Premio Racconti nella Rete 2022 “Come la neve” di Simona Visciglia
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022Sono chiuso. Rinchiuso.
Da giorni, oramai.
Quanti saranno? Dieci venti molti di più molti di meno, ho smesso di contarli, i giorni.
Prima contavo pure le ore, ma poi ho iniziato a fare confusione, tra quelle luminose e quelle buie, quelle grigie e quelle troppo chiare, da sveglio e mentre dormivo. No, era diventato impossibile. E così le giornate, di conseguenza.
Sono prigioniero tra queste quattro mura, che poi, a esser precisi, sarebbero tre e mezzo, perché su una parete c’è la porta. È tutto troppo bianco, la porta pure è bianca e a me tutto questo candore abbacinante mi soffoca, come la neve. Mi manca il respiro in questa uniformità incolore.
Mi hanno detto, Loro, che è più sicuro qui che non fuori. Fuori ci si può ammalare, tipo una brutta febbre che somiglia all’influenza ma è molto più cattiva. Che basta respirare o sorridere alla gente e zac… sei fregato.
Non mi ricordo se hanno detto proprio sorridere, ma forse era starnutire, anche se non ho mai starnutito a nessuno, io. E insomma, hanno ritenuto che separarmi dal mondo fosse cosa buona e giusta, ed io mi sono fidato. Mi fido sempre di quello che mi dicono, sì, perché ho sempre pensato che dar credito alla gente non mi potesse fare male, anzi, che potessi farle felici, le persone, accogliendo tutti i loro ondeggiamenti di pensiero. Sono una brava persona, io. Poi uno dentro fa come gli pare, ma intanto dai ragione a tutti. E siamo tutti più contenti. Credo. Tipo, i miei sono stati parecchio contenti che io sia venuto qui, in questo posto sicuro. Hanno veramente insistito tanto ed io li ho accontentati, appunto. Per il mio bene, dicono. Anche Loro insistono che sia per preservare la mia salute. Meglio serrare ogni porta, soprattutto adesso che c’è quella brutta malattia che corre per le strade. Che poi, a dirla tutta, io me ne stavo già tranquillo a casa mia, nella mia stanza, che almeno non era immacolata come questa che mi fa paura, così senza peccato, come una madonna di mattoni e cemento. Ma Loro mi hanno spiegato che non sto bene – ma mica perché sono andato in giro a sorridere/starnutire alla gente. No no: io non sto bene perché parlo da solo. Ad alta voce – glielo deve avere riferito mia madre. E pare non stia bene parlare da soli. Non ho capito se per il tono di voce, troppo alto, o se proprio non si deve fare, a prescindere. Magari me lo spiegheranno.
Intanto, dopo un bel po’ che stavo qui, si sono degnati di chiedermi il perché: il perché io a un certo punto mi metta a conversare con me stesso. Che detto così fa strano pure a me, e gliel’ho detto. Non è che io mi metta a fare botta e risposta, non sono mica matto, eh! No, in realtà io penso. È vietato, forse? Ho questi pensieri, più che altro ricordi, che mi vengono da lontano, molto lontano, e non li sento. Cioè, ho un deficit dell’udito, me lo hanno diagnosticato quando ero ragazzino, e nel tempo sono anche un po’ peggiorato. Non è che sia sordo sordo, ma faccio fatica a sentire le persone che bisbigliano e i suoni molto flebili. E questi miei pensieri sono così distanti che o mi avvicino – e a che cosa dovrei avvicinarmi? – o li ripeto ad alta voce, ecco.
(Le storie che vengono dal passato di solito sussurrano e sono piene di polvere e nella polvere i suoni sono ancora più ovattati)
Ma se pensare non è più normale, se Loro mi dicono che non si fa, mi voglio fidare e resto qui ancora un po’. Intanto, con il loro permesso, continuo a raccontarmi le mie cose, nel tono che ritengo necessario, per sentirle, intendo. E allora certe notti urlo, che poi sarebbe una risata, perché mi tornano alla mente delle cose veramente buffe e divertenti. Urlo fino alle lacrime, cioè rido.
Rido come un matto.
Ed è quello che mi ha detto Uno, qui. Mi fa Tu da qui non esci più, caro mio, perché sei pazzo. Io gli chiedo se pure quando la gente avrà smesso di starnutirsi addosso non potrò tornare a casa.
Mi ha risposto voltandomi le spalle e facendo cenno con le braccia come un grande chi lo sa.
E allora ho ricominciato a raccontarmi le mie storie, così, tanto per farmi compagnia, tanto per non dimenticare, che Qui, in tutto questo bianco, finisce che mi cancello pure io.
Finisce che sparisco in una mattonella e da lì non mi si sente neanche più la voce.
È proprio il genere che mi piace.
Grazie, Massimo, gentile da parte tua lasciare un commento anche qui, a distanza di un anno!