Premio Racconti nella Rete 2022 “Sole di primavera” di Laura Capella
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022“Mamma, come sei bella”.
“Anche tu, bambina mia”.
“Sì, ma tu hai stile. Io sono timida e non sarò mai come te. Il tuo vestito sembra una nuvola”.
“Ti piace, tesoro? L’ho copiato da un modello in mostra in una vetrina del centro”.
“Quando sarò grande me lo regali? Il mio non mi starà più.”
“Si, se ti piacerà ancora. Poi te ne farò altri.”
Una giovane donna sui trentacinque anni, alta e avvenente, in un vaporoso abito di chiffon di seta, una raffinata fantasia giocata sui toni del viola e del fucsia, cammina sul lungomare dell’Ardenza a Livorno. Ha un cappello in tinta color fucsia, una borsetta blu e il suo portamento regale è sottolineato dalle Chanel blu a tacco alto. Completa il tutto un filo di perle chiare e gli orecchini abbinati, anch’essi di perle.
Accanto a lei trotterella la figlia di cinque anni, in un abitino a mezze maniche di velluto liscio azzurro intenso, con il colletto e i risvolti delle maniche bianchi dai leggeri ricami che riprendono il colore del vestito.
Lungo il viale sta esplodendo la fioritura delle tamerici, con le loro aeree spighe rosa pallido dal delicato profumo.
“Mamma, questo vestito che mi hai fatto tu è bello ma fa un po’ caldo”.
“Te lo avevo fatto a ottobre per il matrimonio della zia, e abbiamo deciso di usarlo anche per oggi. I bambini crescono: non aveva senso fare due abiti da cerimonia. Non te li saresti più rimessi. Chi se lo immaginava, poi, che all’ inizio di maggio sarebbe stato così caldo!”
Le due attendono l’ora giusta per presentarsi a casa dei parenti, al cui matrimonio sono invitate. Sono arrivate da poco da Firenze insieme al consorte, e padre, che in quel momento sta cercando un parcheggio per l’auto.
La bambina, pensierosa, rimugina un attimo su ciò che le ha appena detto la madre riguardo ai vestiti. Seguendo il filo del suo ragionamento se ne esce con queste parole:
“Mamma lo sai che vorrei essere un maschio? Mi piacciono i vestiti ma di più i pantaloni, sono più comodi per giocare!”
“Ma che dici sciocchina: sei troppo carina per essere un maschio! I pantaloni li puoi portare lo stesso. E poi ci sono dei vantaggi nell’essere femmina. Se ti sposi puoi avere una casa tua, badare a quella e non andare al lavoro. Quando nascono i bambini, poi, baderai anche a loro. Puoi anche lavorare in casa se vorrai. E’ quello che facevo io prima di sposarmi, ero una sarta. Avrei volentieri continuato, se non si fosse messa di mezzo tua nonna, sempre a dire che non stava bene che io lavorassi, che suo figlio era perfettamente in grado di mantenere la famiglia, era un laureato, un ingegnere, aveva tante offerte di lavoro e poteva addirittura scegliere.”
La nonna paterna, Ida, era figlia di bottegai, persone agiate ma prive di cultura. Per l’unico figlio sognava un futuro brillante, di cui la laurea era solo il primo passo. Ingegneria elettrotecnica era la specializzazione più all’avanguardia e richiesta del momento, secondo lei e secondo la nonna di Albertino, un vicino di casa coetaneo del figlio.
Il marito, a cui l’idea di ingegneria piaceva, avrebbe voluto fare meccanica, ma non ci fu verso. Sua madre sapeva essere molto convincente!
Come non ci fu verso che lei, ricominciasse a lavorare, dopo la nascita della bambina, appena un anno dopo il matrimonio.
“E’ il boom economico, Carla, gli ingegneri vanno a ruba, non se ne laureano abbastanza per coprire i posti di lavoro che si creano di continuo. Cosa vorrai mai fare come misera sartina?” – Il tono perentorio della nonna echeggiava ancora dopo due anni che era morta.
Erano i primi anni ‘60, ed era davvero il boom economico. Il giovane ingegnere, infatti, appena laureato, aveva potuto permettersi di passare da un impiego all’altro in pochi mesi, arrivando a moltiplicare il suo stipendio in pochissimo tempo. Quando la Società Elettrica Valdarno fu nazionalizzata, pochi mesi dopo la sua assunzione, l’Enel, per tenersi in blocco il personale tecnico, aveva fatto una operazione contrattuale lungimirante, raddoppiando loro il mensile.
Con una bimba da crescere, la donna alla fine si era assuefatta all’idea di “fare la signora”, anche se, a volte, se ne pentiva ancora. Fortunatamente il suo era un matrimonio felice.
Tuttavia, dipendere economicamente dal marito non era cosa facile per chi aveva potuto contare su un lavoro in proprio e anche soddisfacente.
“Mamma, tu facevi la sarta prima di sposarti, vero?”
“Sì, amore. Era un lavoro che mi piaceva molto. Ero indipendente, potevo comprarmi quello che volevo, se mi andava. Al tempo in cui ho conosciuto il babbo, spesso ero io che pagavo quando andavamo al cinema o a ballare. Lui studiava e non aveva mai tanti soldi in tasca. La nonna gli dava lo stretto necessario per una sola persona, e anche meno. Aveva paura che lo distraessi dallo studio.”
“Chissà quanti bei vestiti facevi alle tue clienti. Hai fatto anche abiti da sposa, come quello di tua cugina, qui, al cui matrimonio siamo venute oggi?”
“A lei no, ma sì, un paio ne ho fatti. Alla mia amica Adriana glielo feci io, anche se all’inizio non volevo. Lei era molto bella ed elegante ed io avevo paura di sbagliare.”
“E poi, come è andata?”
“Poi andò tutto bene. Sono sempre stata molto affezionata a lei, non avrei sopportato di rovinarle il matrimonio.”
“Quando sarò grande, lo farai anche a me?”
“Certamente. Se tu lo vorrai.”
“Sì mamma, di sicuro. Con lo strascico come le principesse.”
“D’accordo allora. Di che colore?”
“Bianco. Il tuo come era, mamma? Lo hai fatto tu da sola?”
“No. Dicevano che porta sfortuna, anche se io non ci credo a queste cose. Me lo ha fatto la zia Dina, quella da cui ho imparato il mestiere.”
“Ma, dopo, non hai più fatto la sarta quando ti sei sposata?”
“All’inizio, ma poi sei nata tu.”
“Ti è dispiaciuto smettere?”
“Sì, un po’. Ma avevo tanto da fare e, dopo, i vestiti li ho cuciti ancora, ma solo per me e per te. Se nascono altri bambini li farò anche a loro.”
“Ma non ti pesa chiedere sempre i soldi al babbo, per qualsiasi cosa?”
“Sì”.
“Io quando sono grande, vorrò sempre lavorare, anche se mi sposo. E poi non so se mi sposo.”
“E’ la cosa migliore avere un lavoro, perché non si sa mai cosa può succedere nella vita. Studia e trovati un buon impiego. A me sarebbe piaciuto studiare.”
“E perché non lo hai fatto?”
“Ho fatto la scuola di avviamento professionale, fino a 14 anni. Poi hanno detto che, dato che eravamo 4 fratelli non tutti avremmo potuto fare le superiori e l’università: l’unico che le ha fatte entrambe è stato mio fratello maggiore. Poi la zia Marilù, più piccola di me, ha fatto ragioneria. Io non ero tanto adatta, dicevano, lei era più brava. Poi la più piccola, la zia Vilma, avrebbe potuto farlo e non ha voluto, non aveva voglia”.
“E tu ci sei rimasta male?”
“Sì, un po’.”
“Io voglio studiare, mamma. Così i soldi poi te li do anche io.”
“Puoi fare la maestra, è un bel lavoro, sei impegnata solo mezza giornata e il pomeriggio hai il tempo di dedicarti alla famiglia, quando ce l’avrai, e alla casa.”
“Mamma io voglio fare l’archeologa, o l’esploratrice”.
“Sarai sempre piena di polvere e inzaccherata di terra e non potrai indossare i bei vestiti che ti farò.”
“Te l’ho detto mamma, preferisco i pantaloni. Col vestito mi vergogno un po’, tutti mi guardano e ho paura sempre di inciampare. Indosserò i tuoi vestiti quando torno a casa nelle vacanze!”
“Ma non è un lavoro adatto a una donna. Oltretutto, può essere pericoloso, sempre in giro per il mondo!”
“Mi piacerebbe molto viaggiare e conoscere molte persone. Studierò tante lingue e potrò parlare con loro.”
“Se viaggi non potrai sposarti ed avere figli.”
“Aspetterò a farli, poi li porterò con me, oppure non li farò affatto.”
“Rimarrai sola.”
“No mamma, perché avrò tanti amici, e poi avrò sempre te.”
“Non è lo stesso. Prima o poi avrai un fidanzato. Lo vorrai avere, o no?”
“Un fidanzato si! Non so se mi sposerò.”
“Prima o poi vorrete dei figli, e allora vi sposerete.”
“Può darsi. Ma prima di tutto voglio lavorare, un bel lavoro, sennò che studio a fare?”
“Se pensi solo al lavoro rischi davvero di rimanere da sola”.
“E’ un pericolo che devo correre, mamma. Prima di tutto devo realizzare me stessa. Poi potrò pensare anche alla famiglia.”
“Non so cosa augurarti. Sarà dura.”
“Mamma, non essere pessimista, mi impegnerò tanto e ci riuscirò.”