fosse stato per loro sarei stato in qualche ricovero per lungodegenti.

Mangiai anch’io un po’ di frittata e di insalata poi andai a stendermi sul divano.

Per qualche minuto vagai distratto nei miei pensieri fino a quando le loro parole attirarono la mia attenzione. In quel pomeriggio di maggio, discutevano.

Dovevano scegliere una foto, una di quelle spontanee, dicevano, dov’era venuta bene: un selfie d’effetto. Non avrebbero fatto fatica a trovarne, il telefono ne era zeppo. 

“Ma questa è troppo scura!” diceva Sara.

“Cerchiamo un’altra…Quella di profilo…no… no è adatta”.

“A me piaceva quella del lago”.

Il discorso si fece risoluto senza arrivare a una decisione.

“Non ho molto tempo, ho già appuntamento”.

“Papà, a te quale piace di più?”

Sara si avvicinò col cellulare, pronta e concludere col placet della mia autorità.

“Lena dice che deve fare l’epigrafe. Quale ti piace?” 

La richiesta mi lasciò senza commenti, ancor più disarmato perché Lena era una donna energica e in salute, ma si capiva prudente e assai previdente. Il tono disteso di Sara prendeva gli eventi della vita come un fluire di fatti inevitabili era ancor più pacato, ancor più disarmante.

Mi confondeva la sua serenità mista a quell’energia adolescenziale capace di generare risate a non finire per le cose più banali come scatenare turbini vocianti per i temi più profondi. 

Dopo aver swippato nel cellulare ne individuammo una dove risaltavano gli occhi verdi di Lena.  

 Rilassate, tornarono alle loro occupazioni serene come se non ci fosse molto altro da dire. 

“Mi insegni la torta con le fragole?”.

“Se tu finisci a spolverare, sì”.

Le ascoltavo e mi sentivo immerso in un volo solitario, in attesa di arrivare prima o poi a qualche   approdo decisivo che avrebbe trasformato la mia condizione.

Tutto seguiva la routine che si erano date come se replicare i gesti quotidiani potesse dar conforto, quell’assoluto sollievo che si trova semplicemente perché le cose occupano la stessa posizione di sempre. Quasi sentisse i miei pensieri prima di avviarsi di nuovo in cucina mi venne accanto. 

“Non sembri male oggi, stai diventando di nuovo bello”.

“È da tanto che non mi guardo” cercai di rispondere.

“Gli specchi ci sono in tanti posti, in quello di casa si vede chi sei davvero. Sei qui papà e vedrai che guarisci”.

La saggezza atipica dei 12 anni, era parte di una certezza genuina, piantata come un monolite di granito su un piano che non prevedeva ostacoli. Potevo provare a ripartire frastornato ma sospinto a piccoli passi verso il futuro.

Con il piumino cattura polvere mi misi lentamente a passare i ripiani.

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3 commenti »

  1. Struggente e tenero, infonde speranza

  2. “La saggezza atipica dei 12 anni, era parte di una certezza genuina, piantata come un monolite di granito su un piano che non prevedeva ostacoli.” Frase molto bella all’interno di un racconto ben scritto nel quale le donne di casa donano luce ad un periodo particolarmente buio per il padre. Sembra quasi che il padre, costretto in casa, scopra la loro importanza e sfrutti quel periodo per osservarle, per riscoprirle e per inserirsi silenziosamente in una complicità dalla quale si era tenuto fuori. Bello. Complimenti Angela Brunello.

  3. Bello, fresco e frizzante: mi ha suscitato una sensazione di leggerezza.
    Il finale poi è commovente.
    Complimenti!!!

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