Premio Racconti nella Rete 2022 “Watashi ha Charuzu desu – Il mio nome è Charles” di Matteo Di Vittorio
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022I sogni a volte sono frutto di un desiderio di evasione da ciò che la quotidianità ti mostra, giorno dopo giorno, con tutte le sue spente sfumature. Quando cominci a vedere anche i vivi colori è il momento in cui inizi a sognare, a lottare per invitarli a partecipare al piccolo ed insignificante gioco a cui sta partecipando la tua vita. È il momento in cui nasce in te l’ambizione di migliorare la tua condizione, quella da cui stai cercando di fuggire ma che ritrovi sempre accanto. Provi, riprovi e riprovi ancora, spesso senza raggiungere il tuo obiettivo. Sbagli, risbagli e soffri ma non demordi, perché ciò che vuoi è lì, davanti ai tuoi occhi, anche se non puoi ancora raggiungerlo.
Ciò a cui aspirava Charles, un giovane ingegnere, era riuscire a visitare il Giappone, almeno una volta nella vita. Era figlio di un uomo francese, Loris, che si era trasferito in Italia per motivi di lavoro. Nel bel Paese aveva conosciuto una donna, con la quale aveva avuto un figlio, per l’appunto, Charles e con cui vi aveva costruito la famiglia. Purtroppo, dopo un paio di anni dalla nascita del bambino, l’uomo si ammalò e dovette trasferirsi negli Stati Uniti d’America per un trattamento medico sperimentale. Charles e la madre, Rossana, restia al trasferimento, rimasero in Italia.
Così Charles crebbe vedendo il padre saltuariamente, ad esempio quando in estate tornava a casa un paio di settimane per le ferie. La madre, nel frattempo, educò il bambino allo studio e al rispetto verso il prossimo ma lei stessa, oltre ad avere solo il titolo di terza media, spesso mostrò un comportamento opposto, soprattutto nei confronti del figlio stesso. Ad esempio, durante l’infanzia non permetteva mai a Charles di andare a giocare in giardino con i coetanei che abitavano nel condominio dove viveva, salvo qualche eccezione nel weekend e rigorosamente senza sporcarsi nell’erba, così come nell’adolescenza gli fu impedito per quasi un anno di frequentare un centro ricreativo presente nella sua città, dove poter divertirsi nelle varie attività programmate ed ampliare le proprie conoscenze. Anche i primi amori, assieme alle relative delusioni, furono difficilmente gestiti, con Charles che si chiuse sempre più in sé stesso, sempre meno compreso emotivamente dalla madre. Infine, la scelta della scuola superiore gli fu imposta in modo tale che fosse finalizzata, testuali parole della madre, a trovare in futuro “un lavoro vero”, così come avvenne con la facoltà universitaria. Fu così che Charles si diplomò prima come geometra e poi ottenne la laurea in ingegneria civile. Fortunatamente, tali studi coincisero con i suoi interessi ma, per Charles, tutto il resto dovette essere trascurato, dalle altre sue passioni a molte altre occasioni per imparare e per maturare.
Nel frattempo, Loris e Rossana divorziarono, sia a causa della lontananza forzata sia per i dissapori sorti dal metodo di educazione della madre verso il figlio.
In età adulta, Charles aveva maturato la consapevolezza di non aver avuto la possibilità di vivere molte esperienze, così come di aver trascurato per molti anni diversi interessi, oltre a quelli legati ai suoi studi. L’unica cosa che gli fu concessa, fin dall’infanzia, fu guardare alla televisione i cartoni animati. D’altronde, permettevano alla madre di poter riposare sul divano senza essere disturbata.
Furono diversi i cartoni a cui Charles si appassionò, quasi tutti realizzati in giappone e, pertanto, chiamati “anime”. Inizialmente, il giovane li vide con i tipici occhi di un bambino e, per tale motivo, nell’adolescenza se ne allontanò. Memore dei piacevoli momenti trascorsi davanti al televisore, però, non passarono molti anni che ricominciò a seguirne alcuni, anche mai visti prima, pur con il tempo libero che si assottigliava sempre di più. Quel “ritorno di fiamma” lo vide coinvolto diversamente da come gli accadde in età infante. Il cartone animato non era più una storia con il personaggio da voler idolatrare o, ancor più, da voler incontrare e con cui fare amicizia nella realtà. Il cartone, ora conosciuto con il suo nome, anime, era diventato un’opera artistica, frutto del lavoro e dell’impegno dietro le quinte di uno o più team di persone dedite ad una precisa attività.
Dagli anime, Charles iniziò ad interessarsi a diversi campi correlati, prima mai da lui considerati. Ad esempio, cominciò a seguire sui social network diversi doppiatori, dai quali comprese, almeno in parte, il costante impegno necessario che porta, nei casi fortunati, una persona a lavorare in uno studio di registrazione: infatti, un doppiatore è un professionista che ha studiato in un’apposita scuola materie come dizione, recitazione e, solo successivamente, doppiaggio. Tra tutti gli studenti, pochi sono quelli che riescono a emergere e a fare della propria passione un lavoro.
Analogamente, le canzoni italiane di apertura e di chiusura dei vari anime erano fin dall’infanzia solo qualcosa da cantare allegramente, compatibilmente con i tempi di riposo della madre. In età adulta invece, grazie al progresso tecnologico, Charles ebbe la possibilità di conoscere diverse sigle di apertura e di chiusura in lingua originale e si rese conto, in alcuni casi, di averle già sentite come sottofondo all’interno di alcune scene delle puntate di molti cartoni animati a lui noti.
Da ricerche nella rete, il giovane ingegnere venne a conoscenza del fatto che molte delle opere conosciute, nel modo in cui venivano trasmesse dalla televisione, avevano subito diverse censure tali da destinarle specificatamente ad un pubblico di bambini. Quelle stesse opere, però, erano reperibili in internet in lingua giapponese, con i sottotitoli in italiano e prive di ogni tipo di censura. Effettivamente, a quel punto, quegli anime potevano essere considerati maggiormente adatti ad un pubblico che fosse almeno adolescente.
Tuttavia, la sorpresa più bella per Charles fu quella di scoprire una moltitudine di anime inediti in Italia, alcuni con un significato molto profondo. Uno tra i tanti parlava di un giovane studente restio, a causa di esperienze passate, a crearsi rapporti di amicizia con i coetanei, fino a quando venne costretto da una delle sue insegnanti a frequentare un club di volontariato, nel quale conobbe due ragazze con cui instaurò, lentamente e senza rendersene conto, un legame molto stretto, al punto da tenere a loro più che a ciò che lui chiamava “indipendenza emotiva”. Per Charles, quell’anime fu uno degli innumerevoli spunti di riflessione relativi a ciò di cui necessitava nella sua vita.
Così Charles cominciò a interessarsi anche alla lingua giapponese, comprando libri di grammatica e frequentando lezioni tenute da un insegnante madrelingua, il sensei Aku. Soprattutto potendo interagire con quest’ultimo, il mondo della cultura generale giapponese gli si aprì davanti, scoprendo un popolo profondamente diverso a livello culturale da quello italiano. Per di più, quel popolo sembrava rispecchiare fedelmente quello che Rossana, la madre, gli insegnava quando era bambino, pur non comportandosi coerentemente. In quel caso invece il rispetto, nei fatti, sembrava essere un pilastro dell’intera società.
Tutte le informazioni ricevute trovarono riscontro successivamente anche nei racconti di altre persone italiane che erano state in Giappone. Così, il desiderio di Charles di visitare il Paese del Sol Levante crebbe sempre di più, contribuendo a renderlo quell’ingegnere impegnato nel suo lavoro ma pieno di passioni da non trascurare.
A circa cinque anni dalla sua laurea, Rossana si ammalò e decedette in pochi mesi. Nessuno vide Charles versare una lacrima al funerale della madre ma, insieme al suo bagaglio di vita, all’improvviso più pesante, pochi mesi dopo conobbe tre persone, due uomini e una donna, con il suo stesso desiderio: visitare il Giappone.
Fu così che nel giro dei successivi due anni programmarono un tour di due settimane tra Kyoto, Nagoya, Hamamatsu, Shizuoka e Tokyo, lasciandosi anche qualche momento da improvvisare. Al netto di alcune difficoltà dovute alla lingua, il popolo giapponese si dimostrò accogliente e rispettoso anche più di quanto sentito dire in Italia. Un’anziana coppia che, fortunatamente, conosceva qualche parola di inglese insegnò persino ai giovani turisti a presentarsi: “<<Watashi ha Charuzu desu>> means <<my name is Charles>>” – dicevano.
La mattina del terzo giorno di permanenza Charles scomparve per qualche ora. Non lasciò un avviso nemmeno al personale del Ryokan, la locanda di Kyoto nella quale i quattro alloggiavano. Gira voce che l’uomo fosse stato avvistato nei pressi del santuario Fushimi Inari Taisha mentre piangeva attraversando gli antistanti Torii, dei portali sacri trilitici di colore arancione. Nessuno sapeva il motivo, nessuno poteva capire che, dopo anni di lotte, di sopportazioni, di delusioni e di silenzi che nascondevano un’immensa voglia repressa di felicità, quella mattina Charles stava percorrendo quella via pensando “Hai visto, mamma? Questo è il posto di cui mi parlavi tanto quando ero un bambino. Tu hai scelto di abbandonarti all’arroganza, alla saccenza e alla paura di cambiare. Hai scelto di allontanare le emozioni positive della vita e, alla fine, il tempo ti ha portata via. Io invece ho combattuto per viverle e oggi il mio posto è qui… Oggi ti ricordo come non ho fatto nemmeno il giorno del tuo funerale, oggi lo faccio con il cuore che sorride. Oggi io sono qui e questo è ciò che finalmente, dopo tanto tempo, mi rende felice. Mamma, nonostante tutto, ti voglio bene e te ne vorrò sempre, anche se mi hai fatto soffrire! E ne voglio anche a te, papà, anche se sei lontano. Tu mi hai insegnato a lottare. Ora che sono qui, cercherò di raggiungerti il prima possibile e poi torneremo insieme a visitare i Torii e il santuario!”.