Premio Racconti nella Rete 2022 “Quasi una Favola” di Maria De Arcangelis
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022Dalla mia finestra, ogni mattina si apriva lo scenario della montagna. Le pareti, le vivide rocce, i colori, i suoi silenzi e le nuvole che adornavano le cime sempre verso mezzogiorno. Giunta la sera, tutto si quieta fino a sentire il gorgoglio dei ruscelli e il concerto silenzioso della natura che saluta lentamente il giorno che muore dietro un delicato tramonto. Ma, davanti a tanta bellezza avevo anche tanta curiosità: sognavo di conoscere posti diversi e cose a me sconosciute. Dovevo lasciare questo piccolo angolo di mondo per scoprire. Ho viaggiato, scoperto, sofferto e gioito. Ricordare ora, è come partecipare, tutto mi è nitido perché quello che ho voluto, l’ho prima desiderato.
Avevo dieci anni quando ebbi la prima occasione di andare in città insieme a mia madre. Quello era un avvenimento importante, perciò cominciai a prepararmi un paio di giorni prima. Quella mattina indossai il solito vestito della festa, era celeste con un piccolo fiore fatto all’uncinetto messo davanti a mo’ di spilla. Mi specchiai, stentai a riconoscermi, io, che vestivo sempre con abiti scuri, riciclati, riadattati, per un attimo rimasi a guardarmi… ero felice! Ma le scarpe? Non potevo scegliere, erano scarpe quattro stagioni, soltanto quando erano vecchissime si ricompravano ma per me non erano tanto importanti. La mamma, finalmente quella mattina, indossò l’abito da passeggio, era l’unico e bastava per tutte le occasioni, per le feste, per i viaggi. Ci avviammo verso la piazzetta dove una piccola folla aspettava l’unico autobus che portava la gente in città. La strada era tortuosa e si poteva ammirare un bellissimo panorama. Vidi per la prima volta un lago, uno specchio d’acqua verde e tutto intorno alberi che lo circondavano, sembrava di vivere in un sogno. Ed ecco da lontano il campanile, i palazzi, orti generosi e giardini che rallegravano. Finalmente arrivammo nella città che da sempre avevo sentito parlare ed ero curiosa di conoscerla ma ero anche intimorita perché qualche tempo prima, sui giornali, si leggeva che in questa città avevano trovato una valigia con all’interno un cadavere. Questa notizia si sparse per tutta la zona lasciando una profonda tristezza mista a paura. Per tanto tempo se ne parlò lasciandoci nell’animo e nella mente il perché di tanta atrocità.
La cosa che mi colpì furono le tante persone frettolose, pensose, leste nei gesti e le vetrine festose, ammaliatrici, desiderose di accogliere e far felici. Ci fermammo davanti alla vetrina di una pasticceria, prima a guardare e senza esitare entrammo. I colori delle pastarelle, caramelle e cioccolatini, ci riempirono di gioia. Facemmo colazione con una specie di crespella e mentre il barista la preparava, guardavo e assaporavo con gli occhi, alla fine, vidi scendere sulla crespella una buona quantità di cioccolato fondente, per me, fu come vedere scendere “lo Spirito Santo”. Non scorderò mai quei dolci, quella crêpe. Uscimmo da quel luogo incantato e ci affrettammo per portare a termine le commissioni da fare, non solo per noi ma anche per il nostro vicinato.
Ormai, tutto era stato fatto e mentre camminavamo, incontrammo una signora bella ed elegante, ci salutò affettuosamente e ci invitò a casa sua per pranzare insieme alla sua famiglia. Mia madre accettò con entusiasmo, ci salutammo con la promessa che ci saremmo incontrate più tardi. Seppi dopo, che mia madre, era stata la sua babysitter e considerava questa signora quasi una figlia e che apparteneva ad una famiglia molto ricca. Finalmente, dopo una breve passeggiata, ci avviammo dirette verso la casa della bella signora. Il portone era lussuoso, le maniglie sembravano d’oro, era il preludio di una casa ricca e accogliente. Entrammo, i passi della mamma erano lenti, indecisi, non si sentiva a suo agio camminando su quei morbidi tappeti.
La donna di servizio, ci fece accomodare nella sala da pranzo ove era stata preparata la tavola. In quella stanza non mancava nulla, vi erano in un angolo delle magnifiche poltrone, mi sedetti su una di esse ma mi alzai subito, erano talmente morbide e belle che credevo di sciuparle. Dalla cucina veniva un buon profumo di stufato ed io, avevo tanto appetito. Ogni tanto entrava un familiare, quando poi erano tutti presenti, il pranzo fu servito, i piatti fumanti di brodo risaltavano sulla candida tovaglia, fu allora che venne la donna di servizio per dirci che il pranzo era pronto, ma in cucina. Di colpo, quella casa tanto bella, la sentii fredda ed ostile, gli stimoli della fame cessarono, seguii la mamma in cucina, sul tavolo, c’era tanta roba da non lasciare un po’ di posto per noi. La donna che ci aveva fatto strada porse il piatto alla mamma, poi, liberò un vecchio sgabello pieno di vecchi giornali e lì, appoggiò il mio pranzo. Le insistenze della mamma per convincermi a mangiare non valsero a nulla. La signora che ci aveva invitato, con tanto calore, sembrava essersi dimenticata di noi. Restammo lì sole e dimenticate per tutto il tempo, mentre dalla sala da pranzo arrivavano rumori di piatti, risate e discorsi a noi incomprensibili. Non so quale sentimento si impadronì di me, mi sentivo umiliata. Mia madre mi disse che insieme a loro c’era una persona molto importante e noi non potevamo stare lì con loro e che avrei dovuto capire. Rispondevo alle sue parole con un ostinato silenzio. Volevo scappare.
Prima di andare via, la signora ci salutò gioiosamente, mi regalò una busta di caramelle e andammo via con mio grande sollievo, non prima di aver lasciato le sue caramelle dietro la porta. Non volevo nulla di lei, purtroppo, il ricordo lo porto ancora con me.
Ci avviammo verso la fermata dell’autobus con una corsetta perché il “postale” stava per partire. Durante il viaggio, la mamma mi rimproverò per essermi comportata male rifiutando il pranzo. Non mi sentivo in colpa, desideravo distrarmi e la natura selvaggia e pura con i suoi laghetti, colline e cascate ribelli mi aiutarono. La campagna intorno, imprigionata dal freddo invernale si stava risvegliando regalandoci i colori più belli della primavera. Le nuvole luminose e sfuggenti si stavano colorando di grigio, un vento irrequieto stava disegnando un cielo minaccioso che sferzava le onde di un mare verde seminato a grano e gli alberi intorno.
Appena arrivate, un temporale ci colse di sorpresa. Un signore ci invitò a ripararci sotto il suo ombrello per accompagnarci a casa. Questa cortesia mi rallegrò e mi fece stare bene. Intanto, dalla mia scarpa bucata era entrata l’acqua, mi sentivo a mio agio in quella scarpa rotta, ero tornata nel mio mondo. Da lontano sentivo il rintocco dell’Ave Maria, il suono che annunciava l’ora stanca della sera.
Questi ricordi, sono come piccole perle che rimangono imprigionate nella ragnatela del tempo ed io, le ritengo le più care. Erano state tante le emozioni di quel passato giorno, volevo riviverle donandole alla sera che stempera e addolcisce tutto. Andai sulla collinetta vicino casa mia, il posto del cuore, il mio rifugio, affidai i pensieri più belli al vento per trasportarli su nel cielo, fino all’arcobaleno. Sentivo l’anima accarezzata da un dio sconosciuto. Le capriole sul prato fiorito sotterrarono il ricordo della mia innocenza calpestata. Mi piaceva guardare il gioco delle nuvole che si trasformavano come i miei pensieri.
Durante la lettura ho sentito il rumore dei passi della bimba, il calore della mano della mamma ed il profumo dei dolci della pasticceria. Bellissimo.