Premio Racconti nella Rete 2011 “Il vuoto” di Gian Cosimo Grazzini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Si fermò davanti all’insegna della PROMETEUS, ebbe solo un breve istante d’esitazione poi entrò con quel suo fare deciso. Il responsabile dottor Staino, Franco Staino, la accolse nel suo ufficio che trasudava ricchezza da tutti gli oggetti, si vedeva che gli affari andavano a gonfie vele. Erano ormai tanti anni che la ditta operava nel settore, la richiesta non mancava, gli androidi ormai erano diventati oggetti di cui i benestanti non potevano più fare a meno. Lei, che abitava in una bella casa con giardino in una delle zone residenziali più “in” della città, ne possedeva due, entrambi di “sesso” maschile, uno programmato per i lavori domestici ed ogni altra attività all’interno della casa, l’altro per i lavori all’esterno. Ormai la rassomiglianza con gli esseri umani era impressionante e questo le aveva dato l’idea per il suo progetto.
– Ho qui un reperto dal quale estrarre il DNA, sono dei capelli, possono andare? –
– Dal punto di vista tecnico non ci sarebbero problemi, ma come le ho già detto, la legge anticlonazione ci proibisce di riprodurre la fisionomia di un singolo essere umano. Come lei sicuramente saprà noi ricorriamo a incroci con metodi casuali tra vari genomi per costruire i nostri androidi, riproduciamo in pratica ciò che avviene in natura. Nel suo caso potremmo tentare di produrne uno molto somigliante…-
– Se farete un’eccezione vi assicuro che l’uso che ne farò sarà tale per cui non avrete da temere nessuna conseguenza, e poi sono una vostra cliente… sono disposta a pagare un extra, la prego mi accontenti… – e sfoderò il suo sorriso al quale sapeva che molti uomini non rimanevano indifferenti. La regola si dimostrò confermata senza che il dottore ne costituisse l’eccezione…
Erano due mesi che Andrea l’aveva lasciata, così su due piedi ed apparentemente senza ragione. La ferita era tutt’altro che rimarginata. E’ vero che si erano promessi, all’inizio della loro storia, di dirsi sempre la verità, è vero che si erano detti che la loro storia doveva essere senza impegno per entrambi, ma quell’annuncio fu così brutale… e poi lei non se lo aspettava…
-Mi dispiace, ma la nostra storia finisce qui…- si era sentita bruciare dentro. L’orgoglio, l’amor proprio ferito, ma oltre a tutto questo lei, pur non volendolo ammettere nemmeno con se stessa, nonostante il suo carattere forte ed indipendente, aveva bisogno di lui. Ed ora vedeva come una prospettiva cupa e triste la vita di tutti i giorni senza lui vicino. Riuscì a comportarsi come si suol dire civilmente, disse che la cosa la coglieva di sorpresa, ma che rispettava i patti che erano tra loro… Lui raccolse le sue poche cose che aveva in casa di lei, le caricò in macchina e scomparve senza dire molto di più…
Iniziarono giorni di sofferenza. Era indispettita con se stessa, non avrebbe voluto provare quel dolore, la sua parte razionale le diceva che non doveva, ma all’inconscio non si comanda.
Dopo circa tre settimane vide per caso Andrea in un bar, lui non se ne accorse, era con una ragazza, carina, molto più giovane di lei. Il dolore si trasformò, suo malgrado, in rabbia, rabbia sorda, profonda. Ovviamente si era immaginata che Andrea potesse averla lasciata per un’altra, e d’altronde non sapeva cosa ci fosse tra i due, ma subito scattò la molla della gelosia. E la gelosia come la calunnia: passa presto da venticello a uragano, a colpo di cannone, non va tanto per il sottile, entra nel profondo delle viscere come una lama tagliente. E da allora la mente le fu occupata spesso da desideri, da propositi e da progetti di vendetta, tremenda vendetta.
Nei momenti in cui riusciva a ragionare freddamente si diceva che non era giusto, che ognuno doveva essere libero di comportarsi come voleva, che i patti con Andrea erano stati chiari e reciproci sin dall’inizio, ma tutto questo veniva spazzato presto da un desiderio di fare male a chi aveva fatto male, a chi aveva ferito per godersi una libertà che era lecita per la ragione, ma non per il resto del suo essere; non siamo fatti di sola ragione. Quando la sera si coricava e si ritrovava sola in quel letto che aveva condiviso per due anni con lui, dove con lui aveva goduto dei frutti di un amore che non pensava potesse finire così, la sua mente vagava, scorreva su elenchi di possibili vendette; avrebbe voluto una vendetta che arrecasse un danno ( non grave perché non solo lo desiderava ancora, ma ancora lo amava Andrea), ma senza che lui avesse la certezza che il colpo fosse venuto da lei. Più il tempo passava più iniziava però a razionalizzare e finalmente si rese conto che non sarebbe mai stata capace di fare del male alla persona insieme alla quale aveva percorso un così importante e bel tratto di strada. Ma sentiva anche come rimanesse represso il suo istinto di vendicarsi… Voleva provare a colmare in qualche modo il vuoto che sentiva dentro di sé. Fu così che maturò l’idea del suo progetto…
Quando l’androide, poche settimane dopo, fu pronto fu chiamata per verificare che fosse come lei lo voleva. Rimase esterrefatta, la rassomiglianza era perfetta! Ebbe un tuffo al cuore, le sembrava davvero di essere accanto ad Andrea e questo le fece capire quanto ancora sentiva per lui e quanto fosse stata giusta la sua idea…
Pagò il conto (salato) al dottore che continuava a profondersi in esortazioni a non metterlo nei guai, in interessate gentilezze e in velate, ma nemmeno troppo, allusioni ai molti usi degli androidi… D’altronde era voce comune che molti usassero queste splendide invenzioni per scopi un po’ più intimi di quelli dei lavori domestici…
Riuscì a congedarsi dal sempre più invadente dottore con il quale concordò la consegna dell’”opera” per l’indomani.
La sera dopo aprì l’imballaggio che era arrivato nel pomeriggio, disattivò gli altri due androidi, programmò con molta cura il “suo Andrea”, si fece seguire in cantina, gli ordinò di sedersi su una vecchia sedia poi, facendogli vedere il coltello che aveva preso in cucina, gli disse: – Forse non lo sai Andrea, ma mi hai fatto tanto male… ma ora sei in mio potere e ti ammazzerò, ti voglio sgozzare…-
La risposta arrivò con una voce che assomigliava a quella di Andrea come un’eco:
-Sì, lo so, mi sono comportato male con te, ti ho fatto soffrire, lo so che merito una punizione…-
Appoggiò l’acciaio lucido sulla carne spessa del collo. Non si aspettava fosse così reale e consistente.
Mentre lui deglutiva sentiva la lama passare sopra i peli corti e duri della barba, anche l’odore era quello di lui. In mano il manico del coltello era caldo, le riempiva il palmo, sentiva le righe dell’impugnatura sotto i polpastrelli. Non fu facile, ricordava da quando aveva tagliato della carne spessa che bisogna essere decisi, imprimere la lama con forza.
Appoggiò il coltello dove la corda blu del collo si gonfiava. Lì mise la parte della lama che stava vicino all’impugnatura. Il resto sporgeva.
La fece scorrere con cura, premendo, attenta a torcere il polso nel frattempo perché entrasse profonda.
Sono molto incuriosito come è uscito il mio nome nel testo de “il vuoto”. Commerciante di androidi? Il mio stupore non sono gli androidi quanto il “commerciante”.
Faccio tante cose ma quello non credo proprio tanto più di esseri che una volta generati non possono essere considerate cose se con sembianze umane.
Non commento il testo e la storia raccontata. Voglio solo dire che non mi ci trovo in niente.
Franco Staino
Dal punto di vista dell’androide mi verrebbe da dire: un sacrificio che si “celebra” per procura. La protagonista, dal canto suo,è mossa da un forte impulso alla sublimazione, ma non potendo e, soprattutto, non volendo eliminare il suo Andrea ( a proposito: la scelta del nome voluta o casuale è comunque azzeccata, androide fa pensare ad un simil – Andrea), scarica la sua aggressività su uno di coloro i quali potrebbero essere i nostri capri espiatori di un inquietante futuro. Magari nei loro confronti arriveremo a compiere le più grandi nefandezze, certi di rimanere impuniti.