Premio Racconti nella Rete 2022 “A caduta libera” di Maria Luisa La Rosa
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022La donna è immobile sul cornicione a fissare il vuoto sotto di sé, con lo sguardo perso e assente. Una lacrima le riga il viso e i suoi lunghi capelli biondi ondeggiano al vento del sesto pianto. E’ scalza e ha ancora indosso una camicia da notte, bianca come il suo colorito.
Immagino che tocchi a me convincerla a scendere.
Del resto io la conosco bene, meglio di chiunque altro. Sicuramente più di quell’omuncolo spocchioso e paffuto che adesso la implora di non fare follie. Sempre a distanza ovviamente.
Santi lumi! Cosa dovrei fare? Correre nel loro appartamento e dirle “eccomi, sono il tuo vicino. Solo io so come aiutarti?” Sarebbe troppo stupido anche per uno come me, che di scemenze ne ha fatte fin troppe nella vita. Sono certo che mi guarderebbe con i suoi occhi azzurri, lucidi ed espressivi, inarcherebbe il sopracciglio destro e si butterebbe a capofitto nel vuoto. Eppure, in tal caso, morirebbe per uno scopo più profondo rispetto alle ragioni che l’hanno portata lì: morirebbe per la felicità. Non la sua, è ovvio, ma che importa? Sarei disposto anche a non vederla mai più, pur di godere di quel momento, per una volta esclusivamente mio.
Non che mi dispiaccia osservarla ogni sera, di ritorno dal lavoro, quando puntualmente, con un gesto fulmineo, fa roteare la chiave nella toppa e spalanca la porta. Non sono ipocrita per Dio, adoro quel momento. Eppure ormai è banale. Me lo aspetto. Mi chiedo per quale motivo irrompa con tale veemenza in casa sua. Se sapesse la verità non entrerebbe mai lì dentro in quel modo, così caotico e rumoroso. Danzerebbe a passi leggiadri, come nel balletto di Cajkovskij, e volteggerebbe così, verso il destino a cui anche lei, come Odette, non può certo sfuggire. E sarebbe nobile. Invece il frastuono della porta è ogni volta più violento e lei è sempre più crudele, al pari di ogni donna. Mi lascia fuori, da solo. Proprio come adesso. Come se io non contassi nulla.
Probabilmente dovrei correre lì e impedirle di buttarsi ma rischierei troppo. Non posso farlo. Devo essere avveduto, me lo diceva anche maman, ogni volta che le chiedevo di scendere in cortile a giocare. “Sii prudente Carletto” diceva con voce cantilenate, abbracciandomi, “il mondo è pericoloso. Non è per quelli come te.” Ed io desistevo subito. Restavo lì, sul letto, a guardare il soffitto. Non potevo mica darle un dispiacere così grande.
Però stavolta è diverso. Sento che devo agire.
Mi alzo indispettito e mi trascino davanti alla porta. Poggio l’orecchio, sperando di captare qualche informazione. Se solo non ci fosse tutto quel frastuono. La polizia è sul pianerottolo e dalle loro trasmittenti si percepiscono solo parole spezzate. Il marito è lì con loro e non fa che piangere. La sua lagna è insopportabile. Mi sono sempre domandato per quale motivo l’ abbia sposato e soprattutto perché l’abbia probabilmente amato. È una cosa che non riuscirò mai a capire. Io la amo perché è perfetta. Anche papà amava maman per lo stesso motivo. Lui invece non ha nulla di buono. E adesso piange pure, dopo tutto quello che è successo tre mesi fa. Non era mica così disperato. Era anzi spavaldo e sicuro di sé, proprio come un idiota.
Quel fatidico giorno ha cambiato per sempre le loro vite ma nessuno dei due in quel momento l’ha capito. Io però si, dalla prima parola ascoltata attraverso le loro mura sottili. Non era necessario sentire anche i singhiozzi spezzati di lei e la voce decisa di lui. Io lo sapevo che sarebbe finita male, e ho atteso il loro declino come un uomo dell’antica Roma attendeva che i leoni sbranassero il gladiatore. Ho bramato, urlato, applaudito perché accadesse. Eppure non è successo come lo immaginavo neanche in quell’occasione. Lei ha scelto arbitrariamente di proteggere l’idiota e di sprofondare nel suo abisso personale, ha scelto il vuoto. Perché mai adesso dovrei salvarla?
Poggio la mano sulla maniglia ma la ritraggo immediatamente. Cosa mi salta in mente? Devo essere impazzito. Corro in cucina e afferro una bottiglia d’acqua, che tracanno senza respirare. Bevo come un nomade del deserto che cerca da mesi la sua oasi personale. Ho sete, sempre di più. L’acqua cade a terra, mi bagna, ma io continuo a bere, con avidità. Poi poggio entrambe le mani sul tavolo.
Lei merita che oltrepassi quella maledetta soglia e mi palesi ai suoi occhi, una volta per tutte. Merita che le confessi cosa è realmente accaduto tre mesi fa e come stanno realmente le cose. E di essere salvata, perché non è colpa sua, né mia, e forse neanche dell’idiota. È il mondo con le sue brutture ad averci reso quello che siamo, burattini in mano al fato. E cadiamo, inciampiamo, rotoliamo ma poi qualcuno o qualcosa ci tira su, muove i fili ed eccoci qui, pronti nuovamente a danzare, come se tutto quello che abbiamo vissuto non ci abbia devastato l’anima.
Mi decido. Indosso la polo rossa che non ho mai osato mettere, chissà poi perché. Esco sul pianerottolo con un movimento repentino, tanto che un poliziotto mi si avvicina con sospetto.
“Lei abita qui?”
“Si” dico, sorridendo.
“Trova questa situazione divertente?” mi chiede lui, con aria severa. Devo avergli dato proprio l’impressione che non avrei voluto. Che posso farci se la situazione mi appare drammatica ma al tempo stesso, per certi versi, ridicola?
“No, per nulla. Cercavo solo di essere gentile”
“Conosce la donna?”
“No… beh si. È la mia vicina!”
Per fortuna un collega lo chiama, concitato. La donna si sporge sempre di più.
“Si tenga a disposizione” mi intima, correndo verso la finestra.
Io indietreggio e torno dentro casa, mi rimetto a letto con il cuscino sulle tempie. Ma poi penso che devo agire. Ora o mai più. Chiudo gli occhi e li stringo più che posso.
Sono finalmente accanto a lei. Devo apparire bellissimo, così finalmente si accorgerà di me. Mi sporgo, cercando di afferrarle la mano. I poliziotti si irrigidiscono ma notando che la donna, incuriosita, fa qualche passo indietro, mi lasciano stare.
“Paola, sono io. Sono Carlo”
“Chi?” mi chiede singhiozzando.
“Lo sai bene chi sono. Abito proprio davanti a te.”
“Vattene via!”
“Non posso. Devo aiutarti!”
“Nessuno può, neanche la persona che amo di più al mondo.”
“Quella persona che per anni ti ha mentito? Che ti ha sempre lasciato da sola nella tua gabbia di cristallo?”
“Si, lui.”
“Io so quello che hai vissuto, attimo per attimo. Io c’ero. Sono sempre stato accanto a te”
“Tu non sai un bel niente!”
“Parli di quel lunedì? Tre mesi fa? Quando tuo marito ti ha confessato di aver spinto giù la signora del terzo piano? Quella che è “morta accidentalmente cadendo dalle scale?” Mi sembra che tu abbia dichiarato una cosa del genere…”
“Non so di cosa tu stia parlando.”
“Si che lo sai. Perché da quel giorno non sei stata più la stessa, costretta a tacere e consumata dai sensi di colpa. Del resto la conoscevi abbastanza la signora, tanto da portarle ogni domenica un sacco di dolci. Stavi bene nel suo salotto antiquato perché la sua solitudine ti faceva sentire meno sola. E quel mondo che ti raccontava, sbiadito dal passare degli anni, ti faceva sentire più viva di quanto ti permettesse di essere la tua miserevole vita. E io ero lì, sulle scale del pianerottolo, a gioire con te”.
Lei fa un passo indietro e mi infonde coraggio. Sono sulla strada giusta.
“Adesso i sensi di colpa ti spingono a voler scomparire, a desiderare di dissolverti come una macchia sbiadita su un vetro dopo una giornata di tempesta. Però mi devi ascoltare: non devi farlo, perché le tue motivazioni sono illusorie, non stai proteggendo lui…” dico, cercando di prenderle la mano, “stai proteggendo la sua amante. La donna che, nella fretta di lasciare l’appartamento prima che tu arrivassi, ha travolto la povera signora ed è scappata via, il prima possibile. Tanto nessuno l’avrebbe mai collegata a voi. E lui non l’avrebbe certo tradita perché la ama…”
Lei mi guarda incredula e mi porge la mano, singhiozzando.
L’afferro ma improvvisamente la sento scivolare via come una saponetta bagnata.
Riapro gli occhi di colpo. La mia stanza non mi è mai parsa tanto tetra e il soffitto tanto bianco. Non riesco a mantenere la calma e inizio a respirare affannosamente mentre il mio corpo paralizzato non risponde ai miei comandi.
Sento solo il ritmo incalzante del mio cuore in fibrillazione.
Poi un’inaspettata voglia di scendere in cortile, a tirare due calci al pallone, prende il sopravvento su di me. Improvvisamente mi sembra di sentire una nenia in lontananza e addirittura la voce di maman.
Non è per quelli come te Carletto.
Tendo l’orecchio, terrorizzato. Ma c’è solo il silenzio.
Poi delle urla disperate.
E il tonfo assordante.
Scorrevole, mi ha tenuto in suspense fino alla fine. Mi piace.
Un giallo in miniatura. Bello!
Non è facile delineare la psicologia dei personaggi in poche righe, ma ti è riuscito bene! Mi piace il finale risolto con frasi brevi e in un certo senso sintatticamente spezzate, che nella loro forma ricalcano una vita che si spezza.