Premio Racconti nella Rete 2011 “Caffè” di Massimo Pedroni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Da tempo aveva risolto un dilemma esistenziale. Dilemma non di poco conto, la cui soluzione, gli era risultata fino a quel momento ottimale. Il Bernardo, era un pragmatico. Cercava di rendersi la vita, meno pesante e severa di quello che a suo modo di pensare è. Il suo pragmatismo, consisteva, nell’ avere coscienza dei suoi limiti. Di conseguenza come superare con leggerezza i medesimi. Seguendo questa stella polare, poteva ritenersi soddisfatto dell’equilibrio raggiunto nell’affrontare le urgenze della vita. Il dilemma che aveva sciolto, potrebbe sembrare di scarsa rilevanza, ma in realtà non è una cosa poi così banale. Per anni, aveva patito l’indecisione, al risveglio del mattino, se cominciare la giornata, “docciandosi” e vestendosi, oppure dare inizio al suo fare dopo avere preso il caffè… Fatte le dovute verifiche, aveva optato per la seconda soluzione. Quella mattina, mattina da classico pietoso Novembre, con sonnolenta perizia, stava armeggiando in cucina nella preparazione di una generosa quantità di pozione. Sul fuoco , la miscela gorgogliava come dovuto. Lo stesso avveniva nel suo cranio. Offuscate considerazioni sulla sua vita, nostalgie, pentimenti, schegge oniriche, e progettualità di giornata, si intrecciavano in quella mente, con arabeschi urticanti. Più di una volta, in quei primi minuti dal risveglio, il Bernardo, era stato tentato dal rituffarsi paciosamente nel letto. Quello a due piazze. Una delle quali tra uno sventagliare di valigie, sottane, e altri effetti personali, era da qualche tempo rimasta deserta. Per l’occasione tra un invettiva e l’altra, l’adamantina, gli aveva scagliato contro, centrandolo in pieno al basso ventre, il suo dizionario d’Inglese. Lingua che come comunemente si dice, conosceva a livello scolastico. Non aveva ancora compreso i motivi che scatenarono la burrasca. Una delle frasi che gli erano state vomitate addosso, l’aveva estremamente presente “Sai fare solo quello”, il pragmatico rispose timidamente “Ti pare poco”. A quel punto la furia dilagò. Nel frattempo la caffettiera si era colmata. Per dare un taglio netto, agli arruffamenti mattutini della mente, si trasferì con tazzina e “cuccumella” fumante in sala da pranzo. Unica camera, oltre quella da letto, costituente l’appartamento. Servizi ovviamente esclusi. Il tenore della vita che conduceva si poteva definire di una magra dignità. Le sue entrate economiche, erano costituite unicamente dai suoi compensi come collaboratore di quotidiani o riviste, in qualità di giornalista. Era appassionato di musica, per la precisione del repertorio lirico. Ne scriveva, non tanto come critico, anche se il Bernardo si sarebbe ritenuto idoneo a ricoprire quell’incarico, ma come cronista di quel mondo. Per la “mezza” di quel giorno, aveva un appuntamento con il personaggio che doveva intervistare. A seguito di questa considerazione, un refolo di inquietudine, si inabissò nei labirinti mentali del cogitante. Comunque sia, terminata la tazzina di caffè, consumata rigorosamente senza zucchero, come ogni esperto della bevanda sa, il Bernardo rinfrancato, passò a espletare le altre operazioni mattutine. L’incontro che aveva in agenda, si sarebbe tenuto in un Bar. Per essere più precisi, usando un termine oramai negletto dalla modernità, in un Caffè, il Caffè Greco. Il soggetto, passibile della sua intervista, aveva fissato il luogo e l’ora dell’incontro. Avere un appuntamento al Caffè, suona un poco anacronistico, desueto, obsoleto. I tempi del Caffè, sono sicuramente più dilatati di quelli del bar. Al bar si consuma in fretta e in piedi. Ci si scambiano generalmente delle battute, talvolta salaci, di natura calcistica ad esempio.
Al Caffè ci si confronta in modo più profondo, maturamente dialettico. Talvolta, alcuni trovano questi locali per confrontarsi con una solitudine, venata da tristezze intelletual – aristocratiche. Bernardo, oramai vestito a puntino, si era abbandonato a queste digressioni. Ripassò celermente alcuni appunti, inerenti all’intervista che avrebbe dovuto fare.. Limò qualche punto, ne arricchì degli altri. Imbellettò al suo meglio le domande più “scottanti”. E in effetti di materia scottante ce ne era. Argante Quaglioni, era il nome dell’uomo che avrebbe dovuto intervistare. Negli anni passati, Quaglioni, aveva raggiunto ricchezza e celebrità come baritono. Poi……Aveva eseguito in tutto il mondo una grande quantità di repliche del Rigoletto, opera nella quale era il protagonista. Dopo aver terminato di essersi preparato a puntino, bevve una ultima sorsata di caffè.. Con passo lesto quindi uscì, ben tonificato dall’ultimo sorso. L’autobus era pieno, con viaggiatori sgocciolanti da ombrelli e soprabiti. Il mezzo pubblico era il più idoneo, secondo il giornalista, per raggiungere il centro della città. Luogo nel quale si trovava il Caffè, inteso come locale ben s’intende. L’autobus sul quale era salito, avrebbe dovuto effettuare molte fermate, prima di condurlo nei pressi della meta prevista. Pioveva, in modo costante, fitto, con quelle piccole gocce che nella loro protervia, spezzano il fiato. Chi non si trova in un saldo riparo, consuma tutti i pensieri e le energie per trovarlo, e accovacciarvisi una volta raggiunto, con un anelito quasi infantile. Il Bernardo, aveva sempre pensato, che nel cuore delle umane genti, la pioggia, destava, oltre che imbarazzi di ordine generale, un inconsapevole, quanto intrattenibile stato di latente regressione. Ci si sente piccoli, impataccati dalle gocce, spiazzati dall’evento che per quanto razionalmente prevedibile, rimesta disagi personali anche profondi. Si formano spontanei capannelli, dentro i portoni, tra gente che altro non ha in comune, se non la necessità di ovviare all’inconveniente di natura meteorologica. Il giornalista in vena di acute considerazioni mattutine, riteneva che al fondo di quei comportamenti, ci fosse dell’altro. Una ricerca di tepore umano, di rassicurazione. Il cielo sfregiato dai lampi, e i tuoni conseguenti, costituivano una remora, che in varia misura, accompagnava ciascuno. Ovviamente sul convoglio comunale, i posti a sedere erano tutti occupati. I più, compreso Bernardo, stavano in piedi, in balia delle turbolenze provocate dai vari sali e scendi dei trasportati, che puntualmente si determinava a ogni fermata. E di fermate, con i disagi conseguenti, il promesso intervistatore, ne doveva inanellare una discreta quantità. Il suo punto di partenza, era una zona non proprio centrale della capitale. Zona però, avvolta da un fascino, che per un certo periodo fu abbacinante. Cinecittà, era la zona dove il nostro era nato e attualmente risiedeva. Vicino a quella fabbrica di sogni, s’era sviluppata la sua personalità. L’attività di giornalista, per la precisione del giornalista pubblicista, per il Bernardo era stato un ripiego. Cosa difficile da accettare e da confessarsi, ma l’amareggiato aveva compiuto il passaggio da tempo e con determinazione. Lui avrebbe voluto fare lo sceneggiatore. Di questa realizzazione mancata, i cassetti della scrivania di casa sua ne recavano opulente testimonianze. Per essere un fallito, riteneva di esserlo, con convinta serenità. In gioventù, aveva fatto qualche comparsata. Roba dozzinale, di quei film che venivano definiti di serie B Con gli scarsi introiti di quelle prestazioni, si era pagato gli studi universitari. “Dotto’ c’è pronto, caldo caldo un buon caffè”. Era la frase tipica, che gli era rimasta impressa, di quelle lavorazioni. I vari assistenti, cercavano di ammansire così il regista di turno. Il quale il più delle volte, aveva bisogno di ricorrere al conforto della pregiata bevanda, per recuperare lucidità e efficienza. Una comparsa come lui, il caffè poteva andare a prenderselo solo al bar, durante qualche interruzione delle riprese. Certo considerò, senza mai avervi fatto precedentemente attenzione a questo aspetto, le modalità di assunzione del caffè segnavano, se non una gerarchia sociale, almeno una gerarchia di responsabilità. La nuvola di ininfluenti riflessioni del Bernardo, furono infrante da pirotecnici spintonamenti che si vennero a determinare alla fermata del Colosseo. L’autobus, era colmo quasi all’inverosimile. Ciascuno cercava il suo spazio, un confortevole riposizionamento. Brandendo gli ombrelli con fare gladiatorio, qualcuno era riuscito a salire facendosi largo. Bernardo, fu tramortito dall’insofferenza. Si sentiva, stretto, stritolato, soffocato senza speranza. Non si rese conto come fece, ma lasciandosi alle spalle uno strascico di maledizioni e invettive, si ritrovò in mezzo alla strada. Libero. Come tutte le conquiste, anche quella della libertà ha un costo. Nel caso dell’ex comparsa, il prezzo da pagare, fu rappresentato dall’ulteriore generosa bagnata, che gli procurò l’audace sortita. Il traffico sotto quei rovesci, era impazzito, a tratti completamente bloccato. Il tempo a disposizione si stava assottigliando. La ribellione intrattenibile,che era esplosa sul cargo municipale, rivelò, contro ogni superficiale valutazione, un aspetto di grande utilità. Bernardo nella concitazione, senza rendersene conto, era fuggito dallo strangolante convoglio, alla fermata del Colosseo. Pioveva anche lì come naturale che fosse. In modo feroce. Senza requie. Rischiando una scivolata pacchiana, raggiunse il primo ricovero a disposizione. Il luogo era colmo di rifugiati. Trovato un minimo spazio, con un senso di fastidio, si rese conto che il luogo dove aveva trovato ricovero, era oggetto di un costante effervescente andirivieni, di una indistinguibile moltitudine di persone. Sulle prime, tra uno sgocciolamento e l’altro, non fu in grado di realizzare, le cause di tanta complessiva agitazione. Per i temerari che in modo scomposto, effettuavano le sortite, uscendo dal riparo,si era fatta una ragione plausibile, del tipo “impegni improrogabili da onorare. Per gli altri, quelli che entravano altrettanto scompostamente, vedendoli addentrarsi in corridoi limitrofi, impiegò qualche istante di più per dare un senso al loro agire. Dopo qualche riflessione di troppo si avvide finalmente di trovarsi alla stazione della metropolitana del Colosseo. La constatazione, gli trasmise una certa euforia. Dal punto nel quale si era venuto a trovare, cominciò a fare delle prime valutazioni sul raggiungimento tempestivo della sua destinazione. Ora necessitava di un poco di concentrazione, cosa non facile in mezzo a quella sparigliata atmosfera. Vide con soddisfazione, che la stazione della metropolitana, era dotata di un punto bar. Nel locale, trovò una confusione, almeno equivalente a quella che aveva lasciato alle sue spalle. La cassa, era praticamente sotto assedio. Avventori, che avevano con successo, superato la trafila, sbandieravano sotto il naso degli inservienti al banco, scontrini, comprovanti il loro diritto ad avere cappuccini, cornetti, e altri generi di conforto. Giunto il suo turno, contrastato dalla “furba” di turno, che cercava di passargli avanti, dichiarò la volontà di avere un caffè macchiato. La cassiera ad alta voce ribatté, consegnandogli lo scontrino “Un caffè”. Il Bernardo, si rese conto, che la puntualizzazione, da lui fatta era stata inutile. Certe “macchie”, non comportano costi aggiuntivi, sono, come si dice in romanesco “a gratise”. Al banco, l’inciso trovò senso e ragione. La gente il caffè, bevanda per la quale nutre quasi un sentimento di devozione, lo consuma nelle maniere più personali, quasi animando un capriccio. Chi lo vuole lungo, chi ristretto, chi in tazza grande, chi “al vetro”, chi con zucchero raffinato, chi con zucchero di canna e chi, come per l’appunto il nostro cronista, “macchiato” con una lacrima di latte. Quello che era veramente e incresciosamente macchiato era il bancone. Briciole di cornetti, o di altri lieviti, resti di scontrini accartocciati e strappati, sbavature di cappuccini o altro, impreziosivano il ripiano. Il residente di Cinecittà, soddisfatta la necessità, perché di questo si trattava, sentiva che assaporato il nettare richiesto, cominciava a carburare meglio. Permaneva il disagio, provocato dalla gazzarra che furoreggiava al bancone. L’intento prioritario del nostro, adesso era quello di allontanarsi lestamente dall’ispida situazione, alla ricerca di qualche anfratto, “metropolitano”, nel vero senso della parola, ove potesse fare mente locale sugli impegni e le relative tempistiche della giornata. Nella manovra di sganciamento dall’effervescente luogo di ristoro, urtò corposamente un affannato subentrante. Espressioni di vicendevole scuse gemmarono tra i due. Ma la cosa non finì lì. I due dopo una reciproca insistita sbirciata, si riconobbero e, si abbracciarono con entusiasmo. Nell’avventore inopinatamente urtato, Bernardo, aveva riconosciuto Odoacre Chiericoni capo comparse a Cinecittà, che tante occasioni di lavoro, gli aveva dato ai bei tempi. Come va, come stai,che fai e dove vai, si intrecciarono fra i ritrovati con fare amichevole e ridanciano. Ognuno fece il suo sintetico, quanto parziale resoconto. Bernardo, disse tra le altre cose di essersi avventurato come gli aveva accennato all’epoca nella professione giornalistica, che era riuscito a conseguire la laurea, traguardo quest’ultimo, dal quale non aveva fino a quel momento ottenuto alcun beneficio ipotizzato. Chiericoni seguiva con attenta partecipazione. Il cronista, fece un passaggio sullo stato della sua vita sentimentale. La definì catastrofica, dopo l’ultima esperienza con la scagliatrice di vocabolari d’inglese. Odoacre, di una decina d’anni più adulto del suo interlocutore, argomentò di rimando che con la moglie Ines, le cose non andavano poi tanto male, che i figli crescevano, che erano arrivati a pagare più della metà delle rate del mutuo della casa. Doveva continuare a piovere con insistenza, in quanto gente con palandrane fradice, continuavano ad affluire nel riparo, con fare che andava dallo stizzito di alcuni, al variegato turpiloquio di altri. Sulla classica domanda, rivolta dal più giovane dei due interlocutori all’altro “Cosa fai da queste parti?”. L’interloquito, prima di dare una esaustiva risposta, ricordò per primo a se stesso, che lui ancora non aveva “consumato”. Detto questo, con fare deciso e schietto, guadagnò la ribalta del bancone. Con voce baritonale e chiara, scandì, con qualche inflessione dialettale di troppo, la sua comanda “Caffè al vetro con la schiuma”. L’esclamazione, fu nettamente udibile anche da Bernardo ,che era rimasto poco più indietro. “Una ennesima variazione sul consumo del caffè. Accidenti, ma quante saranno mai?” Con il dubbio irrisolto, l’ex comparsa si accinse ad attendere l’amico all’uscita dell’esercizio pubblico metropolitano. Il Chiericoni, brandendo due bei cornetti alla crema, uscendo dal bar, ne porse uno all’amico. Quest’ultimo, mostrò di gradire, sbocconcellando con trasparente avidità la leccornia. “Eravamo rimasti al cosa faccio da queste parti. Giusto?” “La mia era una semplice domanda, da conversazione tra due vecchi amici che si rincontrano, niente di più. Niente di inquisitorio.” “La domanda è giusta, pertinente. Ho cambiato vita, radicalmente. Per una molteplicità di motivi che non sto qui a elencare, per non mettere a dura prova la tua pazienza.” Nel frattempo, una signora che concitatamente, aveva cercato riparo dalla pioggia, nell’antro metropolitano, era scivolata malamente gambe all’aria. Niente di preoccupante fortunatamente, un poco di spavento e qualche lieve ammaccatura. I soccorritori, equamente distribuiti fra donne e uomini, si prodigarono a dovere. Fra essi non spiccò l’ausilio dei due dialoganti, ancora alle prese con gli ultimi brandelli di cornetto alla crema. “Ho cambiato vita, si, si” riprese il discorso Odoacre, con palpabile soddisfazione. “Mi hai incontrato proprio in una piccola pausa che mi ero preso dal lavoro.” Prima che Bernardo potesse fiatare, la sua curiosità fu appagata dall’affermazione dell’amico. “Sono tassinaro, niente più mondi di cartapesta, lusinghe e mortificazioni a buon mercato. Ho cambiato pure casa, dopo aver fatto delle operazioni economiche sulla metà di mutuo residuo.Sono scappato da Cinecittà, vivo a Fiano, piccolo paese vicino Roma. Ines pure è contenta di questa scelta. ” “Una vera e propria rivoluzione.” “Piena rivoluzione, e ne sono felicissimo. Ma a proposito, tu che ci facevi da queste parti?” “Stavo recandomi ad un appuntamento di lavoro.” “Provi ancora a fare il giornalista?” “Sai com’è, non sono uno che si rassegni facilmente. Devo andare a fare un’intervista. Se non mi sbaglio anche tu eri appassionato di lirica.” “Non sbagli, è proprio così. E’ la musica che ascolto, quando posso anche in servizio. La Tebaldi, la Callas, Corelli, Di Stefano, ma che te lo dico a fare. Sai già tutto tu. Ma una cosa te la voglio dire, sapessi l’incanto, inebriato dalle romanze, quando faccio il turno di notte. Per non parlare quando passo sotto Castel S. Angelo, con la Tosca a tutto volume. Robba forte eh?” Non poté fare a meno di farsi scappare un entusiastica espressione del dialetto romano più recente. “Ma riprendendo il discorso dove e a chi devi fare questa intervista?” “Devo intervistare il baritono Argante Quaglioni” “Ma quello era veramente un grande…….Certo dopo tutte le sue vicissitudini.” Bernardo incassò l’osservazione del Chiericoni, senza fare commenti, e senza alimentare in alcun modo approfondimenti su quella allusione “Abbiamo fissato per mezzogiorno di stamane al Caffè Greco.” “Possiedo ancora delle registrazioni del suo fenomenale Rigoletto. Accidenti, ma hai detto che l’appuntamento è fissato per mezzogiorno, sono le undici e trequarti.” “Caspita, hai ragione.” Esclamò di rimando il melomane, dopo aver consultato l’orologio. “Che sbadato, come non posso detestarmi, tra un caffè, una chiacchiera e un cornetto ho perduto la contezza del fluire del tempo. Ciao, scusami, ma devo scappare a raggiungere il primo convoglio della metropolitana, diretto per la mia destinazione.” L’agitazione, lo stava contagiando in modo evidente. Non si sa come gli era comparso tra le mani il notes degli appunti per l’intervista. Blocco di carta che nella veemenza dettata dal possibile ritardo, stava con scarsa coscienza accartocciando ben bene. Stava già proiettandosi, in qualche percorso A o B, della ramificata tuberosa qual è la ferrata sottotraccia della metropolitana. Con decisione intervenne l’Odoacre. “Ma dove vai. Ti do un passaggio io, ho la vettura qua fuori, così te la presento pure:” Ultimò con fare scherzosa la frase, con l’intento di sedare almeno parzialmente l’agitazione montante dell’amico. “Non ha senso, ti ringrazio, ma è una proposta priva di logica la tua. Non si è mai visto al mondo un taxi più rapido di una metropolitana.” “Errore, errore marchiano. Il taxi è qui fuori a disposizione, senza tare di attese e spintonamenti” Nonostante fosse mugugnante e recalcitrante aveva cominciato a seguire l’amico, non senza privarsi dal fare esclamazioni desolatamente “strappacuore” del tipo “Non ha senso, forse l’intervista con Quaglioni era l’ultima occasione per me.” Dai, dai che ce la facciamo te l’assicuro” “Non ce la faremo mai ne sono certo.” “Ma per arrivare al Caffè Greco, è tutta una corsia preferenziale per noi tassisti.” Essendo usciti dal ricovero, la pioggia tintinnava dispettosamente sulle loro teste e non solo. Con un ultimo singulto, il recalcitrante dichiarò “E i semafori. Non li consideri?” Aprendogli lo sportello posteriore del taxi Chiericoni di rimando “Scommettiamo che ce la facciamo.” La ex comparsa, e il suo ex capo, erano oramai accomodati nel veicolo, il quale con antico sapere, aveva cominciato a inghiottire il percorso. Nell’abitacolo, per poco tempo, si spanse un silenzio al borotalco. “Non abbiamo specificato cosa c’è in palio nella scommessa.” Il conducente, guardando con un sorriso, l’ospite dallo specchietto retrovisore “Tra amici non si scommettono soldi, e quindi….” “Quindi” “Un bel caffè, alla napoletana, che chi perde offrirà nella sua dimora al vincitore. Avremo così anche l’occasione di farci visita” “Ok Vorrei solo farti presente che è mezzogiorno meno dieci, e abbiamo solamente superato Piazza Venezia.” Bernardo non aveva sospeso neanche per un istante di tormentare con feroci manipolazioni, il notes con gli appunti. La pioggia era accompagnata da qualche tuono, la disarmonica venatura dei lampi tesseva una ragnatela di atavici timori. Inaspettatamente il traffico, per motivi incomprensibili ai più, si era fluidificato. Odoacre approfittò dell’occasione con efficiente vellutata perizia. Il tassista senza darne preavviso, decise che quegli ultimi tratti di percorso, li avrebbero passati accompagnati dalla musica. Organizzò e dispose il necessario a questo fine.Da una datata registrazione sgorgò la monumentale voce dl Quaglioni, nel passaggio del Rigoletto “Per lei e per me pietà, pietà Signori, pietà Signori, pietà.” “Oltre che domande di natura professionale, farai anche dei riferimenti alle sue controverse vicissitudini?” quasi sussurrò l’incuriosito conducente. “Come sai, la carriera dell’Argante si è conclusa da un pezzo. Anche nei colloqui telefonici, intercorsi tra noi, per fissare i termini dell’appuntamento, ho trovato un interlocutore strano, sospettoso, reticente. Mi sembrava una persona che fosse sempre sul “chi va la” “Dopo tutto quello che è accaduto, mi sembra anche naturale” esclamò Odoacre, superando brillantemente il penultimo semaforo, prima del raggiungimento della metà. “Ma anche la voce, soprattutto la voce, mi è sembrata calligrafica, stentata, quasi dissociata dalla persona che parlava. Da tempo non compare in pubblico, non rilascia interviste da un pezzo. Non mi ha chiesto nulla su ciò che gli chiederò. E’ stato solamente perentorio nella fissazione delle modalità dell’incontro. Certamente gli rivolgerò qualche domanda sugli eventi da cui è stato travolto, e che ha duramente pagato. Non so quanto giustamente. Non sta certo a me giudicare. Posso solo considerare, spero che tu ne convenga con me, che finora le interpretazioni di Rigoletto realizzate da Quaglioni sono rimaste finora ineguagliate.” “Ne convengo, sono assolutamente d’accordo con te.” Un ultima manovra, e l’amico tassista spense il motore della vettura. Bernardo, aiutandosi con la mano spannò il finestrino accanto a lui. Erano arrivati di fronte l’ingresso del Caffè Greco. “Missione compiuta. Mezzogiorno meno due minuti, ho vinto la scommessa, comincia a preparare la “cuccumella”. Chiericoni, da ogni poro, manifestava soddisfazione e orgoglio professionale per l’obiettivo raggiunto. Il trasportato, felicemente sorpreso, quasi incredulo prese atto del fatto. La pioggia non aveva cessato di cadere un istante, ma si era trasformata in quella sottile tipica di Londra e di altre località del Nord Europa. “Ti aspetto qui fuori, così quando hai terminato, ti riaccompagno”. “Dai, ti ho già dato troppo disturbo, ci sentiamo telefonicamente, tanto tu avrai il mio vecchio numero, così ci mettiamo d’accordo per vederci, e per darmi modo di onorare la scommessa persa”. ”Dai ti aspetto,così mi racconti come è andata e sazi la mia curiosità da povero provinciale. Cerca di rimettere un po’ in ordine, il tormentato blocco degli appunti. Non ti puoi presentare così”. “Non mi dare altri pensieri, ne ho già tanti per conto mio. Ora comincia la parte più complessa e delicata. Ok, aspettami pure. Non ho la minima idea di quanto tempo impiegherò. Ora vado se no faccio veramente tardi”. “Vai, vai in bocca al lupo”:Varcata la soglia del prestigioso locale, Bernardo non poté fare a meno di auspicare l’entrata in vigore al più presto, della paventata da alcuni, legge con il divieto di fumo nei locali pubblici. Nella sala, finemente arredata, strati di esalazioni di vari tabacchi, messi in combustione sotto forma di sigari, sigarette o pipe, dilagavano in ogni anfratto. Più che in un Caffè Greco, al sopraggiunto, sembrava di trovarsi in un Caffè Turco. Non gli fu difficile, individuare nel locale, l’uomo con il quale aveva fissato l’appuntamento. Telefonicamente, gli era stato detto, che si sarebbe fatto trovare all’ultimo tavolino in fondo entrando sulla sinistra. Da quella distanza, la nuvola di fumo, sagomava in modo quasi luciferino il cantante. Cappotto, che teneva indosso, e il resto dell’abbigliamento, avevano un aspetto dimesso. Sarà stato per il loro colore cenerino. Unica nota di vezzo era rappresentata da una rigogliosa sciarpa, color verde bottiglia, che l’uomo sembrava quasi ostentare. Lo sguardo era di pietra lavica. Febbricitante. Il Quaglioni, non aveva mai visto il suo intervistatore. Non prestò quindi la minima attenzione al sopraggiunto. Forte della consapevolezza, della sua notorietà, che per quanto sbiadita, ancora sussisteva, sapeva che sarebbe stato riconosciuto e avvicinato. In effetti fu così. Una mora, ancora desiderabile signora, dopo qualche convenevole, porse al baritono un foglio bianco, con l’evidente intento di farsi fare un autografo. Cosa alla quale l’Argante si prestò con una discrezione desueta per quei tempi. Fece solo cenni di saluto, senza profferire una sola parola. Agli altri tavoli, gli avventori consumavano. Il tempo soprattutto. Il fumo di tabacco si destreggiava con quello delle bevande calde. Bernardo, giunto quasi esitante al cospetto del dimessamente abbigliato, ruppe il ghiaccio “Buongiorno Maestro, sono Bernardo Schiaretta.” Il Maestro, fece solamente un sobrio cenno d’invito ad accomodarsi. Il giornalista, notò che sul tavolino, oltre un intonso caffè con panna, trovava posto anche un termos, grande, di quelli da viaggio o da campeggio. Accomodatosi, seguirono degli insostenibili momenti di silenzio. Quaglioni, lo osservava, per meglio dire scrutava, senza manifestare il benché minimo disagio, contrariamente all’intervistatore, che aveva ripreso a tormentare il blocco degli appunti. Il silenzio tra i due perdurava. “Bene, se vuole possiamo cominciare” esordì Bernardo, tentando di assumere un atteggiamento il più disinvolto possibile. Lo sguardo di pietra lavica, che lo fissava, fu attraversato da un lieve battere di ciglia, che fu interpretato come cenno di assenso all’inizio dell’intervista. Sostenendosi agli appunti, forgiò la prima domanda. Banalissima del resto. “Quando e dove ha debuttato nella sua ricchissima carriera?”. Mentre poneva il quesito, il baritono, aveva aperto il termos, cominciando a sorseggiarne il contenuto. Il caffè alla panna era stato lasciato inviolato. Panna che aveva cominciato a sciogliersi vistosamente. Qualche rivolo ne colava sulla tazzina, fino al piattino. Terminato, almeno per il momento di abbeverarsi al termos, Quaglioni, fece due gesti quasi simultanei. Con il primo liberò il collo dalla generosa sciarpa, con l’altro estrasse dalla tasca, una macchinetta, che poteva sembrare una radiolina. Portò l’oggetto alla base del collo, e cominciò a parlare. Schiaretta, ebbe un singulto interiore, ora capiva perché la voce al telefono del suo interlocutore gli era sembrata così strana. Dal vivo più che strana era inquietante. Risultava esserlo ancor di più, considerando che apparteneva a un eccellente cantante lirico. “Qualche sorso del caffè che porto nel termos sempre con me, aiuta a sciogliermi la lingua per così dire. Nei locali pubblici ordino sempre qualcosa, che poi non consumo.Vede, ordinò spesso del caffè con panna, per l’attrazione che provo nel vederla sciogliere gradualmente. Ciò, ho potuto constatare, non avviene in modo costantemente uniforme, no, no, ci sono delle improvvise accelerazioni, degli imprevisti percorsi che prendono i piccoli blocchi cedenti” Lo sguardo era fisso sulla tazzina, la voce metallica con inequivocabili rantoli di smisurata sofferenza di sottofondo. Bernardo era completamente spiazzato dalla situazione nella quale si era venuto a trovare. Mai era venuto a conoscenza, del fatto, che con tutta evidenza il Maestro aveva subito un intervento così severo alle corde vocali. Sarà stata una cosa recente, forse frutto di un brutto male, fiorito dopo tutte le peripezie passate da l’uomo. “E’ sorpreso di trovarmi in queste condizioni vero. Su dica la verità.” Schiaretta annuì con un malcelato imbarazzo. “Da tempo non compaio in pubblico e, non rilascio interviste. Ma questo lo sapeva già. Come tutti non era a conoscenza della mia nuova condizione. Mi sono divertito, con un pizzico di perfidia, lo ammetto, a spiazzarla, a metterla in imbarazzo. Una microscopica vendetta verso tutti i giornalisti come lei.” “Ma io veramente…..” “Si, sta facendo solo il suo lavoro, ed altre menate del genere. E lo fa male, malissimo. Ritiene che qualcuno, dopo gli eventi ben noti, dai quali sono rimasto travolto, abbia ancora il minimo interesse per il baritono Argante Quaglioni?” Lo sguardo dell’Argante era attraversato da ben visibili, enigmatiche passioni. Si abbeverò nuovamente al termos. L’agghindato cameriere sopraggiunto, rilevò l’ordinazione del Bernardo. Un caffè all’americana, gli sembrò, la comanda più consona al luogo dove si trovava. L’ordinante già sapeva che non l’avrebbe neanche assaggiato. Per tentare di sedare, il vivo imbarazzo nel quale si era venuto a trovare, ordinando in quel modo, tentava di accreditarsi come un cosmopolita di vaglia. “Che senso ha parlare oggi della mia carriera, da tempo tra l’altro interrotta in modo traumatico. Nessuno. Tutti abbiamo bisogno di un alibi. Sempre. Con noi stessi o con gli altri, poco importa. Lei, devo dire con fantasia formato bonsai ha trovato il suo.” “Mi scusi Maestro, ma non so cosa intende dire?” “Ah no, ma lei cerca un intervista con il baritono Quaglioni, insuperato interprete di Rigoletto, oppure il Quaglioni, mostro da prima pagina di qualche tempo fa. Su sia sincero.” Alcune delle pagine del notes degli appunti, stavano staccandosi tra le brutali manipolazioni esperite dal pubblicista. Bernardo, onesto individuo, nonostante fosse un giornalista, era avvampato di rossore, incassando la caustica insinuazione dell’intervistato. “In effetti nell’arco dell’incontro, qualche domanda su quella triste vicenda, gli e l’avrei posta.” Ciò fu pronunciato, mentre il dichiarante di turno, spezzava con se stesso il patto segreto di neanche assaggiare il caffè appena posto sul loro tavolo. Un’altra manciata di silenzio, avviluppò i due dialoganti. Senza nesso con ciò che si era detto, con fare repentino Argante posizionò sul ripiano un mangianastri o registratore, all’apparenza spento. L’azione, non fu fonte di timori per Bernardo, ma di curiosità si. Da come stava seduto, con un’occhiata, si era sincerato che il Chiericoni lo stesse attendendo con il taxi parcheggiato proprio davanti all’ingresso del fumoso locale. Argante riprese il discorso, non senza prima aver oscuramente armeggiato con la macchinette che gli consentiva rapporti, per quanto provata con la viva voce. “Su quella triste vicenda ha detto. Anni ho vissuto nella macerante incertezza sul da farsi, allora si che avevo necessità di trovarmi degli alibi. Ne trovai a bizzeffe, non so dire se la mia era forza, debolezza, paura o solamente amore. Come sa noi della lirica non viviamo di psicologismi, ma di sentimenti dirompenti, irreversibili. Quel “Pietà pietà signori….” che intonavo ogni sera in scena mi dilaniava, chiedevo in realtà una pietà astratta, al destino o a chi per esso. Ma non giungeva nessun segnale positivo. E lei soffriva, continuava a soffrire. Persino le pareti della nostra casa erano sopraffatte da tanta atrocità. La carne della mia carne, si stava accartocciando su se stessa.” Una pausa sfibrante, accompagnò lo sguardo dell’uomo sul precipizio dei ricordi. La macchinetta, rendeva ancora più assurda quella voce, che con il suo sferragliare, quanto una lama oculatamente affilata, tranciava il cuore dell’ascoltatore. Si dimenò goffamente sulla sedia il Bernardo, avvolto da tutti quei fumi. Voleva inserirsi in quel parlare, ma non sapeva da che parte cominciare. Si sentiva inetto, impotente. Gli balenarono in mente i titoli sparati a tutta pagina dai giornali, sulla vicenda. “Costanza”, il nome fu pronunciato dal cantante con il tono precario di chi è alla ricerca di una qualche certezza. “Si ha sempre bisogno di alibi, sia per agire che per rimanere inerti. Alibi, argomenti, motivazioni, chiamiamoli come si vuole. Il punto, che non si capisce subito, è quello che dobbiamo salvarci di fronte a noi stessi, almeno di fronte a noi stessi.” “Certo” intercalò Schiavetta, tentando di recuperare un ruolo, quale che fosse, in una situazione che stava in modo evidente, inerpicandosi su percorsi troppo acuminati. “Come ogni mattina” riprese metallicamente Quaglioni “Preparai il caffè, rito mattutino, che celebravo in casa, quando ancora c’era mia moglie. Ero sempre il primo a svegliarmi, pure perché da tempo i medici facevano affrontare a Costanza, la botola della notte completamente sedata. L’ambita pozione mattutina, era, come si usa dire venuta su, con festante gorgoglio. La luminosa giornata sembrava partire al meglio. Ero già, come d’abitudine lavato e vestito.” “Differentemente a quanto faccio io” pensò tra se, con superficialità degna di miglior causa il disorientato. “Tolta dal fuoco la macchinetta colma del caffè , spenta la fonte di calore, mi accingevo a attivare le procedure quotidiane. Ma la mia mano rimase aggrappata al pomello del gas che avevo appena spento. Curioso no?” Una sorsata dal termos sancì un istante di tregua per tutti. La situazione stava diventando claustrofobica. Bernardo, vincendo tutti i suoi imbarazzi e sensi di deferenza nutriti nei confronti dell’interlocutore doveva quantomeno aggiustare l’andamento dell’incontro. In realtà poi, lui doveva portare in redazione, la testimonianza, di un eccelso interprete lirico. L’aspetto “nero” per così dire, per quanto di sua competenza, lo riteneva abbastanza marginale. Sicuramente non centrale. Tentò una sortita in tal senso. “Perché non racconta qualcosa per i nostri lettori, della sua memorabile interpretazione al Metropolitan di New York?” Quaglioni, non raccolse. Cominciando a giocherellare lievemente con il registratore proseguì nel suo rievocare “La mia mano destra, non riusciva a staccarsi da quella improvvisa ancora di salvezza o di dannazione. Di una mano ce ne sarebbe stato bisogno, eccome. Di un’altra, quella di Dio, che avevo invocato con intermittente convinzione. Tra il pollice e l’indice, era rimasto serrato l’oggetto predisposto per chiudere o aprire. La mano fece girare verso l’apertura la manopola, senza aggressività, accanimento. Una foresta di alibi stormiva in tutto il mio essere. Con un soffio cominciò la imminente saturazione. Era tutto così, calmo, tranquillo quella mattina in casa. Le peripezie del dolore, stavano evaporando, seguendo le volute di quel soffio. Non passai in nessun vano della dimora. Diedi le mandate di chiusura della porta, con l’enfasi di un ultima carezza. Mi ritrovai sperso nei dedali della giornata, con la tempesta di quel soffio nel cuore che mi faceva vacillare.” La panna si era completamente liquefatta, facendo così tracimare abbondantemente quella inelegante mistura dalla tazzina nel piattino. A quel punto anche il Bernardo, si sentiva liquefatto, ciò che aveva ascoltato, da quella voce addomesticata in modo inquietante lo aveva annichilito. L’uomo dallo sguardo di pietra lavica, lo fissava con una espressione indefinibile. Forse neanche lo vedeva più. Il trascorrere del tempo, punzonava l’imbarazzo generale. Odoacre continuava diligentemente ad attendere. fuori. Il pubblicista, non poteva non commentare, dire qualcosa. Troppi erano gli elementi di quella storia, che già all’epoca, avevano fatto maturare in lui,sentimenti e valutazioni contrastanti. Cercò di riaprire la conversazione nel modo più costruttivo possibile “Sono sinceramente desolato per la situazione straziante nella quale si è venuto a trovare. Sono vicende estremamente complesse, sulle quali è difficile dall’esterno,se non impossibile dire qualcosa. Di certo si può condividere il dolore.” “Ma quelli vestiti in palandrana nera, hanno avuto a che dire, hanno sentenziato. Si si, addirittura sentenziato.” Un sorriso incendiato, vestì quelle parole. “Io posso solamente esprimerle vicinanza di comprensione umana.. Per il resto non ho capacità, competenza, per esprimere valutazioni sulle deliberazioni della Corte.” “Chiacchiere e formalità. Passano il tempo a violentare la vita. La morte. Chiacchiere e formalità.” Argante, si stava esaltando sempre di più nel suo dire. Si era alzato in piedi e aveva cominciato ad armeggiare furiosamente quanto incomprensibilmente con il registratore. “Non si agiti, chiudiamo l’argomento, e parliamo di bel canto piuttosto.”
“Quelli della Corte, quelli della Corte” Quaglioni placò per un istante il suo maneggiare scomposto sul registratore, quando ritenne di aver raggiunto il suo misterioso intento. Con fare sprezzante disse, sempre rimanendo in piedi “I togati, quelli della i miei giudici, quelli della Corte, ecco cosa sono.” Avviandosi con decisione verso l’uscita, attivò nel punto voluto il registratore. Ne sgorgò la sua celebrata voce d’un tempo, nelle invettive scagliate da Rigoletto. A tutto volume risuonò “Cortigiani vil razza dannata per qual prezzo vendeste il mio bene…” Anche la fumosità del locale apparve trovarsi in soggezione. La porta d’ingresso del Caffè si richiuse alle sue spalle con il dovuto rispetto. Prese posto nel taxi del Chiericoni, senza porsi il quesito se il mezzo fosse libero o meno. In un battere di ciglia la sciarpa verde bottiglia e il resto scomparve alle viste. Sguardi interrogativi, si sovrapponevano tra i superstiti del Caffè. Ciascuno si domandava, se apparteneva ai “cortigiani” o alla “vil razza dannata” il chicco di esame di coscienza, si miscelò con una corale indulgente autoassoluzione. Bernardo dal canto suo fece ulteriori considerazioni, di essere rimasto a piedi, senza aver fatto l’intervista, con un dilagante disagio interiore. Ma in fondo lui era, ed era rimasto sempre una “comparsa”. Come tutti d’altronde, opinò tra se con fare autoconsolatorio.