Premio Racconti nella Rete 2022 “La porta in fondo al corridoio” di Oscar Tison
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022C’era una porta in fondo al corridoio della casa di Matilda. Una porta che nessuno ha mai visto aperta.
Eppure per molti anni tutti gli abitanti del paese si sono recati in quella casa almeno un paio di volte all’anno, ogni anno, in un ordine stabilito tacitamente e sempre rispettato, come accade a quelle cose che sembrano essere accadute da sempre e di cui la memoria non riesce a stabilire l’inizio.
Ci andavano le donne stremate dalla fatica per il lavoro nei campi e dalle gravidanze e i loro uomini che le accompagnavano col capo chino e il cappello in mano. Ci andavano boscaioli ai quali l’accetta aveva disobbedito, bambini febbricitanti, ragazze impacciate, persone timorose per il proprio destino e insomma avete capito, ci andavano tutti. E per tutti Matilda aveva una tisana, un fiore, una pozione, un giro di carte. In quella casa si entrava con timore e si usciva con riconoscenza.
La casa di Matilda aveva un corridoio molto largo e molto lungo, da fuori non si sarebbe detto, non sembrava possibile poiché, a guardarla da fuori con occhi terreni, sembrava una costruzione non dissimile dalle altre sparse nella valle: delle costruzioni quadrate senza concessioni alla vanità, con i tetti spioventi anche se non nevicava quasi mai da quelle parti e i tetti a scandole da cui spuntava un solo grande camino posizionato nella parte a sud per resistere meglio al vento che nei giorni d’inverno investiva alberi case e uomini e campi e animali creando uno strano stordimento nella testa delle fanciulle e non solo. Proprio alla metà di quel corridoio, sulla destra entrando, c’era una statua in legno di pino cembro, che profumava lo spazio e rasserenava l’aria. Nessuno sapeva cosa o chi raffigurasse quella statua, ma lo stesso le donne quando le passavano davanti stentavano a trattenere un inchino. C’era poi un alambicco posato sopra un tavolino che nessuno ha mai visto in funzione, ma tutti erano certi che le pozioni di Matilde passavano attraverso quei sottili tubicini contorti e ritorti, si purificavano gocciando da quei filtri di canapa, si profumavano con le spezie in bella mostra nei vasetti posizionati in cerchio intorno alla sua base. E poi c’era un divano sfondato, in una delle stanze, quella più frequentata; e molti mazzi di carte, delle canne da pesca, una strana costruzione in metallo rivestito di ceramica con dipinte qua e là immagini di volti di donne e uomini, e bambini anche; volti tristi, sofferenti. A tutti pareva di riconoscere almeno uno di quei visi, eppure nessuno ricordava di averlo visto. Era posizionata subito dopo la statua sulla parte destra del corridoio. Passarci davanti faceva paura e ognuno, giunto là, accelerava il passo.
C’erano anche molte altre cose, nella casa di Matilda: un’ampolla di vetro trasparente che penzolava dal soffitto, ad esempio, con dentro un liquido azzurro che nessuno sapeva cosa fosse, né a cosa servisse; Matilda la lucidava ogni giorno. Quando entravi in quella casa, la prima cosa che vedevi erano dei sacchi di patate ammucchiati in un angolo, sui quali spesso chi aspettava si sedeva, gli uomini di solito, e se le mogli li guardavano con quegli occhi di rimprovero che hanno le mogli rispondevano, invariabilmente: “Si sta molto comodi.” E a nulla serviva incupire lo sguardo, non si alzavano, non si sarebbero alzati più se non fosse stato che a un certo punto, come doveva essere, arrivava Matilda e li guardava con quel suo sorriso che non capivi se fosse di comprensione o di scherno e gli uomini arrossivano e si alzavano e le mogli si ingelosivano, ma solo per un attimo, tutti sapevano che Matilda aveva un solo uomo nella mente e nel cuore, l’unico che da un certo giorno in quella casa ha smesso di entrare: Armando.
È strano come possa dentro una casa così piccola esserci un corridoio così ampio e così lungo, succedeva spesso che qualcuno degli uomini, sconcertato, uscisse e rientrasse più volte, borbottando calcoli e scuotendo la testa perché non riusciva a capire. Avrebbe voluto chiedere, ma non osava. In fondo a quel corridoio, c’era una porta. Una porta che nessuno ha mai visto aperta. Vi erano persino delle ragnatele negli angoli in alto, e anche sulla maniglia. Si sarebbe detto che neppure Matilda la aprisse mai, e anche questa è una cosa strana.
La cosa però che rendeva quella casa veramente unica è che dentro ci viveva Matilda. La bella Matilda, Matilda l’altezzosa, Matilda mani di fata e occhi d’immenso, Matilda, la strega.
L’unico che chiese a Matilda cosa vi fosse oltre quella porta fu Armando. Glielo chiese un giorno di primavera a pomeriggio inoltrato, dopo che avevano fatto l’amore e aveva corpo e mente invasi di un benessere tale da sentirsi onnipotente.
-Potresti almeno spolverarla, quella porta! – Disse ridendo – Ma cosa c’è dietro? Se lo chiedono tutti in paese.
-Non la spolvero perché non è ancora il momento.
Rispose Matilda, sbilanciandosi nella risposta più di quanto avrebbe voluto. Poi, cercando di sviare il discorso, gli propose una birra, una di quelle di Oreste, che era l’unico nella valle a farla col grano buono, noialtri tutti con quello ci facevamo solo la farina. Armando però era testardo come testardi sono tutti i boscaioli, e non si accontentò di quella risposta vaga. Certo non rifiutò la birra, non capita spesso di berne con quel sapore, ma non mollò l’osso. Si accanì anzi, come si accaniva con i tronchi degli alberi che non ne volevano sapere di cedere alla sua scure e fece domande su domande, e cosa sono ‘sti segreti, disse, e complice la birra, divenne insistente, e si stava innervosendo, la situazione divenne pesante e a quel punto Matilda si arrese. Capì che non poteva temporeggiare ancora, l’albero dei lila*1 stava lasciando cadere le ultime foglie, la linea del tempo stava mutando, sapeva che ogni mutamento necessita di rituali precisi fissati inderogabili e a volte incomprensibili, profezie che si devono avverare perché tutto possa accadere. D’altronde era già da un po’ di tempo che dei deboli rumori inattesi, simili al brontolio di un tuono, rompevano il brusio quotidiano che avvolge ogni cosa sino a portarla a sembrare silenzio e tutti nella valle, gli uomini, le donne e anche i bambini, alzavano gli occhi al cielo pensando a un temporale. Scoprivano non esserci una sola nube e scuotevano la testa, e se ne dimenticavano subito. Solo Matilda sapeva quel che stava accadendo, ma non lo aveva detto ad anima viva, non poteva dirlo, la avrebbero presa per pazza e di una pazza non si sarebbe fidato più nessuno: quegli scoppi non erano tuoni provenienti da un cielo lontano, ma la prima avvisaglia di un futuro inimmaginabile per gli uomini di quel tempo. Cedette allora, e lasciò che accadesse.
-Se deve essere sia.
Disse. E nell’attimo in cui pronunciò queste parole Matilda capì che l’essere strega non era un dono, ma un peso. E capì anche che era arrivato il momento della rinuncia, inevitabile, perché l’amore dà, ma ancora di più prende e lei aveva bisogno di tutta la sua energia per affrontare gli avvenimenti futuri. Quando cominciò a parlare già soffriva per quel che sarebbe accaduto.
-Domani, – disse – quei tuoni che da un po’ di tempo senti nell’aria saranno più forti. E dopodomani ancora di più. Ma non si tratterà di un temporale in arrivo.
-E di cosa allora? E cosa c’entra la porta?
Armando si stava allertando. Conosceva quel tono che cominciava ade essere ieratico, detestava quando la voce di Matilda cominciava ad essere leggermente stridula, o troppo profonda, e le mani le si alzavano come ad indicare cose che solo lei poteva vedere. Tacque, ma la mascella gli si irrigidì e la bocca gli divenne sottile. Per dissimulare, inutilmente, bevve un altro sorso di birra.
-Stanno bucando la montagna.
-Sei impazzita? Nessuno può bucare la montagna.
-Invece sì. Io l’ho visto. E da quel buco arriverà il treno.
Era la prima volta che in quel paese e in tutta quella valle veniva pronunciata la parola “treno”. Armando scoppiò a ridere.
-Inventi anche le parole, adesso?
Bisogna capirlo, era anche la prima volta che un qualcosa veniva nominato prima ancora di essere conosciuto. Come descrivere un oggetto che nessuno sa esistere? Matilda ci provò.
-Arriveranno prima degli uomini, preceduti dal frastuono delle loro mazze, leve, picconi e dall’eco dell’ultimo tuono. Bucheranno la polvere e saranno uomini di poco onore, stanchi e sporchi, abbruttiti e cattivi, ma non saranno abbruttiti e sporchi e stanchi perché cattivi, saranno cattivi perché stanchi, sporchi e abbruttiti dalla fatica e dal poco onore riservato loro. Usciranno dalla polvere e sulla strada di ferro che la loro fatica aveva costruito arriverà il treno.
Forse la colpa fu solo della birra, ma Armando scoppiò in una sonora risata.
-Se lo fai entrare dalla porta fai prima.
Esclamò tra un singulto di riso e un altro.
-Non essere stupido!
-Stupido io? Dopo tutte le cazzate che hai detto lo stupido sono io?
Matilda si sarebbe potuta fermare. Era ancora in tempo e ne fu tentata, avrebbe potuto dire che stava scherzando o che la birra le aveva dato alla testa, avrebbe potuto dargli un bacio sulle labbra e l’avrebbe calmato e avrebbero potuto tornare a sognare insieme, ma sarebbe stato inutile e il tutto solo rimandato. Perché le profezie si devono avverare, compiono percorsi incomprensibili che lasciano traccie e ferite indelebili nell’animo prima e nel corpo poi, in modo che nessuno si possa scordare del loro potere. Se si fosse fermata avrebbe solo rimandato l’epilogo e prolungato la sofferenza. Allora continuò.
-Insieme al treno arriverà il mondo che esiste al di là della montagna, oltre la foresta che nessuno di noi ha mai attraversato, e tutto sarà diverso. Muterà il tempo, muterà lo spazio e il ritmo della vita. Non esisteranno più le distanze, le notti saranno illuminate più del giorno e non ci si potrà più nascondere in esse. Tutta l’esperienza accumulata in anni di fatiche, sofferenze e piccole felicità diventerà inutile, tu sarai inutile, si disperderà dentro il vorticare velocissimo del tempo che verrà e che sempre meno assomiglierà a tutto quello che conosci. Tutto questo è il treno, e altro ancora.
Armando la guardava con gli occhi sbarrati e una smorfia di derisione, indeciso tra l’arrabbiarsi o ridere, cercando il modo di farla ritornare in sé. Indicò la porta.
-Non mi hai detto dove conduce.
Sperava di riportare il discorso su un piano più pratico. Sbagliava.
-Quella porta è una scelta. La scelta che noi qui nella valle abbiamo potuto rimandare, ma non potremo farlo per sempre. Ogni volta che ti trovi a un bivio sei costretto a scegliere una strada e sarà quella che percorrerai; ma non per questo l’altra strada scompare. La vita è piena di bivi e di strade che non abbiamo percorso, ma che comunque ci attendono. La porta conduce a una di quelle strade, che di sicuro sarà migliore.
-Sei assurda.
-La tua mente ha bisogno di prove, i tuoi occhi di vedere, le tue mani di toccare. Non posso fare nulla per questo. Solo tu puoi scegliere e adesso hai la fortuna di sapere. Vattene, e ritorna solo se sceglierai di seguirmi oltre quella porta.
Fuori, tutto era come sempre. La notte, le radici sul sentiero. Un tuono in lontananza, più forte di quelli uditi fino allora. Un enorme spazio vuoto davanti, e poi giorni senza fine dentro i quali i tuoni divennero sempre più forti e frequenti. Sui fianchi della montagna cominciarono ad aprirsi crepe sempre più larghe e profonde dentro le quali scomparivano alberi secolari, i terreni alle sue pendici divennero aridi e non più coltivabili. I campi di grano che rubavano la luce al sole si seccarono, Oreste smise di distillare la birra. Finché un giorno la parete della montagna venne squartata e da un enorme buco uscì una densa nuvola di polvere e dalla polvere gli uomini che Matilda aveva descritto. Armati di mazze, pale e picconi sembravano non fermarsi mai. Se uno, stremato, cadeva, veniva subito sostituito. Erano passati alcuni mesi dal giorno in cui Armando aveva lasciato la casa della strega, mesi lunghi come anni, che aveva trascorso dimentico del lavoro, entrando raramente in paese, restando per la maggior parte del tempo seduto in una radura in alto sulla valle dalla quale poteva vedere la casa di Matilda. La guardava uscire e rientrare, stendere il bucato, accogliere i visitatori, sempre tentato di lanciarsi a rompicollo giù per la scarpata, raggiungerla, abbracciarla, chiederle scusa. Non lo fece. Guardavo la sua figura dalla piazza del paese stagliarsi sullo sfondo, lo vedevo accucciarsi e rialzarsi, appoggiarsi ad un tronco. Era là anche il giorno che il treno arrivò fino alla piazza. Di sicuro osservava la lunga fila di persone davanti alla casa di Matilda, in attesa di entrare per non uscirne, questa volta, mai più. Il treno si avvicinava, pareva inarrestabile, sembrava dovesse travolgere gli uomini che davanti a lui sudavano posizionando rotaie e traversine con un agire frenetico. Emise uno stridio lancinante per i nostri orecchi che si confuse con quello dei cardini della porta in fondo al corridoio della casa di Matilda e si fermò proprio davanti alla fontana del paese. Tutti quelli che lo guardavano arrivare fecero velocemente dei passi indietro, inciampando l’uno sull’altro, impauriti. Dal camino posto sopra la locomotiva uscì una nuvola di fumo nero, densa e maleodorante, che oscurò le case, i boschi, la montagna. Saliva lentamente, sembrava voler raggiungere il cielo, avvolse ogni cosa e ogni pensiero, accarezzò i piedi di Armando e l’albero su cui stava appoggiato, oscurò i ricordi e tutto il nostro passato.
1Dal sanscrito, il sost. Femminile Lila significa “gioco”, “distrazione”, ma anche “mera apparenza”, “simulazione”.
Mi è piaciuto molto il tuo racconto, un testo divertente, veloce e limpido che mescola immaginazione e realtà e che ci parla di un trauma universale: i mutamenti del mondo. Una vera favola insomma. Grazie. Jose Toye.
E andiamo! E’ un grandissimo piacere leggere un tuo nuovo racconto! Un angolo di terra che deve scegliere se perdere l’isolamento, l’innocenza, la magia, se accettare o meno l’inclusione in un mondo guidato da tecnica ed economia. E’ il prezzo della crescita, del progresso. Una fetta di popolazione sceglie di non accettarlo, di chiudersi dietro una porta per scappare altrove, altri guardano dalla collina, ma tutti perdono qualcosa quando arriva l’età adulta. Bravo e bentornato!
Grazie a te, Jose Toye, mi fa molto piacere che tu lo abbia apprezzato! Marco! Ben ritrovato! Vedo che continui a seguire, leggere e commentare i racconti di questo bel Premio, bravo! Abbiamo ancora una birra in sospeso con Larry, ricordi? Grazie per aver dedicato il tempo a leggere questo mio piccolo racconto e della corretta, precisa analisi che hai fatto, come anche Jose Toye. Mi fa molto piacere risentirti, grazie e un caro saluto.