Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2022 “Il preside più giovane” di Costanza De Luca

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

Gianni G. è un’anima chiara, nitida, come un vetrino consumato dal mare, dal quale si può guardare attraverso. La sua voce è tanto profonda da riempire le cose. Le parole, nette e composte, si fanno spazio, snodandosi al telefono.

Nasce a Genova nel pieno della primavera, ma con lo scoppio della guerra è costretto a rifugiarsi subito a Camogli. Ricorda poche immagini di quel periodo, ma sento che i suoi occhi s’infiammano ancora davanti ai fuochi d’artificio dal terrazzo: le esplosioni delle bombe degli inglesi.

Inizia la scuola e poi, finita la guerra, si trasferisce con la famiglia in un podere in Toscana, un posticino ameno e piacevole. Qui vive il periodo spensierato della fanciullezza: ai piedi gli zoccoli di legno, intorno la natura, al fianco il fratello più grande, a dirigere le esplorazioni. Cresce tra i campi allo stato brado, gioca con tutto quello che trova per strada, costruendo carretti e scovando animali. I mesi corrono come la ruota di una bicicletta in discesa. I vestiti sono i soliti, già vissuti e dismessi dal fratello; le scarpe ora sono di cuoio, con le lunette di ferro per non consumare la suola; la voglia d’avventura è la stessa di sempre. Scopre un deposito bellico dentro al buio di una galleria; corre libero, abbracciando l’aria aperta, dietro le urla di un contadino, con una manciata di ciliegie spiaccicate nella maglia bianca regalatagli dalla madre.

Le risorse erano poche, ma forse quelli erano i tempi migliori, quando si trovava sempre un modo per passare il tempo, non come i bambini di oggi, che non sanno più usare la fantasia, non come noi che per vivere cerchiamo sempre un pretesto.

Dopo la morte del padre, la madre lo iscrive alle Magistrali: un muro altissimo contro il quale va a sbattere; un nuovo mondo, lontano dal suo, al quale è costretto con forza a adattarsi. Per molto tempo, leggendo libri di avventura, sogna la Marina militare e di fare il capitano di nave (tirate su le vele!), ma alla visita per il corso da comandante viene scartato, a causa di quei maledetti occhiali da miope che portava fin da piccolo. Lo avrebbero preso come commissario di bordo, ma lui rifiuta categoricamente. Poi, però, lo chiamano militare e resta fregato: 28 mesi in Marina alla Spezia.

È il suo primo vero cambiamento: crescere è adattarsi alla società, dimenticare certe abitudini, trovare un nuovo modo di vivere, lontano dai giochi all’aria aperta nelle campagne dell’infanzia. Il trasferimento taglia quel cordone ombelicale che lo legava stretto stretto alla madre; rimane il pacco di 5 cm di biglietti postali, già marcati con l’indirizzo di casa, che gli aveva infilato a forza nella valigia, fiduciosa di leggere sue notizie ogni giorno; e poi restano i periodi di festa dalla famiglia, in licenza, nel paese in cui era cresciuto.

La città sul mare gli sorride fin da subito, non si era mai allontanato: una vera e propria liberazione. Grazie ai suoi studi, si ritrova nella segreteria della caserma a battere a macchina e a tenere in ordine documenti su documenti, ma con molto tempo libero da colmare. Finito il servizio, dopo oltre due anni da militare, sarebbe tornato a casa e poi chissà… Il destino, invece, bussa alla sua porta e ancora una volta la madre ne tira le fila, prevedendone le mosse da lontano: lo spinge a fare domanda al concorso magistrale; perché a quei tempi, si sa, comandavano le mamme e bisognava ubbidire.

Guadagnando due mesi di congedo anticipato, come vincitore di concorso, da un giorno all’altro viene sballottato nella scuola: passa dalla scrivania dell’ufficio, in divisa militare, alla cattedra seduta stante, davanti a tanti giovani occhi che lo guardano.

La prima destinazione è una piccola scuola elementare in un paesino sperduto tra le montagne, dove d’inverno, con temperature glaciali, la neve cade fitta e disperde le tracce del sentiero. Gli alunni sono pochi ed è difficile comunicare: quell’oscuro dialetto ligure è così lontano dalla lingua di Gianni che quasi non riescono a capirsi. Eppure, il posto è piacevole, ha uno stipendio, la libertà tanto sognata, e i bambini alla fine imparano in fretta. L’anno successivo insegna in un orfanotrofio e si iscrive a Materie letterarie a Genova. Poi, dopo sei lunghi anni di insegnamento in luoghi diversi, vince il concorso da direttore didattico e si ritrova a essere il preside più giovane di tutta Italia.

Intanto, il tempo tesse le sue trame nascoste. Gianni si sposa presto, diventa padre, la vita corre, ma la moglie, dopo tanto, decide di andarsene, lasciandolo solo con quello che per lui è il gioiello più prezioso, suo figlio. La ferita è profonda, le responsabilità si moltiplicano, ma il cuore di Gianni è tanto forte da reggere il colpo. Sarà il destino, poi, a tornare dal suo nascondiglio e a regalargli quella che lui stesso chiama una seconda vita. Nel tragitto che percorre ogni giorno in treno per il suo nuovo lavoro, incontra una donna, una maestra, che come lui fa avanti e indietro, stessi orari, stessa carrozza. Galeotto fu il treno: i due parlano, si conoscono, si piacciono fin da subito e si sposano.

Oggi stanno insieme da quarant’anni, hanno condiviso tanto e tanto condividono ogni giorno che passa, legati piacevolmente allo stesso ingranaggio. La moglie parla in sottofondo: suggerisce aneddoti e ricordi. Stiamo invecchiando bene come due bottiglie di Barolo, mi dice Gianni ridendo. I suoi occhi luccicano: forse davvero la vita è stata una strada per arrivare a lei.

I giorni insieme e la pensione lo riempiono di felicità: tutto è più facile con qualcuno accanto e il tempo libero risveglia le sue passioni. Prima di tutto i viaggi, la cosa più bella del mondo, dalla luna di miele alle crociere nei paesi lontani, a conoscere nuove tradizioni, in un’infinità di luoghi meravigliosi che scorrono davanti ai suoi occhi come cartoline. Poi il gioco del bridge, con la compagnia di sempre, e infine la musica: sinfonica, classica, coristica, come quella di suo padre, pianista e direttore d’orchestra sulle navi, che non aveva mai voluto insegnargli nulla, perché da quel mondo, diceva, era stato tradito; la guerra si era portata via la vecchia musica e aveva dimenticato anche le sue note.

Gianni parla e mette in fila gli eventi come in un romanzo: le cose brutte da una parte, le cose tristi dall’altra, le cose allegre al centro; nei piccoli scrigni della mente, in un vortice che trova l’ordine, da sempre cercato, nella calma del tempo. Parlare è scrivere, mettere nero su bianco i pensieri, definire l’oscura traiettoria del vivere. Raccontando, scivola con tenerezza nelle immagini dei suoi giorni, immortalate in una fotografia mai sbiadita, e mi ripete che la sua vita non è stata un granché. Eppure, nella sua storia c’è qualcosa di nuovo, che spesso tendiamo a dimenticare: l’orgogliosa responsabilità verso le proprie scelte, il peso ben definito delle parole e la certezza che, guardando all’indietro, si può sempre trovare qualcosa di buono.

Oggi le crepe della vita sono ancora tutte lì, a segnare la strada battuta dei giorni, il cammino scavato dalle onde del tempo; ma quel vetrino, approdato sulla spiaggia, a distanza di anni, non porta addosso alcuna incrinatura: è sempre così limpido e chiaro come le giornate d’estate. Beato chi ha avuto la fortuna di guardarci attraverso.

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