Premio Racconti nella Rete 2022 “Una notte in più” di Lucia Di Pompeo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022Si distese sul letto, accanto a lui.
– Ma che fai, mamma?!
– Be’, che c’è? Abbiamo dormito così tante notti insieme, una in più che cosa vuoi che cambi?
Ancora vestita, allungò le gambe sopra il copriletto damascato bordeaux. Appoggiò le mani sul ventre e fissò il soffitto.
– Mamma, togliti almeno le scarpe!
– Lui ce le ha.
– Non posso vederti così, dai! Scendi!
Antonia non si mosse. Sua figlia Laura ferma accanto a lei.
– Mamma!
– Vai a casa.
– No!
– Vai! Lasciami stare.
– Adesso chiamo…
– Lascia in pace tuo marito. Torna a casa. Ci vediamo domani.
– Fammi dare almeno un bacio a papà!
Antonia chiuse gli occhi. Ascoltò i passi della figlia allontanarsi, il rumore del portone di casa che si richiudeva, poi il silenzio.
– Finalmente!- sussurrò. – Certo che tua figlia non capisce proprio niente, eh…!? Lo so, è anche figlia mia, ma a volte è proprio una stupida.
Aprì gli occhi. Fissò il soffitto.
– Ancora quella macchia di umidità. Dovremo chiamare l’imbianchino.
Iniziò a ridere nel silenzio. Volse lo sguardo verso il marito. – Ricordi la macchia all’angolo del soffitto la prima volta che facemmo l’amore? La fissai tutto il tempo: la macchia e i tuoi occhi. A tratti si confondevano, diventavano tutt’uno.
Guardò di nuovo il soffitto, girando il capo, alzando il mento.
– Non so se allora ti amavo. Te l’ho mai detto? Be’, ora lo sai. E tu?… Mi amavi?… Me lo sono sempre chiesta, sai? Ma adesso che cosa importa… Dopo tutto questo tempo… dopo una vita insieme e… tutte le volte che abbiamo fatto l’amore. Quante volte abbiamo fatto l’amore?! Che poi… come se contasse solo quello. La vita… questa gran fregatura… diceva mia nonna. È vissuta centotré anni, ne avrà avuti di motivi per dirlo. Te la ricordi? Le stavi simpatico. Ti voleva sempre accanto quando scattavamo qualche fotografia. Ma tu, sì, sei simpatico a tutti, tu. Non come me… ”la moglie con la puzza sotto il naso”, che “sta sulle sue”. Mi sembra di sentirla ancora tua madre con le tue zie.
Sospirò inquieta.
– Che strano gioco è la vita. Un gioco d’azzardo o… mosca cieca. Abbracci qualcuno che non sai chi sia. Lo tocchi, ne senti il profumo e non lo vedi. Quando ci si toglie la benda? Quando ci si toglie la benda, che succede?
La pendola nel corridoio batté le dieci.
– Tu profumavi di buono, di dolce. La tua pelle era così morbida e liscia quando ti accarezzavo e i tuoi capelli sottili, finissimi, come quelli di un bambino. E ora guardati. Guarda come siamo ridotti.
Accostò la mano a quella del marito. Gliela strinse. Lo guardò supino, accanto a lei, in silenzio. Si sollevò facendo forza sul gomito.
– Mi hai mai amato? Amato veramente, intendo.
Rimase ferma a fissarlo. Il silenzio l’unica risposta.
Abbandonò il capo sul cuscino, la mano sinistra ancora stretta a quella del marito.
– Hai sempre avuto le mani fredde. È strano per un uomo. Mani fredde, cuore caldo… Si dice così?
Si mosse appena per accarezzarlo in viso. La sua mano destra scivolò delicatamente sul petto del marito.
– Il tuo cuore… lo sentivo battere così velocemente quando accostavo l’orecchio al tuo petto nudo. A volte quando ti abbracciavo non riuscivo a distinguere il battito del tuo cuore dal mio. Un unico suono, lo stesso ritmo, come distinguerli? Avevo quasi paura, sai, paura di perdermi e di non essere più io, di disintegrarmi sotto il peso della tua esperienza, della tua età, delle tue sicurezze. Sempre sicuro, dannatamente sicuro, tu, di te stesso, delle tue scelte. Sempre tu a decidere: il matrimonio, i figli. Anche adesso, sì, anche ora tu a determinare la mia vita… Dici di no? Non sei d’accordo…
Sospirò di nuovo.
– Non posso chiederti di restare. Lo so. Non ti chiederò di non abbandonarmi. Non l’ho mai fatto e non sarà questa la prima volta. Mi domando solo che senso abbia essere vissuti così tanti anni insieme per poi ritrovarsi improvvisamente soli.
Tacque. Nella luce soffusa della camera da letto le ombre si proiettavano enormi sulle pareti.
– Eri in camera di tua madre. La porta era socchiusa, mi sono avvicinata per origliare. Ero curiosa. Ma tu, sempre di poche parole. Ho scostato un po’ la porta per vedere e mi sono apparsi i tuoi occhi: l’accarezzavi con lo sguardo lucido di lacrime. Le hai detto qualcosa. Non ho sentito. Eri così fragile. È stato allora che ho capito che ti amavo. Una sorpresa, ecco cos’è stato, come quando apri un cassetto e scopri che quello che cercavi era lì, da sempre, dovevi solo tirare quel cassetto per trovarlo e riconoscerlo, subito. Mi sono innamorata della tua fragilità che era anche la mia. Eri semplicemente un uomo. Lì, davanti a tua madre malata, la tua sicurezza, tutta la tua esperienza erano scomparse. Eri così indifeso. Ho capito di amarti. Veramente. Forse lo sapevo già, chissà. Lo avevo già compreso mentre la macchia nel soffitto si confondeva con i tuoi occhi quella prima volta…forse. E tu? Quando è stato che…? Oh! Che sciocca… perché parlarne adesso se non ne abbiamo mai parlato prima? Certi argomenti si rimandano, si rimandano, poi arriva il momento in cui è troppo tardi. ”Non c’è bisogno che te lo dica. Lo vedi.” ripetevi. “A che servono le parole? Lo sai.” Che cosa vedevo? Che cosa sapevo? Lo sai come sono, quanti dubbi ho su di me, sempre. Vedevo i tuoi occhi, quelli sì, il tuo sguardo. Mi hai sempre guardato in modo diverso dagli altri… C’era sempre una luce nei tuoi occhi su di me. Le prime volte era così imbarazzante. Mi mancava il respiro, non sapevo come comportarmi.
Si voltò verso di lui.
– Perché non mi guardi ora? Guardami! Come prima. Ti prego!
Il telefono squillò. Lo lasciò suonare qualche secondo, infine allungò il braccio per prendere il cordless sul comodino.
– Pronto?
– Mamma!
– Che c’è?
– Stai bene? Sei tranquilla?
– Sì, Laura, grazie. Lasciami dormire. Buona notte.
Riattaccò.
– Tua figlia. Certe volte non capisce proprio… che ho bisogno di pensare, di riflettere da sola. Ma adesso dormiamo, Carlo. Domani c’è il tuo funerale. Devo alzarmi presto.
E spense la luce.
Lucia Di Pompeo