Premio Racconti nella Rete 2022 “Sensazioni e convulsioni (una storia vera)” di Filippo Casprini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022Era buio, buio pesto, eppure Filippo saliva: non sapeva neanche verso dove, ma saliva.
Aveva il fiato grosso, il suo cuore batteva forte, eppure sentiva le gambe affondare dentro qualcosa di melmoso e angoscioso e temeva che fossero diventate di marmo (non fosse stato per il dolore, avrebbe creduto di averle perse).
La stella dei temporali strepitò tre volte sopra di lui: il primo scoppio lo colse di sorpresa, al secondo alzò gli occhi e capì che si trovava proprio sopra la sua testa, al terzo la vide a metà, la forma di un bianco fagiolo incandescente, e poi iniziò a piovere in modo ordinato (in lontananza, il campanile della Collegiata scintillava di riflessi di luce, ora rossa, ora verde).
Le gocce d’acqua si mischiarono a quelle del suo sudore e gli entrarono in bocca, ma il loro sapore metallico lo disgustò: avrebbe voluto sputare ma più lo faceva più qualcosa gli impastava lingua e palato.
All’improvviso si accorse di essere arrivato quasi in cima alla guglia, gli vennero le vertigini ed ebbe paura.
Fu un attimo, ma perse la presa e cadde giù a capofitto, rivolto all’indietro, stordito dentro un pozzo nero, però non perse lo stile precipitando.
Voleva urlare ma non poteva, voleva riprendersi ma non ci riusciva, anzi: più si sforzava, più affondava.
Si schiantò su un pavimento e, quando si riprese, si accorse che la volta sopra di lui era ancora intatta: le pareti laterali erano avvolte nell’oscurità, solo una debole luce filtrava attraverso i suoi occhi, che non capiva perché erano chiusi.
Un nugolo di voci maschili, lontane e invisibili, creava un cupo brusio, i brividi lungo la schiena non lo scalfivano, eppure la testa era inquieta e smaniava senza posa.
Quel posto gli sembrava una cattedrale gotica: le enormi colonne la dividevano in tre navate, nessuna luce nelle sue feritoie ma in fondo, nell’abside, non c’era un altare bensì un trono.
“Cosa ci fai tu qui?” tuonò l’essere gigantesco che vi sedeva, avvolto in una nuvola nera.
“Perché non ho nessun talento?” osò replicare Filippo.
Il Fato (perché proprio lui era) aprì la bocca e tirò fuori la lingua: da essa ne cadde un rullino di carta, che si dipanò lungo il suo corpo, così che poté leggerlo con attenzione.
Intinse a lungo il blocchetto d’inchiostro, che teneva nella mano destra, nell’acqua che aveva dentro la ciotola, e quando la rovesciò, creò il mare di notte (e fu sontuoso, e fu spaventoso!).
“Vuol dire che ti farò un dono”, sorrise il Fato: “tra nove mesi ti nascerà una figlia disabile psichica (grave!), cosicché, nei momenti di ozio, ti distragga dai pensieri di peccato”.
Filippo si risvegliò di colpo: il cuore era in gola, la testa scoppiava, la bocca non ce la faceva più a trattenere quello che saliva dallo stomaco.
Corse in bagno e nel gabinetto ci vomitò l’anima (a spruzzo), poi cadde a terra di schianto (tremando forte), urlò a lungo per ogni parola pronunciata dalla figlia, si coprì gli occhi perché la luce gli dava dolore, finché la moglie gli disse di alzarsi, che era ora di andare a lavorare.
Si rialzò, vomitò di nuovo (sempre a spruzzo), poi montò in macchina, ma la strada ondeggiava sotto di lui come l’oceano in tempesta (solo la targa della vettura davanti a lui lo guidò su una rotta sicura) e quando arrivò nella ben nota reception, cadde addosso a qualcuno, che lo rianimò a suon di ceffoni.
Si risvegliò, stavolta in ospedale: era su un letto (inchiodato come in croce), era stordito, la testa gli girava come una giostra impazzita ma cadeva, cadeva giù, cadeva di nuovo dentro un precipizio.
Nella stanza accanto un uomo impazzì: a lungo rimbombò il suo trambusto, rauche e minacciose si levarono le grida “Borro, borro!” (delirio misto a paura), mentre altre voci femminili imploravano “scappa, scappa!” (il coniglio Piero fu portato via a braccia, ma non si salvò), finché il danno fu stimato in diecimila euro.
“Lei è arrivato qua in pericolo di vita” sentenziò il primario (e qualcuno alle sue spalle bisbigliava: “Idrocefalo, idrocefalo!”), poi gli aprì la testa e l’addome più volte (e Filippo inorridì quando sentì il rumore che fece il tubo che gli avevano infilato dentro il cervello, nel momento in cui glielo tolsero) finché, reputato guarito, lo trattennero ancora, mentre la moglie raccoglieva i cocci di vetro attorno a lui.
Anche la figlia disabile insistette a ringraziare la dottoressa, dicendo che voleva regalarle delle sedie, ma arrugginite.
Beh, che c’è? Ti senti smarrito?
E’ questa la mia vita!
Originale, onirico, opprimente, un po’ ontologico e (ma sì, abbondiamo, si diceva in una famosa lettera) persino un po’ ortopedico… Mi è piaciuto tantissimo, veramente evocativo e di atmosfera. Le ripetizioni funzionano alla grande e trasferiscono l’impressione di un coro greco che dialoga con l’eroe tragico. Splendido finale. Chi non l’ha letto si fermi a ricevere un po’ di scomodità e spaesamento. Complimenti sinceri Filippo, bravissimo!
Grazie, sono commosso.
Un racconto molto bello, narrato sul filo sottile del sogno, che sembra proseguire in una realtà dura da digerire. Bravo.