Premio Racconti nella Rete 2022 “Una donna toscana” di Paola Prita Grassi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022Sergia, nata nel 1926, era conosciuta da tutti noi del paese, soprattutto perché per tanti anni ha portato il latte fresco casa per casa, fino a quando i produttori a livello nazionale hanno preferito il tetrapack per commercializzarlo in grande.
Questo lavoro le permetteva di entrare nelle case dei compaesani durante la mattina e di ascoltare a volte le confidenze delle donne che, di giorno in giorno, la accoglievano nella loro intimità di casalinghe. Infatti erano queste che incontrava, soprattutto, mentre i mariti o i padri erano fuori a lavorare.
Dal semplice gesto di riempire di latte la bottiglia che queste le porgevano, nasceva un’intimità che spesso portava ad aprirsi a questa quasi sconosciuta che, mattina dopo mattina, entrava sempre di più a far parte se non della famiglia almeno delle abitudini quotidiane. Una parola di conforto, una battura di spirito che Sergia regalava avevano un potere nutriente, pari a quello del latte che tramite lei entrava in casa.
I suoi genitori erano contadini nelle campagne livornesi, da lì si spostarono negli anni ’50 in paese, e qui comprarono un appartamento che divenne per Sergia la sua casa fino alla morte.
Si era sempre data da fare: aiutava la madre in casa e il babbo nei campi, aveva imparato a conoscere le erbe spontanee così, una volta venuta ad abitare nel centro del mio paese andava a raccoglierle in bicicletta, prima con la mamma, poi con la sua amica Ardelia. Una volta a casa impiegava ore a pulirle per togliere fino all’ultimo granello di terra, poi le cuoceva e, una volta pronte, ne formava delle palle che andava a vendere nei pochi negozi di alimentari lì vicino. Ma chi ormai lo sapeva andava anche direttamente a casa sua a comprarle: aveva messo su il suo piccolo commercio con cui aiutava l’economia familiare, con grande soddisfazione sua e dei genitori.
La sua tenacia, la sua voglia di lavorare, il dimostrare ai genitori quanto valesse, derivavano, forse, dalla sua nascita inusuale.
Infatti quando sua madre partorì, la levatrice tirò fuori un maschio bello, robusto, ma si accorse che c’era dell’altro, e quello era lei: 500 grammi di creatura urlante che venne messa in una scatola da scarpe con della lana intorno ma che, tutti lo sapevano, non era destinata a vivere a lungo. Invece pian piano, mentre la mamma allattava entrambi i figli con lo stesso amore, giorno dopo giorno, con grande meraviglia di tutti, anche la bimba cresceva. Alla loro nascita al maschio venne imposto il nome scelto e studiato di Sergio, per lei lo declinarono semplicemente al femminile, senza particolare cura, tanto…
Quando i gemelli avevano circa un mese, una mattina Sergio venne trovato morto, senza sintomi che potessero giustificare quella morte bianca.
Ai genitori distrutti dal dolore restava lei, la sopravvissuta, e così si è sentita per tutta la vita, o almeno finché questi sono stati vivi. A loro doveva dimostrare di valere quanto il fratello maschio deceduto, per questo andò a lavorare nei campi dove sopportava carichi pesanti come un uomo, poi quando la famiglia si spostò in paese volle andare a lavorare nella vicina fabbrica di trasformazione dei pomodori, dove si distinse per la sua forza e il piglio da uomo. Non si tirava mai indietro se c’erano da spostare casse piene di pomodori o di barattoli pronti per la vendita; faceva, unica donna, anche i turni di notte.
Lavorava bene e ne era felice, finché una volta il capofabbrica non se ne approfittò chiedendole di andare a pulire dall’interno la caldaia a gasolio, un lavoro, oltre che pesante, anche pericoloso. A questa richiesta si ribellò, ma quello insisteva a volercela far entrare. Sergia fece una sfuriata e se ne andò, si licenziò e non tornò mai più in fabbrica. Il padrone la venne a supplicare a casa, perché Sergia, pur donna, aveva forza maschile, serietà e precisione che a lui avrebbero fatto ancora molto comodo. Ma lei non cedette, non tornò mai più in quella fabbrica, si reinventò un lavoro diverso.
Nel 1961 si sposò con Ottorino che andò a vivere in casa con i suoceri; dopo qualche anno questi morirono, prima il babbo, poi la mamma, e nel 1965 Sergia mise al mondo il suo unico figlio, Ranieri.
Nel frattempo aveva cominciato a lavorare in un negozio di alimentari dove si trovava bene e anche i proprietari con lei, infatti quando decisero di aprire una latteria proposero a Sergia di continuare a lavorare per loro: fu così che, per tutti noi paesani, Sergia diventò «la lattaia».
All’inizio girava con la sua bicicletta, poi coi guadagni messi da parte si comprò un motocarro Ape Piaggio e dopo qualche anno riuscì a comprarne un altro più nuovo, sempre coi suoi risparmi, senza pesare sull’economia familiare, anzi contribuendo alle entrate.
Era una donna decisa, diretta, ma sapeva essere diplomatica quando serviva.
Parlava con ritrosia del periodo di guerra, da lei vissuta quando era una ragazza, ma raccontava invece con entusiasmo di quando, una volta arrivati gli americani, era incaricata dai genitori di andare a proporre loro il baratto: portava uova e prodotti dell’orto in cambio delle novità, come cioccolata a quadrettoni, gomma da masticare, latte concentrato o burro di arachidi, tutte cose che qui non si erano mai viste.
La tenacia alla vita, dimostrata da Sergia fin dalla nascita, le ha permesso di superare indenne il periodo della guerra e di morire a quasi 91 anni, pressoché in salute, circondata dall’affetto del figlio e di tutti noi paesani che la vedevamo spesso, negli ultimi tempi, seduta su una sedia impagliata davanti casa, mentre si reggeva a un bastone, tenuto dignitosamente di fronte a lei come lo scettro di una regina. Qui, come fosse nel suo salotto, accoglieva chi si fermava a scambiare due parole con lei, che a tutti donava un consiglio, raccontava una storia o faceva una battuta spiritosa, che permetteva di proseguire il cammino con un sorriso sulle labbra.
Quando ero io a fermarmi, dopo brevi convenevoli, le chiedevo: “Sergia, hai bisogno di qualcosa?” E lei, velocemente rispondeva: “No, no, ti ringrazio, a me ci pensa Ranieri” e, in effetti, non aveva bisogno di niente altro, aveva lui, tutto il suo mondo.
Se qualcuno che si fermava le riportava qualche adulterio di paesani insospettabili, lei rispondeva: “Pensa per te, avrà avuto i suoi motivi” e con questo zittiva quelle malelingue.
Sergia si faceva sempre i fatti suoi. Sarà forse questo il segreto della longevità?