Premio Racconti nella Rete 2011 “Il giocatore e il giocoliere” di Ivano Bisozzi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Tutti ricorderanno la storia di Piero che a 86 metri di altezza giocherellava sulla fune con birilli rossi e spade di legno lucido. Il cavo era stato sistemato in piena notte tra il pendio e il ponte che conduce al paese, e l’unico ad accorgersi dei preparativi era stato Leo, che si trovava sulla riva del fiume sottostante con un fiasco in mano, intento a contare cento stelle e altrettante sventure patite giocando ai dadi.
Stava riflettendo su come non gli fosse mai uscita una coppia di 6, quando gli era sembrato di vedere nell’oscurità tre nani, una vecchia e un ometto in groppa a un cammello che fissava la corda da una sponda all’altra del precipizio. Tracannò l’ultimo sorso di vino, fece di sì con la testa e si addormentò sognando alberi della cuccagna e tesori dissotterrati.
Il mattino seguente, la gente accorse ad ammirare le prodezze del funambolo che, ritto nel cielo, si esibiva in giochi di un’abilità straordinaria. Invece di accalorarmi come gli altri, io ero rimasto assorto a guardare oltre il mago e la montagna. Eppure, pensavo, Ugo me lo aveva detto che non dovevo mettermi con una di paese. Ti toccherà andare a vivere laggiù, ripeteva ogni volta che parlavo di Marisa. Poi il giorno della mia partenza mi aveva salutato col gesto dell’ombrello prima che il treno imboccasse la galleria.
Il funambolo padroneggiava le nuvole sopra i miei pensieri, quando a un tratto mi sentii bussare sulla spalla e mi voltai. Era Leo sozzo di fango dalla testa ai piedi che con una fiatata acida mi chiese se stavo gradendo lo spettacolo. Voi siete nuovo di qui, si dice che fate l’avvocato, aveva aggiunto senza aspettare risposta. Mi presento, sono Leo, Leo il giocatore. In paese, sapete, si parla bene di voi. Era la prima volta che oltre a Marisa qualcuno del posto mi rivolgesse parola.
L’incontro con Leo mi tolse il malumore. Si allontanò tra palloncini colorati e buste della spesa continuando a guardare in alto. Mi aveva fatto piacere sapere che in paese si parlasse di me in quel modo. Cominciai a sentirmi inaspettatamente a mio agio tra la folla, e sobbalzai quando l’uomo sul filo a metà tragitto simulò una caduta che trasformò in inchino. Applaudii anch’io. Non vedevo l’ora di tornare a casa e raccontare tutto a Marisa.
Il giocoliere fu arrestato appena mise piede a terra, e osservare la gente così unita che fischiava e strillava contro gli agenti che lo portavano via, mi indusse a pensare che da quel posto non me ne sarei più andato. Acclamavano l’uomo con affetto, come se lo conoscessero da un secolo, come fosse uno di casa. Un bambino mi tirò per la giacca. Mi disse avvocato, per favore, faccia qualcosa. Magari potessi, pensai.
Ma il fato a volte fa giochi strani. Quando al funambolo chiesero di nominare un avvocato, lui rispose datemi il più giovane. Esaminò l’elenco per date di nascita e lesse 23/09/1982, poi lesse il mio nome: Marco T. Ero alla mia prima causa e avevo una paura che mi paralizzava l’anima. Marisa mi incitava per infondermi coraggio, ma anche se cercavo di non darglielo a vedere, la paura stava sempre lì, tra gola e petto.
Malgrado ciò, volevo conoscere al più presto possibile il mio cliente. Al colloquio in carcere egli si rese subito conto della mia tensione senza neppure guardarmi. Mi chiamo Piero, disse, sei pronto a fare il primo passo sulla fune? Non seppi rispondere, e azzardai la domanda che desideravo fare: Lei ha mai paura di cadere? Ricordo rispose “ogni istante, mille volte in ogni istante”, e indicò la pioggia dietro l’inferriata.
Era però arrivato il momento che dovevo decidere se accettare o no quell’incarico. Infine fui sincero e gli confessai che non me la sentivo. Ebbi però l’impressione che lui neanche mi ascoltasse. Disse solo ci vediamo domani, mentre poco più in là, in un’osteria fuori paese, Leo si soffiò sul pugno della mano e lanciò i dadi sul tavolo verde: 4 e 2, e perse quel poco che gli era rimasto da perdere.
Non pago della mazzata rimediata, Leo decise di giocarsi anche ciò che non possedeva e sciupò l’impossibile. Tutto sta nel gioco di polso e nel calcolo delle probabilità, ripeteva tra sé agognando il doppio 6. Dai Leo, questo è il tuo lancio fortunato, si era augurato prima di leggere 5 e 1 sul piano. Tornato a casa aveva baciato sulla fronte il figlioletto Mario che già dormiva. Quella notte il giocatore sognò il giocoliere.
Il giorno dopo alle 9.00 in punto Marisa mi accompagnò a spintoni in Tribunale. Una calca di persone affollava l’aula e Piero non sembrò sorpreso del mio arrivo, sebbene conoscesse i miei timori. Leo fu ascoltato in quanto testimone del fissaggio della fune. Parlò dei nani, della vecchia, e tutti risero quando saltò fuori che aveva confuso due cespugli per un cammello.
Quando toccò al giocoliere parlare, non rise più nessuno. In un silenzio irreale aveva detto “posso liberare queste mani da ferri e catene quando voglio; posso attraversare sbarre e cancelli, e passeggiare sui tetti delle vostre case senza che ve ne accorgiate, ma prima che me ne vada, non ridete se vi offro quel tanto di amore che basta per vedere tigri o cammelli tra intagli di rocce e fogliame”. Piero fu assolto più per merito suo che mio e il parroco corse a suonare le campane della chiesa.
Piero prese la stradina di tergo seguito dai nani e dalla vecchia, lanciando birilli al cielo e baci ai presenti. Non lo rivedremo più, pensai, tranne le volte che alzeremo lo sguardo e lo immagineremo danzare tra palazzi e stelle. Avevo vinto la paura e per tutti ero l’eroe che aveva salvato il giocoliere, ma fu proprio quello il momento che caddi: Leo mi pregò di trovare rimedio alle sue sventure e non seppi rassicurarlo abbastanza.
Il giocatore sognava il giocoliere. Il giocoliere camminava tra i confini del vuoto senza mai cadere, mentre il giocatore lo osservava dal punto più fondo dell’abisso. Pioveva a dirotto. Leo tornò giù al fiume e lanciò con disprezzo i dadi nell’acqua. Un doppio 6 si adagiò tra i ciottoli prima che la piena portasse via tutto, compresa la sua vita. Quando lo seppi, sentii come se il fiume avesse inghiottito anche me.
Non si scoprì mai se Leo si fosse lasciato morire o se fosse scivolato. Stavo nel mio studio e guardavo la pioggia battere contro i vetri. Pensavo a Piero che indicando la pioggia aveva detto “c’è un momento, arriva dopo pochi passi, prima che sopraggiunga la fatica e inizi a oscillare la fune, che ti senti impalpabile quanto l’aria, e in quel momento sono caduti in tanti”. Non diedi importanza a quella confidenza, pensai si trattasse solo di rischi da funambolo, ma sbagliavo. Leo era morto e io mi sentivo in colpa per non aver ben compreso i suoi dolori. Mi ero fatto distrarre dalla gloria ed ero caduto. Misi nella valigia i pochi libri che avevo. Volevo lasciare la professione e stavo chiudendo le imposte, quando un orfano bussò alla porta. Era Mario il figliolo di Leo. Lo riconobbi. Era il bambino che mi aveva tirato per la giacca durante l’arresto di Piero. Disse “mio padre non c’è più e ho paura. Voglio fare causa alla pioggia e al vento, avvocato, accetta il mio incarico?” Dissi di sì! Disfeci la valigia, gli poggiai la mia giacca sulle spalle e ascoltai i suoi racconti da bambino ferito, con attenzione. Sì, con attenzione, perché io ero l’avvocato del giocatore, del giocoliere, e di ogni storia buona che caccia via il tempo cattivo.
Lo scrittore e il lettore: chi è il vero giocoliere, e chi il giocatore? E che cosa scopriremo di loro, dai racconti del bambino ferito? Dipende da come sapremo ascoltarli! Mi piace.
Grazie Tullio!
Bello. Poetico.
Si può cadere in un attimo, a volte per motivi imponderabili, più spesso prevedibilmente per un azzardo dall’esito infausto che ci costringe a lasciare definitivamente il campo. Chi resta può fare tesoro dell’esperienza altrui ed andare avanti, magari con l’aiuto di chi vince la tentazione di gettare a sua volta la spugna e si scopre importante nel suo ruolo e fonte di conforto e di aiuto. Originale.
Grazie Martina, è piacevole sentire definire come poetico un proprio scritto.
Grazie Franco Salvatore per le belle parole usate. Le conserverò con orgoglio in un file, in ricordo di questo concorso.