Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2022 “La mia vergogna” di Paola Mezzogori

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

La strada corre sempre più veloce sotto le ruote della mia nuova Honda. A ogni metro schiaccio sotto il loro peso tutto lo schifo che provo. Per lui. Per me. Per quello che è stato. Per quello che sono diventato.

Il suo pugno si alza nell’aria. Gli occhi sbarrati della mamma. Il pentolino del latte che cuoce dietro di lei. Mia sorella Simona attaccata alla sua gamba che piange implorandolo di non farle male. Io paralizzato sulla porta della cucina.

«Le donne so’ tutte mignotte, ricordatelo Davide. A cazzi e cazzotti vanno prese.»

Mentre lo dice sorride maligno e mi osserva per cogliere la mia reazione. Per un momento spero che sia distratto dalla mia presenza. Vorrei dirgli qualcosa per tenerlo occupato. Vorrei fare qualcosa, qualsiasi cosa, per non fargli fare male alla mamma ancora una volta. 

Ma le parole non mi escono. Perdo il controllo del mio corpo, i pantaloni del pigiama si bagnano sul davanti e poi giù lungo la gamba destra. Lui diventa rosso in faccia e riporta lo sguardo sulla mamma.

«Hai visto tu fijo? L’hai visto? Nun sei bona a niente! Na’ mignotta e n’ pisciasotto. Ecco cosa siete!»

Il pugno scende sul viso terrorizzato di mia madre, che perde l’equilibrio e sbatte violentemente contro la cucina a gas rovesciandosi addosso il latte bollente. Grida mentre il sangue scuro scende dal suo sopracciglio destro coprendole metà della faccia con un velo rosso e il latte bollente si appiccica ai suoi vestiti.

Anche la mia sorellina urla. Lui la afferra per le spalle e la scuote forte, sempre più forte. Lei grida e piange sempre di più. Se continua così le staccherà la testa dal collo, penso senza provare niente. La mamma si toglie i vestiti bagnati e si butta seminuda su di lui come una furia. La sua faccia insanguinata sembra una di quelle maschere che abbiamo fatto con la cartapesta per carnevale.

«Lascia stare la bambina non la toccare!»

Lui spinge mia sorella con violenza facendola sbattere contro il muro e si gira verso la mamma con i suoi occhi pazzi.

«Ne vuoi ancora? Viecce zoccola viecce!»

La tacca del contachilometri continua a salire. Corro veloce sull’Aurelia come quel giorno sono corso fuori in mezzo alla campagna con il pigiama bagnato seguito da Dino, il mio cane, che abbaiava felice. Non sapeva cosa stesse succedendo dentro casa perché lui non gli permetteva mai di entrare: «i cani so’ bestie, non cristiani, e devono stare al posto loro,» diceva.

Inizia la salita verso il Sasso e cominciano le curve. Sono costretto a rallentare ma so giocare bene con la frizione, anche questo me lo ha insegnato lui. Riesco a mantenere la velocità che mi serve per continuare a scappare. Corro curva dopo curva, come correvo quel giorno per scappare dalla mia vergogna. La vergogna di essere suo figlio, la vergogna di essermela fatta sotto, la vergogna di essere corso via invece di difenderle come era mio dovere, la vergogna di quegli insegnamenti, che sembrano essermi entrati dentro contro la mia volontà.

Lo sguardo di Viviana quando l’ho schiaffeggiata stamattina mi ha fatto sentire il più schifoso degli uomini. Nei suoi occhi non ho trovato rabbia, né paura o tristezza. Sembrava esserci posto solo per la delusione, una delusione tanto grande quanto la fiducia che mi aveva concesso. Finora non l’avevo mai toccata, però l’ho offesa, l’ho insultata, l’ho trattata male tante volte. Eppure so che lei mi è fedele, so che non c’è nessun altro, ma c’è la sua voce dentro che continua a ripetermi quelle parole: «le donne so’ tutte mignotte, ricordatelo Davide. A cazzi e cazzotti vanno prese».

Io non voglio crederci. So che non è vero, ma mi rimbomba in testa continuamente e non so come mandarla via.

Io non sono come lui, non voglio essere come lui. Mi faccio schifo. Voglio spegnere quella voce dentro di me. Voglio estirpare quel mostro che mi cresce dentro e, se non ci riesco, voglio che nessun altro lo veda perché me ne vergogno troppo.

Allargo la curva e con la coda dell’occhio vedo il mare in lontananza. 

Che bello il mare. Ricordo un pomeriggio di tanto tempo fa. Avevo cinque o sei anni ed eravamo andati tutti in spiaggia. Quel giorno lui sembrava un altro: era di buon umore e non diceva quelle cose schifose, non bestemmiava e non alzava le mani. Ci eravamo seduti sul bagnasciuga e ogni volta che arrivava un’onda sollevavamo il sedere per non bagnarci lasciando le mani e i piedi sulla sabbia. Ridevamo così tanto. E anche la mamma, che ci guardava dal suo asciugamano tenendo in braccio Simona, sorrideva.

Voglio tornare lì, dove posso essere un bambino felice che gioca con suo padre in riva al mare. Dove non devo essere forte per proteggere mia madre, dove non devo farmi schifo per aver picchiato la mia donna. Voglio ricominciare dall’inizio, sentirmi di nuovo pulito. Voglio essere libero di dimenticare chi sono.

E così mi dimentico delle curve e corro sempre più forte verso la luce scintillante del mare. Il calore del sole sulle braccia sembra lo stesso di quel pomeriggio sulla spiaggia. Mi sembra quasi di sentire gli schizzi delle onde che mi bagnano la schiena quando mi passano sotto. Sento le risate di mio padre, vedo il sorriso della mamma. 

Poi, improvvisamente, non sento più niente, non vedo più niente.

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4 commenti »

  1. Magnifica esposizione di un problema purtroppo diffuso: i figli di genitori violenti tendono a diventare a loro volta violenti, perchè è l’unico modello comportamentale che hanno loro malgrado introiettato e di cui non riescono a liberarsi.

  2. Dimenticavo: i miei complimenti!

  3. Bel racconto costruito con numerosi flashback dolorosi e crudi. Il protagonista viene “schiaffeggiato” ripetutamente in un arco narrativo che lo vede dapprima vittima, poi carnefice, subito prima dell’ultimo sacrificio che avviene nel luogo di un ricordo felice.

  4. L’alternanza fra i ricordi e la corsa in auto è molto efficace e il finale è davvero ben riuscito.

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