Premio Racconti per Corti 2022 “Una foglia” di Paolo Megazzini
Categoria: Premio Racconti per Corti 2022Uscii da quella taverna con un forte senso di bruciore agli occhi; l’intenso fumo di tabacco che soffocava il locale aveva completamente impregnato i miei abiti. Infilando le mani in tasca trassi dai pantaloni gli ultimi spiccioli: quelli del resto.
La birra li era ottima e quella sera ad un tavolo con il vecchio Jorghe tra nostalgiche riflessioni se ne erano “andati ” parecchi boccali. Sapevo di essergli simpatico e quello era il solito posto per rivedersi.
L’aria si era fatta pungente, tirandomi su il bavero della giacca mi incamminai. A Sleithon le foglie degli alberi cadevano prima che in altri posti e il fatto era molto curioso perchè ciò combaciava perfettamente con il carattere dei suoi abitanti. Sleithon stava per morire forse molto prima di altri paesi della regione. Oltre l’abitato un cartello indicava con lettere consumate dal tempo la sua entrata, era piegato e rivolto un po’ verso il basso quasi ad indicare più nulla. Mi pervase un’aria di tristezza.
Non so quanto ancora mi diressi oltre ma dietro a me le poche luci accese del paese erano scomparse. Deviando di strada, verso i sentieri, avevo vagato nelle campagne e avvolto nei miei pensieri mi ero detto chissà quante cose. Avevo fiutato ancora una volta nel passato, lasciandomi poi addosso quella errata identità che a poco a poco traspariva con gli altri: quelli che si sentivano i patriarchi dell’inutile Sleithon. Ogni volta che mi scontravo con questo, svaniva il desiderio di ciò che potevo essere: ancora giovane.
Avrei voluto essere preso da un vento e portato oltre…a fecondare.
L’aperta campagna in cui mi trovavo e il buio della notte mi riportarono alla saggia decisione di rientrare. Presi dalla tasca interna della giacca il tabacco che infilai in parte nella pipa: l’accesi guardando il fumo denso prima di confondersi con la nebbia che avanzava. Tirai dense boccate nella notte afona.
I miei passi mi portarono a parecchie miglia di distanza, ma non mi sentivo per nulla stanco, anzi fu come essermi liberato da un peso e i passi li percepivo come nuovi…vuoti.
Mi prese paura, accellerai fino a correre con impeto, girandomi continuamente come un bambino terrorizzato dal buio. Caddi, ma mi rialzai di scatto e mi accorsi di essere inciampato nella radice di un albero, rinfilai la scarpa sfilata e cercai di controllarmi perchè trovavo assurdo il mio comportamento.
Ripresi a camminare voltandomi di tanto in tanto, come a guardare dentro all’oscurità. Cadendo persi la pipa e pensai allora di ritornare sul luogo per cercarla il mattino seguente. Ora… desideravo soltanto ritornare a casa.
Vi arrivai comunque dopo due ore di buon passo e le due uniche luci accese del paese mi furono di conforto; avvicinandomi ormai alla meta, pensai che ora la migliore medicina sarebbe stata una sana dormita. Mi stesi sul divano, quello ereditato dalla zia Marta, mi slacciai le scarpe e quella maledetta cintura dei pantaloni che mi comprimeva il ventre e tentai di rilassarmi ma per quanto cercassi di farlo ero chiaramente troppo eccitato, l’accaduto mi aveva notevolmente scosso.
Trascorse forse una mezz’ora o più, quando come attratto, mi alzai affacciandomi alla finestra. Mi invase una nuova sensazione: dovevo ritornare là…e subito.
Volsi lo sguardo all’orologio ad una nicchia del muro, erano passsate da poco le tre del mattino. Spalancai la porta d’ingresso e uscii senza la forza di arrestarmi… l’istinto era troppo forte.
L’umidità scesa pesantemente al suolo aveva bagnato l’erba, me ne accorsi perchè non avevo le scarpe. Ogni passo aveva il vuoto di prima e ogni cosa intorno a me cominciava a mutare. Il vento ora molto forte che aveva dissolto la nebbia indirizzava tutto verso un’unica corrente.
I miei capelli, le fronde degli alberi, le foglie convergevano in un’unica direzione…quando vi giunsi quella nube di vento mi prese a sé.
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Il racconto è l’inizio e la fine di un viaggio immaginario, da una nebbiosa regione dell’emisfero Nord ad una zona limitrofa fatale. Sono gli elementi naturali come la nebbia, il vento, le foglie, la luce a dissolvere nel suo “capitano” quella malinconica fermezza degli eventi che lo obbligano ad abbandonare i riti e le cerimonie della terra ferma della propria esistenza.
Questo frammento di storia e di minimo delirio che in un primo momento oscura il precario sole del protagonista è la traccia o il segno di quel mio percorso interiore che è agli archetipi del fare arte.
C’è un’atmosfera sospesa in questo testo. L’ambientazione, la gestualità, tutto fa intravedere qualcosa proprio come immagini attraverso la nebbia. Ci trovo ottimi spunti di prosa poetica come, ad esempio, nella splendida chiusa finale.
Suggestivo…