Premio Racconti nella Rete 2022 “Il diretto Torino – Roma” di Marco Ruggiero
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022Il diretto Torino-Roma delle quindici e trentacinque arrivò con i consueti dieci minuti di ritardo, divenuti ormai così frequenti da non essere nemmeno più segnalati. Quando le porte si aprirono, Matilde scese con difficoltà, appesantita da una pancia gonfia che le sollevava il vestito, e che le scopriva due gambe troppo magre per sostenerla. Mio genero -che io chiamo Antonio- la sostenne per un braccio finché non vide i suoi piedi poggiarsi stabilmente in terra e fare il primo passo. Poi, carico di valige, la seguì. Matilde si dirigeva inconsapevolmente verso di noi, che la aspettavamo seduti in fondo al binario. Fu Stano a suggerirmi quel posto. I primi tempi, per l’ansia di vederla, mi mettevo più avanti, all’altezza del terzo vagone, superati quelli di prima classe. In quelle occasioni però, tutto si risolveva in un attimo. Lei scendeva dalla scaletta, qualche ragazzo le passava la valigia, mi sfilava davanti, e si perdeva nella folla senza che io avessi nemmeno il tempo di immaginare a cosa stesse pensando.
“Povera, guarda come è goffa.” Dissi, mentre Matilde provava a tirare in dentro la pancia per passare tra due militari fermi sulla banchina.
Avrei voluto urlargli contro: ‘cazzo! Ma perché non vi spostate? Non vedete che mia figlia è incinta?’ ma non lo feci, perché sarei sembrato il solito barbone della stazione, e iniziai a muovere ritmicamente la gamba.
“Lei?! Tuo genero invece è un ghepardo.” Disse Stano, indicando con la testa Antonio, che si scusava con una signora per averla travolta. “È un orso del circo!” continuò, ridendo fino a risvegliare la tosse.
Stano e la tosse erano una cosa sola. Non penso di poter scindere nei ricordi Stanislao Morselli, bolognese classe ’43, dalla sua tosse. Era come un intercalare messo al termine di una frase. C’è chi dice: fammi capire, per così dire, cioè, insomma; Stano, invece, tossiva e io, ogni volta, dicevo: “tutto bene?”
Io e Stano eravamo così: legati da anni a dei cliché, a dei riti, a delle frasi solo nostre; come i giornali freschi di cestino, riferito ai quotidiani che ripescavamo nella spazzatura; gli hamburger senza caramella, cioè senza la cipolla dolce; la sigaretta da rianimare era la sigaretta raccolta per terra, e così via. Poi, quando d’estate faceva troppo caldo dicevamo “andiamo all’Hotel Villa Borghese”, che voleva dire che avremmo dormito sull’erba del parco; d’inverno, se non trovavamo altro posto, dicevamo rassegnati “andiamo a Casa…Pound”, che significava che avremmo dormito sotto la galleria di Monte Mario, vicino alla stazione occupata dai fascisti, non quelli veri, quelli di oggi. Poi, l’ultimo finesettimana di ogni mese, si andava da Matilde, che tornava da Torino.
Matilde sembrava concentrarsi su ogni passo, convogliare tutte le sue energie nel trasporto di mio nipote, e il sudore era un velo lucido sul viso e sui capelli. Mi ricordò sua madre, con il pancione, e un cartello in mano, davanti alla fabbrica occupata.
“Tempi di merda quelli!”
“E cosa c’entra?” Stano tossì. Tutto bene? Sì.
“Pensavo alla madre. Chiudevano fabbriche come se non fossero le loro, e gli operai tutti a casa.”
“Almeno allora sapevi chi era il nemico: padroni contro proletari, operai contro industriali, comunisti contro fascisti…”
Matilde rallentò un po’ all’altezza dei vagoni della prima classe e, senza voltarsi, allungo una mano dietro di sé. Antonio -o come si chiama- la vide e si affrettò per prenderla, correndo e spostando tutte le borse sull’altro lato. Era alto e magro, scomposto e dinoccolato, come un ragazzino cresciuto troppo in fretta.
“Sarà pure goffo, ma sembra amarla veramente. Sarà un bravo padre.”
Stano poggiò la mano sul mio ginocchio e la batté due volte accompagnando il gesto con un paio di colpi di tosse. Tutto bene? Sì. Quel gesto mi torna alla mente solo adesso, quel venerdì sera non lo notai.
Antonio ora la cingeva, tenendole un braccio sulla spalla e portandola a sé. La camicia di Matilde si sbottonò, scoprendole un seno gonfio e materno. Antonio la guardò e tirò fuori la lingua imitando un cane. Lei rise e mosse le labbra. Penso abbia detto, dopo. Lui sbuffò con gli occhi al cielo, mentre Matilde si riallacciava la camicetta.
“È una donna ormai” dissi.
“Te ne accorgi adesso?”
“Hai visto quello sguardo?”
Stano scaricò un paio di colpi di tosse mentre annuiva con la testa. Tutto bene? Sì.
Matilde e Antonio erano a pochi metri da noi. Solo un gruppo di suore ci separavano.
“Come lo chiamerai?”
“Chi?”
“Tuo nipote.”
“Giulio, come mio padre.”
Ora, erano davanti a noi. Stano tossì di nuovo, con forza. Antonio ci notò -tutto bene?- e istintivamente strinse a sé Matilde. Sì. Pensai, bravo ragazzo, difendimela!
Ci sfilarono davanti.
Davanti al piazzale della stazione, Antonio metteva le valige nel portabagagli di una BMW nera. Matilde si sollevava sulla punta dei piedi per abbracciare un uomo. Il suo vero padre. Provai gelosia. Era una scena alla quale ancora non riuscivo ad abituarmi.
Forse ventisei mesi sono troppi per scoprire di non essere suo padre. Ventisei mesi di troppo. Me l’ha detto sua madre all’ingresso di casa, con la porta aperta, Matilde in braccio e due borse già nell’ascensore. Mi ha detto che era stata con un altro, con il suo ex, e che adesso tornava da lui.
Matilde si siede sul sedile davanti, Antonio le chiude lo sportello.
Tempi di merda quelli! Le fabbriche chiudevano, anche la mia! I compagni -quelli veri- quelli che fino a qualche mese prima occupavano, si erano dispersi, mentre tutti gli altri parlavano, discutevano, mediavano… contrattavano!
La BMW si immise nel traffico, io rimasi fermo sul marciapiede a guardarla. Faceva freddo.
“Andiamo a Casa…Pound?”, disse Stano.
“E se Matilde decidesse di ripartire prima?”
“Non lo ha mai fatto.”
“E poi, li ci sono i fascisti.”
“Quelli sono anche qui.” Stano tirò su il bavero del suo eskimo verde, che tra macchie di caffè e cenere era diventata una mimetica da jungla, e tossì. Tutto bene?
“Sì. Tu pensi che se ti prendono a calci a Via del Corso, qualcuno viene a soccorrerti?”
Arrivammo alla galleria sotto Monte Mario alle venti. A me non piaceva quel posto. Non riuscivo ad abituarmi al suo vuoto. Che poi non era vuoto e basta, era un vuoto abitato: topi delle dimensioni di un gatto, ragazzini che nel cuore della notte ridevano masturbando bombolette spray ed eiaculando, con un sibilo da camera d’aria bucata, inchiostro e petrolio sui vagoni abbandonati; e Stano sembrava tossire di più; e i fascisti -non quelli veri, quelli di oggi- erano a cento metri da noi.
“Non c’è nulla di vero ormai”
Stano tossì. Tutto bene? Sì. Accese una sigaretta e aspirò fino a risucchiare gli occhi in quel punto incandescente.
“Non ricominciare con i comunisti fascisti, i preti laici, lo stato mafioso…”
“Stano, parlavo di me e Matilde.”
Nel buio il suo viso si illuminò in uno sforzo rosso e sporco. Poi, si passò una mano sugli occhi e tossì. Tutto bene?
“Sì. Ora dormi.”
Sabato mattina la punta di uno scarpone mi svegliò con un paio di colpetti sulla coscia. Io aprii gli occhi di scatto, sentendo il freddo della notte aggrappato alle ossa e pensando, fascisti di merda, siete arrivati!’
Richiusi gli occhi e li strinsi attendendo, da lì a pochi secondi, una mitragliata di calci e bastonate. Me ne avrebbero date tante, poi si sarebbero stancati e domenica sarei andato da Matilde.
“Dormito bene?” disse un vigilante. Aprii gli occhi, Stano non sembrava allarmato e questo mi tranquillizzò. “Che ne dite di andarvi a fare un giro adesso?”
Prendemmo le nostre cose e ci allontanammo. Vidi il vigilante in divisa nera gettare i nostri cartoni in un secchio.
Girammo per Roma fino alle undici. Poi, tornammo alla stazione. Il resto della giornata Stano la passò seduto sul marciapiede spazzato da un vento freddo, di fronte all’ingresso di via Marsala. Io mi aggiravo per la stazione prestando poca attenzione. Di cose quel giorno ne successero, ma nessuna mi sembrò importante. Stano non mangiò e non parlò. Ogni tanto gli succedeva. Lo lasciai stare.
Sabato sera ci ritrovammo nel sottopasso del binario quindici. Il vento scendeva le scale fischiando. Rimanemmo in silenzio, ognuno con i propri pensieri.
Stano ogni tanto si alzava e respirava. Poi, poggiava la schiena sui cartoni e dava qualche colpo di tosse umido, come se tutti i liquidi che aveva in corpo si riversassero nei polmoni.
“Tutto bene?”
“Sì, altri due colpi di tosse e sono pronto alla prova costume.”
Mi addormentai sentendo il respiro di Stano farsi regolare e il sibilo del vento calare.
Alle cinque, mi svegliai. Il sottopasso era vuoto, ma qualche passeggero iniziava a farsi vedere. Di lì a dieci minuti sarebbe partito il diretto per Reggio Calabria, e quel corridoio di marmo sarebbe diventato via del Corso all’ora di punta.
La coperta di Stano si sollevava rapida per poi crollare sotto il peso dell’aria. Gli scoprii il viso. Erano comparsa un po’ di barba bianca e le guance cadevano flosce su un lato. Ricordo che lo scossi, lui tossì. Tutto bene? Stano mugugnò qualcosa.
Io mi sollevai in piedi con la sensazione che accompagnava ogni ultima domenica del mese: da un momento all’altro Matilde sarà qui.
Mentre arrotolavo la coperta, sentii un rantolo, poi un colpo di tosse secco che mi diede l’idea chiara di un ramo che si spezza. Tutto bene?
Quando mi voltai, quando tolsi le sue coperte, mi resi subito conto che Stano non era più lì. Così, senza avvisare! Un colpo di tosse in una mattinata troppo fredda e Stanislao sparì.
Non so il momento preciso nel quale mi resi veramente conto di essere solo. Forse quando notai i passeggeri allontanarsi, quando il medico dell’ambulanza scosse la testa, quando Stano venne messo in un sacco di plastica e portato chissà dove, o quando uno spazzino buttò la sua coperta, la birra, le sigarette come se fossero solo immondizia e non vita vissuta.
Non so quando successe, ma so che successe in quella stazione, nel sottopasso del binario quindici, alle cinque e dieci, tra i passeggeri in partenza per Reggio Calabria, in una mattinata troppo fredda. L’ultima domenica del mese.
So anche che da quel momento Matilde, Antonio, Giulio, così come Stanislao Morselli -Stano- bolognese classe ’43, divennero ricordi.
Poco dopo scoprii anche che, urlare “fascisti di merda” e “assassini” davanti Casa…Pound, alla stazione occupata, non fu la migliore delle mie idee. Forse cercavo solo qualcuno che mi dicesse ‘qualcosa di vero ancora c’è!’.
Mi sono fatto picchiare, una mitragliata di calci e bastonate; ma se sono qui a raccontarlo è perché tutto è cambiato, anche i fascisti. Sì, perché quelli veri, quelli di quei tempi lì, mi avrebbero picchiato a morte e lasciato lì, freddo, con la testa poggiata su un binario fantasma.
Bellissimo, i miei complimenti! Bella la trama e scritto molto bene.
Grazie Paola Zaldera
Amore paterno, protezione, ideali, solidarietà, amicizia, memoria. Tutte cose che rimangono quando apparentemente la vita ti ha tolto tutto. Perché evidentemente la vita è anima, cuore, e soprattutto resistenza. Una bellissima storia, complimenti.
Grazie Marco Floridia per il bel commento.
Molto toccante, scritto molto bene ,con un bel ritmo, cadenzato dal susseguirsi dei ” tutto bene? Si” che sembra vogliano proprio portarti all’ ultimo ” tutto bene?”.
Complimenti!
Grazie Rossella Porzano, felice ti sia piaciuto.
Molto bello, complimenti. Mi piace come l’hai scritto, c’è una tensione che non cala e vivi la storia come se ci fossi dentro e la potessi vedere. Bravissimo!
Grazie Federica Codebo. Bellissimo commento.
In poche righe mi sono affezionato a Stano. Hai tratteggiato i personaggi con delicatezza e sensibilità. Si riesce facilmente a calare nel punto di vista del protagonista. Io sono di Roma e hai restituito perfettamente lo sporco e la disperazione di certi luoghi. Trovo meraviglioso come il protagonista sia in contatto con Stano attraverso la tosse. Complimenti di cuore è stato bellissimo leggerti.
Grazie Thomas Del Duca. Senza saperlo avevo appena commentato molto positivamente il tuo racconto “indistruttibile”.
Mi mancava solo questo dei tuoi 3 racconti e non posso che accodarmi ai complimenti degli altri. E’ un piacere leggerti
Grazie Fabrizio Biuso per i tuoi commenti…sono molto motivanti.