Premio Racconti nella Rete 2022 “Non sono stato rapito dagli alieni” di GianMarco Cellini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022È suonata la sveglia? Mi sembra di sì: è ora di alzarsi.
Mi sento più stanco del solito, eppure ieri non mi sono affaticato più del previsto. Fammi pensare: mi sono alzato alla solita ora, ho fatto la mia doccia e la mia consueta colazione, lavoro, pausa pranzo, lavoro, corsetta nel parco, cena, TV e letto. Niente di irregolare. Eppure mi sento più stanco del solito.
Che ore sono? Mh… è ancora buio e… non riesco… a raggiungere la sveglia per… sapere… che ore sono. Ma dov’è la sveglia… È sempre stata qui sul comodino, alla destra… su quello di sinistra tengo le gocce: non si sa mai.
Magari ho avuto un brutto sogno e mi sono completamente rivoltato nel letto, e ora sono con la testa in fondo al posto dei piedi perché… non trovo neanche il comodino.
Devo alzarmi, ma non ci riesco. Almeno ci fosse qualcuno, qui con me, che riuscisse ad afferrare la mia corda vocale a mo’ di argano per tirarmi via da questo letto. Ma non c’è nessuno. O chissà: «C’è nessuno? Qualcuno mi sente?». Niente, immaginavo, ma tentar non nuoce.
Mia madre mi ha sempre consigliato di non rimanere da solo. Diceva che insieme agli altri possiamo vedere quello che sarebbe se lo facessimo noi. «Impari dagli sbagli degli altri, così te puoi proteggerti.» Io in realtà non ho mai capito cosa avrei avuto da proteggere. Non faccio uso di droghe né alcolici, ho una vita regolare che più non si può, non rincorro ambizioni rischiose: insomma, cosa sarebbe per me così pericoloso per cui è necessario proteggermi?
Quell’ingiunzione però mi ha da sempre messo ansia: e se invece questa volta avessi combinato qualche guaio senza accorgermene? Se avessi ucciso qualcuno? Ma no dai, non scherzare: e poi la morte non esiste… no aspetta, non prendiamoci in giro. La morte esiste, eccome, ma è la parola che è sbagliata. Cioè, con quella si identifica sia la fine della vita materiale (l’interruzione definitiva di ogni attività autonoma e non del corpo) ma anche ci serve per identificare uno stato mentale, quello dell’assenza della consapevolezza.
Il mio terapeuta mi parlava spesso di “consapevolezza” come fondamento dell’analisi oggettiva della realtà intorno a me: «Se non c’è consapevolezza», mi ricordava ad ogni fine seduta, «non c’è l’idea del mondo che ci circonda, nonostante esso continui anche senza il nostro permesso ad esistere».
Quindi, la consapevolezza di me nel mondo mi porta a pensare che esiste la morte intesa come il sangue che smette di scorrere nelle vene, i muscoli che non hanno più energia per muovere il corpo, i capelli che smettono di crescere e la putrefazione della pelle e degli organi: ecco, questo è un dato di fatto, una cosa che non può essere confutata da niente e nessuno. Tuttavia la stessa consapevolezza mi mette davanti alla coscienza un’altra cosa, che generalmente avviene nello stesso momento in cui avviene la morte fisica, e rappresenta un vero e proprio paradosso, perché è essa stessa che mi comunica la sua propria fine. Quella consapevolezza non ha più scopo di esistere, non perché sia morta nel senso materiale ma perché non ha più ragione di esistere. Cosa se ne farebbe un corpo che non parla, non sente, non vede… dell’idea del mondo che lo circonda. Semplicemente quella consapevolezza non esiste più, non è morta nel senso che è passata da uno stato ad un altro. Non esiste, non ne rimane traccia. A volte mi chiedo se davvero quella sensazione di noi nel mondo esiste o è solamente una conseguenza, un effetto collaterale, del sangue che circola nelle vene.
E quello che sto vivendo adesso è la prova che non mi sto sbagliando.
Credo di essere morto. Cioè: il mio corpo ha smesso di lavorare per l’autoconservazione mentre la mia consapevolezza è andata da qualche altra parte. Sono in una forma intangibile, che per gli altri esseri senzienti ha una forma impercettibile nel significato più estremo del termine: non percepibile e in quanto tale non vivida bensì morta. Ma c’è, ragazzi vi assicuro che esiste. E io ne sono la prova.
Credevo di essermi svegliato stamani come tutte le altre mattine: mi sarei preparato e sarei andato a fare lezione con i miei alunni ma… io non esisto più, il corpo non esiste più, è morto, ma tutto il resto esiste ancora, in una forma che non utilizza i sensi di un corpo ma altri che il corpo non conosce.
Quindi ricapitoliamo: è buio solo perché non ho più a disposizione la vista; non ho sentito la sveglia perché anche l’udito non fa più parte delle mie risorse; non ho trovato il comodino perché il tatto non esiste. Devo ancora valutare gusto e olfatto, poi avrò la conferma definitiva della morte del mio corpo. Vediamo… per il gusto… ah sì, le gocce che prendo la sera hanno un sapore orribile che adesso, in effetti, non sento. Ok, anche il gusto se n’è andato.
Olfatto, il mio senso preferito. Perdere l’olfatto mi crea turbamento. L’olfatto è l’unico senso che non puoi trascurare per un tempo superiore alla capacità di rimanere senza respiro: puoi chiudere gli occhi, tapparti le orecchie, smettere di mangiare per qualche giorno, restare immobile. Ma il respiro, il mezzo che sollecita l’olfatto, no. Non puoi pensare di non respirare per non sentire odori.
Quindi sì, è il mio senso preferito, perché parla continuamente e ininterrottamente di ciò che mi circonda. Questa sì che è protezione, mica imparare dagli sbagli degli altri!
Quindi mi manca la prova dell’olfatto ma, proprio per il motivo che ho appena espresso, fino ad ora non mi ha detto niente quindi… anche quello è fuori uso. Peccato…
Però che strano: adesso che la mia consapevolezza è integra, nel senso che so chi sono e chi non sono più, non so più chi sono.
«Ehi tu!»
Ma… cosa… ho sentito una voce: sta dicendo a me? E… improvvisamente… riesco a vedere! Mi sto muovendo… Ah… il profumo di erba bagnata… mh… sento anche un po’ di fame.
«Cucciolo…»
Questa voce però non la riconosco… invece sembra che per lei io sia qualcuno di importante: mi chiama “cucciolo”.
«Vieni qua da mammina…»
“Mammina”? Ma chi è quella donna… non la conosco, mi chiama “cucciolo” e crede che io sia suo figlio! Mi sembra di vivere in un altro mondo… La mia consapevolezza senza corpo potrebbe essere in balia delle leggi imperscrutabili dell’universo. Avrei potuto viaggiare nel tempo e nello spazio, avrei potuto sviluppare sensi che il mio corpo precedente non ne concepiva neppure l’esistenza.
«Guarda cosa ho per te!»
E quello lì è per me?
«Lo vuoi cucciolo di mamma?»
Certo che non lo voglio!
Magari fosse accaduto, ma non sono stato rapito dagli alieni. Nessuno ha percorso spazio e tempo per prelevare una consapevolezza come la mia. E adesso? Sono qui davanti a questa scena che non fa per me, non è mia, non mi rappresenta.
Ho paura? Mh… forse sì, sento ritti tutti i peli del mio corpo. Devo proteggermi. Come mi hanno insegnato? Osservazione dell’ambiente circostante e consapevolezza. Vediamo: l’ambiente non lo riconosco: sembra una stanza di un istituto psichiatrico che si vede nei film, una di quelle con le pareti imbottite. Di sicuro, sono all’aperto, sopra di me vedo fronde di rami di quercia. Ma la voce che sento, ancora non ha un volto: è dietro queste pareti altissime. La protezione è conoscere lo sconosciuto, devo fare qualcosa: «Palesati!»
«Uh… il piccolino vuole giocare?»
Ma che giocare, voglio che ti fai vedere: «Chi sei? Fatti vedere!»
«No? Sei arrabbiato?»
Ma che diamine: è possibile che faccia finta di niente? Un alieno avrebbe capito subito, o almeno si sarebbe impegnato a farlo… Qui mi sembra di parlare con un morto: «Oh oh… Ma i tuoi sensi? Ci sono ancora? Hai presente quella cosa che entra da quei due strani fori che hai ai lati della tua testa? A volte è musica, altre volte rumore. Pensa che a volte sono anche parole che addirittura, se posizionate con delle specifiche regole, hanno un significato!»
«Che bel discorso mi hai fatto… bravo il mio tesorino…»
Ma siamo impazziti? Mi prende in giro? Se potessi scavalcare queste pareti alte, ecco, mi verrebbe voglia di saltargli addosso e strappargli gli orecchi con i denti! Ma… ce l’ho fatta, sono uscito dalla stanza imbottita… ma come ho fatto, forse le pareti non erano così altre… La vedo… chi è? Non la conosco, non l’ho mai vista… Mamma… dove sei?
«No! No! No! Così non va mica bene sai… Aspetta che ti prendo… sei un giocherellone… Me lo avevano detto al canile: “Vedrà che le piacerà: è vispo ma molto educato”. Dai vieni qui, che ti metto il guinzaglio».
Ma… Io… «Bau! Bau!»