Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2022 “Vita di Julie” di Luigi Cuniglio

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

Julie era una fatina dai capelli biondi, lunghi, e viveva sul fondo del fiume Arno. Non era di origine francese come il nome farebbe supporre; in vita si chiamava Giulia ma la pronuncia dell’Ile-de-France doveva sembrarle molto più intrigante.

Parafrasando la Canzone di Marinella di Faber, un re senza corona e senza scorta bussò tre volte alla sua porta, Julie lo seguì senza una ragione. Furono le canne d’Arno, in località Le Piagge, che videro fremere al vento e ai baci la sua pelle. Dicono poi che mentre ritornava, nel fiume chissà come fosse scivolata. Il suo corpo fu trovato il giorno seguente in un anfratto: “Morte bella parea nel suo bel viso”. L’anima invece restò prigioniera in fondo all’Arno.

Da allora, quante storie ha visto ed avrebbe da raccontare la nostra fatina!

Come quella di Polina, operaia, figlia di operai, che viveva nelle case popolari.

La chiamavano la sposina perché era giovane, dai lineamenti minuti ma molto graziosi. Il marito, affetto da una patologia degenerativa, peggiorava di mese in mese. Lei era dolce e servizievole con lui ma aveva gli occhi di chi custodisce un segreto. La fatina la scoprì mentre si accompagnava ad un uomo in quel canneto, a Le Piagge. Questo accadeva tutti i mercoledì, all’imbrunire. La storia si concluse con la morte del marito e la fuga di Polina mai perdonata dalla gente i cui giudizi furono impietosi. Ma non quello della fatina, lei non la giudicava, la comprendeva, perché una giovane donna alla quale la vita ha negato tutto non può essere valutata per una debolezza, un bisogno.

Un’altra storia era quella di Remo, giovane pittore che la domenica mattina arrivava a Marina col trammino; aveva con sé una borsa ed un cavalletto, saliva sul passo di barca di Mariano, il traghettatore tra le due sponde dell’Arno, ed andava a dipingere a San Rossore.

Sceglieva come soggetti le dune, la foce, il mare, la pineta; mai figure animate. Remo era timido, solitario, un po’ sovrappeso e portava occhiali da vista. Accadde che una volta non giunse solo, ma accompagnato da una bella ragazza dagli occhi cerulei di nome Elena. Remo iniziò a dipingere i retoni mentre la ragazza stava seduta sopra un ceppo d’albero; indossava una maglietta in cotone elasticizzato color prugna che le evidenziava il bel seno. Poi si avvicinò col volto a pochi centimetri da quello di Remo che, sentendo il suo profumo ed il caldo contatto del corpo, andò in piena crisi. Elena aveva messo in campo l’artiglieria pesante e lui non aveva difese, né provò a difendersi. La baciò dolcemente e lei rispose come sapeva fare, ma non gli concesse molto di più.

Quella meravigliosa patologia che affligge gli innamorati si impossessò di lui, fino al giorno in cui Elena pronunciò la fatidica frase: “Ti devo parlare”. Gli confessò che non avrebbe voluto ferirlo ma era ancora innamorata del suo ex che le aveva chiesto un’altra possibilità.

Remo si sentì usato per ingelosire il rivale, ma non portò rancore. Tornò ancora una volta a San Rossore, dipinse una sirena dai capelli biondi che usciva dal mare per ammaliarlo e, anziché firmare il quadro, sfumò in un angolo in basso un profilo di volto con una lacrima che scendeva. Quel volto portava lenti da vista.

Da quel giorno la fatina non lo vide più, ma seppe dai suoi informatori che Remo continuava a dilettarsi con la pittura a La Sterpaia, dentro San Rossore, dove andava per ritrarre i cavalli. Di Elena Julie non ebbe più notizie.

La vita sul fondo dell’Arno non era affatto noiosa. La fatina si divertiva a vedere gli studenti universitari seduti sulla spalletta del Lungarno Pacinotti per riscaldarsi ai primi tepori primaverili. Avevano in mano un libro ma più che a studiare li sorprendeva a scambiarsi tenerezze. Ogni anno era sempre così, cambiavano i protagonisti ma la fotografia era sempre la stessa; come l’acqua del fiume che corre verso il mare da sempre, eppure per chi guarda tutto sembra immobile. Tutto muta, o forse nulla muta. Viene da pensare che non sia il tempo a passare bensì l’umanità che attraversa il tempo. “Mah,” esclamò la fatina: “lasciamo che siano i filosofi a ragionare sul senso della vita.”

La fatina aveva molti amici tra gli abitanti del fiume: carpe, tinche, pesci gatto, pesci rossi. Disdegnava invece le anguille, le trovava viscide. Aveva stretto particolare amicizia con Carpy, un bell’esemplare di carpa femmina con cui Julie si scambiava confidenze molto personali. Seppe così che era gravida di Inseminator, il mandrillo d’Arno. Pare che la metà dei pesci siano figli di Inseminator, un vero seduttore. Una mattina Carpy, affamata come suo solito dato lo stato di gravidanza, vide dei grani di mais succulenti ondeggiare nell’acqua. Non perse un attimo di tempo e li afferrò, ma era una trappola. Un pescatore di settant’anni, accovacciato sotto il ponte della Cittadella con la sua canna l’aveva acciuffata e la stava trascinando a riva. Carpy implorò Julie di aiutarla e la fatina non si fece pregare due volte: infrangendo le leggi delle fatine apparve sull’acqua davanti al pescatore, tutta nuda! L’uomo fece un salto all’indietro abbandonando la canna e Carpy subito fuggì verso il centro del fiume. Poi, con l’aiuto di un masso lentamente riuscì a liberarsi da quell’amo doloroso  e traditore. Dicono che i pesci abbiano la memoria breve. Forse, ma Carpy imparò la lezione, si nutrì solo di lombrichi che scovava negli anfratti e fece nascere tanti piccolo pesciolini. Quanto al pescatore, raccontava la sua visione della fatina a tutti quelli che conosceva, ma nessuno gli credette. Ora pare che sia in cura da un esperto in psicoterapia.

L’amore più grande di Julie fu un delfino che prima di Natale si stabilì in Arno, nei pressi del ponte sull’Aurelia. Il nugolo di curiosi che ingombrava le sponde del fiume sperando di cogliere l’istante dell’avvistamento e osservarne le evoluzioni faceva assurde congetture sul perché un delfino fosse finito in acqua dolce, proprio lì. Gli esperti pensavano che avesse perso l’orientamento, che seguisse i muggini, che cercasse nuovi terreni di caccia, che fosse un esploratore. Niente di tutto questo! Il delfino era solo innamorato della fatina! E l’amore era ricambiato, eccome! La fatina lo cavalcava ed insieme correvano dal ponte della Cittadella a quello dell’Aurelia e poi a San Rossore. Le famigliole incuriosite cercavano di immortalare le sue giravolte, le sgroppate; tutti col cellulare in mano, ragazzi, anziani col cane al guinzaglio, coppiette. Persino le oche erano curiose. Prima emergeva la pinna, poi un’apparizione di pochi secondi, attimi di magia. Anche la televisione si interessò al cetaceo, fu organizzato un sondaggio fra i pisani per dare un nome a quello strano cittadino: chi propose Capodanno, chi Ranieri come il Patrono. No, era solo il fidanzato della fatina.

Un giorno di fine gennaio gli esperti decisero che il grosso mammifero doveva tornare al mare; così, con reti, sonar e un’imbarcazione lo sospinsero fino a Bocca d’Arno e gli fecero riprendere il largo. La fatina pianse a lungo ma se ne fece una ragione. Forse era la cosa giusta.

L’ultima avventura in ordine di tempo di Julie fu con un canoista della Canottieri Arno, un giovane prestante dai capelli biondi e gli occhi azzurri. Lei lo aspettava al calar del sole e seguiva la sua imbarcazione durante gli allenamenti; era affascinata dal gesto atletico oltre che dai suoi bicipiti.

Così un giorno decise di infrangere ancora le regole delle fatine; apparve nell’acqua davanti a lui, tutta nuda. Aveva due tettine rotonde e lo chiamava con la manina; il giovane non se lo fece ripetere due volte e le andò dietro.

Julie aveva trasgredito! Il canottiere sul fondo dell’Arno trovò due raptors umanoidi, pallidi, con gli occhi grandi, il capo calvo e lunghe dita. Anche loro gli porsero la mano ed il ragazzo, incantato dalla fatina, li seguì fino al binario 9 & ¾ della stazione. Non aveva notato le lacrime sul volto di Julie.

La Ypsilon rossa del canottiere fu ritrovata nel parcheggio insieme ad i suoi effetti personali. Nessuna traccia di effrazione. L’ispettore di polizia che seguiva il caso interrogò la ex fidanzata circa la scomparsa dell’uomo, ma la donna confessò che di quel donnaiolo non aveva più notizie da tempo. I compagni del circolo Canottieri Arno confermarono che lo scomparso non beveva né si drogava. Inoltre non aveva nemici.

L’ispettore archiviò il caso come caduta con annegamento in Arno; quindi andò in terapia dallo psicologo.

Anni dopo, ad una cena fra canoisti uno di loro, reduce da un viaggio tra gli aborigeni dell’Australia, raccontò di un uomo di sembianze italiche che asseriva di aver vissuto in un quartiere magico alla periferia di Londra dove ogni sera, in una infermeria, aveva avuto rapporti con giovani maghette che poi diedero alla luce tanti figli dotati anch’essi di poteri magici ma con occhi azzurri e capelli biondi.

Lo ascoltarono, poi chiamarono il 118 e gli fu applicato il TSO. Ora è in cura dallo psichiatra.

La verità, quella la conosce sola Julie, la fatina.

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1 commento »

  1. Mi è molto piaciuto il tuo racconto. Una serie di improbabili aneddoti, insomma una bella barzelletta, ci mancano.
    A proposito, non ne sono sicuro ma qualche anni fa sono stato testimone di una scena strana. Ero sulla MOBY che faceva la spola tra Piombino e l’isola d’Elba. Scrutando il mare con l’aiuto del binocolo, con la mia grande sorpresa ho visto in lontananza una donna che sembrava cavalcare una specie di delfino, entrambi seguito con fatica da un canoista. Incredibile certo ma è possibile che fossero i tuoi protagonisti. Ti lascio, ho un appuntamento con la mia psichiatra. Grazie, Jose.

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