Premio Racconti nella Rete 2022 “Yoshita Sama” di Alessio Petrolino
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022Il signor Yoshita, 72 anni, di Shibuya, era seduto sul sedile posteriore in pelle della limousine bianca che era venuto a prenderlo alle 17:45 del 22 luglio. Yoshita Hiroshi, pur non essendo parente del famoso incisore, era riuscito ad accumulare una notevole fortuna con la vendita all’estero della pregiata carne di Köbe, nota in tutti i distretti per la sua struttura grassa e ben marezzata. Il signor Yoshita dovette interrompere il suo percorso scolastico a sedici anni per lavorare nella macelleria di famiglia, un’attività da lui sempre odiata. Anche adesso, che la sua azienda vantava più di un centinaio di succursali in tutto il mondo e miliardi di yen di profitto, il signor Yoshita odiava il suo lavoro al punto da essere diventato vegetariano. Informazione questa tenuta nascosta dal marketing per ovvi motivi. Nel tragitto dalla sua abitazione verso la località segreta il signor Yoshita tornò per un po’ ad essere Hiroshi, il ragazzino che rubava i korokke dalle bancarelle degli ambulanti assieme ad Ataru, il suo miglior amico. La sensazione durò pochi minuti, il tempo che l’auto si fermasse per lasciar passare le grandi e piccole folle attraverso il famoso incrocio di Shibuya. Quando la limousine si mosse il piccolo Hiroshi era tornato a essere, forse per l’ultima volta, il signor Yoshita. Alle 18:57 la limousine entrò in un buio tunnel stradale, apparentemente chiuso al traffico, e dopo diciotto minuti ne emerse e si fermò davanti a un piccolo prefabbricato bianco. Ad attenderlo un uomo sorridente, alto e azzimato, vestito completamente di bianco e con in mano una cartellina porpora. L’uomo fece un rapido inchino e si affrettò ad aprire la portiera, invitando il signor Yoshita a seguirlo. I due entrarono dentro il prefabbricato, superando la coppia di mercenari in tenuta d’assalto posti di guardia alla porta. Si accomodarono infine su uno dei due arredi della stanza, un divano anch’esso bianco.
- Spero abbia fatto un buon viaggio, Yoshita-Sama.
- Si, grazie, ho trovato l’auto molto comoda.
- Ne sono contento, per noi è di fondamentale importanza fornire ogni tipo di conforto ai nostri clienti. Purtroppo capirà che data la natura del nostro incontro non le possa offrire nient’altro che del tè. Quale gradisce?
- Gradirei del Genmaicha, se non le dispiace. È l’unico che non dà noie al mio vecchio cuore malato.
- Lo immaginavo.
L’uomo in bianco batté due volte le mani e una donna in abito tradizionale entrò nella stanza reggendo un vassoio con una sola tazza e una teiera fumante. Fece un profondo inchino, versò il tè e si allontanò, camminando all’indietro, e con un ultimo inchino uscì dalla stanza.
- Lei non mi fa compagnia?
- Oh no, Yoshita-Sama, tutto quello che vede qui è esclusivamente per lei.
Il signor Yoshita sorrise e bevve un sorso dalla tazza fumante. Trovò il sapore familiare, anche se con una marcata nota dolce che però non gli dispiacque.
- Spero che il tè sia di suo gradimento, è sottoposto a un particolare processo di tostatura che un noto produttore effettua esclusivamente per la nostra organizzazione.
Il signor Yoshita annuì, pur non trovando nulla di così eccezionale nella bevanda.
- A ogni modo, mi permetta di farle visionare la sua produzione postuma.
L’uomo poggiò la cartellina porpora sul tavolino di fronte a loro e ne estrasse con infinita cura un foglio di carta mino washi. Su di esso, con una sapiente scelta di colore e una eccezionale maestria nel tratto, vi era raffigurato il monte Fuji. Nel vederlo il signor Yoshita ne fu molto impressionato.
- Posso… posso vederlo?
- Ma certamente, è opera sua! – disse l’uomo in bianco mentre porgeva con ancor più delicatezza il disegno al signor Yoshita.
Il signor Yoshita sospirò mentre ammirava il capolavoro tra le sue mani.
- È bellissimo, sono molto colpito.
- Grazie mille, Yoshita-Sama. Deve sapere che è l’opera di non uno ma di tre artisti differenti, sia per ottenere un risultato eccellente che per mantenere la necessaria discrezione.
Quindi l’uomo tirò fuori dalla tasca della giacca una penna stilografica e la porse con deferenza al signor Yoshita che la afferrò quasi in automatico.
- Devo firmarla, giusto?
- Esattamente Yoshita-Sama. Come avrà sicuramente notato io, come tutte le persone che hanno avuto a che fare con le sue opere postume, indosso dei guanti per fare in modo che le prime impronte digitali a poggiarsi sulle sue composizioni artistiche siano proprio le sue. Inoltre gli inchiostri, così come la carta che ha in mano, sono stati prodotti alla fine degli anni ’50 per non correre rischi in caso di un’analisi di laboratorio.
Il signor Yoshita osservò la stampa con ancor più stupore, come se avesse in mano una reliquia. Poi la poggiò sul tavolo e appose la sua firma in alto a sinistra. Quindi la restituì all’uomo che la infilò in una busta di carta trasparente. Nei minuti successivi il signor Yoshita firmò una decina di stampe tra cui un paesaggio di Hokkaido, il ritratto di una giovane geisha e la raffigurazione della famiglia imperiale nel 1950. Quando finì fece per chiudere la penna ma l’uomo lo fermò con gentilezza.
- Aspetti Yoshita-Sama, c’è dell’altro.
Dalla cartellina porpora estrasse un mazzetto di fogli scritti a mano con una grafia elegantissima e li porse con deferenza al signor Yoshita.
- Vede Yoshita-Sama, ho pensato che il suo nome potesse essere reso ancora più degno e mi sono preso la libertà di far preparare delle composizioni da alcuni dei più bravi poeti della sottoprefettura di Ishikari. Mi farebbe l’onore di leggerne qualcuno? La prego.
Il signor Yoshita prese i fogli, cominciò a leggere alcuni haiku e ne fu genuinamente sorpreso. Uno di essi lo trovò particolarmente appropriato:
Nell’ombra svanisci
Nel buio, immortale
Di luce t’illumini
Una lacrima discreta si fece strada dall’occhio sinistro del signor Yoshita mentre, con altrettanta discrezione, l’uomo in bianco chinò la testa mentre offriva un fazzoletto di seta candida. Trascorsero dei minuti di assoluto silenzio, appena punteggiati dal rumore dello scorrere delle pagine. Il signor Yoshita lesse buona parte dei componimenti poi li porse all’uomo che li inserì in un’altra busta di carta trasparente. Passò qualche altro minuto prima che il signor Yoshita parlasse.
- Le faccio una confidenza, forse l’ultima, e lei mi sembra la persona adatta. Da giovane, avrò avuto quindici anni, mi innamorai di una ragazza della mia scuola. Poiché ero molto bravo a disegnare le preparavo delle chine che le facevo trovare sotto il banco. Un giorno le scrissi una poesia e lei la apprezzò così tanto che pochi giorni dopo ci incontrammo e passammo il pomeriggio assieme. Qualche tempo dopo dovetti lasciare la scuola per lavorare nella macelleria di mio padre. Non la rividi più.
L’uomo annuì, come se conoscesse la storia.
- Ecco, vede, ho sempre pensato di fare l’artista, anche quando lavoravo in macelleria sognavo una vita di bellezza. Per questo non voglio essere ricordato come Yoshita Hiroshi il macellaio. Voglio essere ricordato come Yoshita Hiroshi l’artista. Mi capisce?
L’uomo annuì di nuovo, poi si fece serio.
- Yoshita-Sama, temo sia giunto il momento.
Il signor Yoshita si scosse, come appena svegliatosi da un sonno profondo. Improvvisamente si ricordò del motivo per cui era li.
- Yoshita-Sama, si sente bene? Vuole dell’altro tè?
- No, va bene così. Mi scusi ma sono rimasto molto impressionato dalla qualità del vostro lavoro.
- Del suo lavoro, intende, Yoshita-Sama. Del suo lavoro.
L’uomo rimase per un po’ a fissarlo poi, estrasse dalla cartellina porpora dei fogli stampati e li porse al signor Yoshita.
- Ecco Yoshita-Sama. Firmi in basso sulla linea tratteggiata di ogni pagina.
- È la cessione, giusto?
- Si Yoshita-Sama. Come le era stato anticipato, con questo accordo lei cede alla mia organizzazione tutto il restante pacchetto azionario della sua azienda, al netto del venticinque percento che ci aveva accordato come anticipo, come saldo per il lavoro da lei richiesto.
Il signor Yoshita non lo lesse neanche, firmò in silenzio e riconsegnò i fogli.
- Ora può restituirmi la penna, Yoshita-Sama.
Il signor Yoshita si prese un momento per osservare la stilografica e pensò a quante persone prima di lui, con quella stessa penna, forse su quello stesso divano, avessero firmato poesie, quadri, libri, spartiti e chissà cos’altro. Avvitò il tappo con rispetto e la porse all’uomo.
- Grazie Yoshita-Sama. Vedrà, nessuno si dimenticherà mai di lei.
Quindi batté le mani tre volte e da una porta entrarono due persone in camice bianco, probabilmente un medico e un infermiera pensò il signor Yoshita. L’uomo in bianco scattò in piedi.
– Yoshita-Sama! Se vuole avere la cortesia di seguirmi.
Il signor Yoshita fu preso da una sorta di smarrimento e strinse forte il bracciolo con entrambe le mani, come se volesse ancorarvisi. L’uomo in bianco se ne accorse.
- Yoshita-Sama, la prego, è ora. Tra poco potremmo avere problemi nel completare il lavoro.
- Si, certo mi dia un attimo. È successo tutto così in fretta…
- Capisco Yoshita-Sama, ma si ricordi che dopo il suo ultimo viaggio dobbiamo riportarla nella sua abitazione e sistemarla sul letto. Questa è un’operazione che va compiuta in tempi strettissimi.
Il signor Yoshita si accorse di stare sudando freddo e si rivolse all’uomo quasi balbettando.
- Si, ecco, capisco… Ma, ecco, io… vorrei finire il tè, se non le dispiace.
Per la prima volta l’uomo in bianco cambiò espressione e si rivolse con severità.
- Yoshita-Sama, gli accordi erano chiari. Lei stesso ha preteso che la sua salma fosse ritrovata dalla sua affezionata domestica. Le stiamo dando l’occasione di essere ricordato per sempre, le abbiamo reso tangibile l’immortalità, lo capisce questo?
- Si, certo…
- Sa che la capsula del tempo che lei ha scelto è stata sotterrata nel 1962? Abbiamo dovuto scavare un tunnel sotterraneo per estrarla e stasera stessa sarà rimessa al suo posto, senza che nessuno se ne accorga. Tra un anno, quando sarà aperta, verranno ritrovate le sue opere e lei sarà annoverato come uno dei più grandi artisti del ‘900. Di più, come un genio! Capisce Yoshita-Sama?
Il signor Yoshita afferrò la tazza del tè con entrambe le mani tremanti e la portò alla bocca. Bevve un sorso di quello che gli sembrò il tè più prezioso mai assaggiato, poi si rivolse all’uomo.
- Vi ringrazio immensamente per il lavoro svolto ma, ecco, io… vorrei avere solo qualche minuto per… per salutare un amico! Si, ho da fare un’ultima telefonata! Non si nega una telefonata a un uomo che sta per morire, vero?
L’uomo in bianco fissò per qualche istante il signor Yoshita senza parlare, poi fece un cenno all’uomo e alla donna in camice che si allontanarono. Quindi si avvicinò al signor Yoshita e si sedette accanto a lui.
- Vede Hiroshi… posso chiamarla Hiroshi, vero?
Il signor Yoshita annuì mentre beveva l’ultima goccia di tè della tazza vuota.
- Vede Hiroshi, mi colpiscono sempre le vostre motivazioni. Prendiamo lei, ad esempio. Lei è straordinariamente ricco e anche una persona gentile, quasi infantile nei comportamenti. È arrivato alla sua rispettabile età senza aver mai trovato il tempo per dedicarsi all’arte. Eppure mi ha raccontato una storia struggente di un amore perduto, come se con tutti i soldi che ha non avesse potuto far cercare la ragazza per incontrarla di nuovo. Vede Hiroshi, in realtà trovo profondamente ingiusto che gente come lei abbia così tanto potere e soldi.
Il signor Yoshita tradì un leggerissimo fastidio, come se avesse più difficoltà del solito a respirare. L’uomo in bianco continuò.
- Adesso le voglio fare io una confessione: le sembrerà strano ma in tutti gli anni di lavoro per la mia organizzazione non ci siamo mai serviti di un medico per terminare il viaggio dei nostri clienti. Curioso, vero? Vuole sapere cosa c’è nella stanza affianco a questa?
Il signor Yoshita annuì timidamente.
- Nulla, a parte un fornello per riscaldare il tè.
Il signor Yoshita fissò l’uomo senza capire.
- In tutti questi anni ho imparato che anche se si è scesi a compromessi, si è imbrogliato, rubato e, la stupirebbe sapere quanto spesso, si è ucciso per ottenere un ragguardevole patrimonio economico, nessuno affronta la morte con serenità. All’inizio questo comportamento ha creato notevoli problemi, poi ho suggerito una soluzione.
Il signor Yoshita sentì improvvisamente il suo cuore malato pulsare velocemente, forse in preda al panico.
- Vuole sapere qual’è?
Il signor Yoshita spalancò lentamente gli occhi.
- La soluzione a un grosso problema è quasi sempre molto semplice: in questo caso, quando ci siede su questo divano, si è già cominciato il viaggio. A proposito, ha sentito quella marcata nota dolce nel suo tè?
Il signor Yoshita sbatté le palpebre più volte, nel tentativo di tenere aperti gli occhi. Il cuore batteva all’impazzata e nel contempo non riusciva quasi più a muoversi.
- Vede, mia madre era cinese e io da bambino ho vissuto in Cina. Dove sono cresciuto non era difficile imbattersi in una pianta bella e mortale, che fin da subito ci hanno insegnato a evitare: la Digitalis Purpurea. Non è un bellissimo nome? Se ingerita provoca effetti simili al sovradosaggio del farmaco che lei usa per curare la sua insufficienza cardiaca. Non lo trova poetico? La sua cura sarà anche il motivo per cui passerà alla storia. Hiroshi? Mi sta ascoltando?
Il signor Yoshita Hiroshi lasciò cadere la tazza sul divano e si accasciò sull’uomo in bianco che, dopo averne constatato la morte, con disinvoltura lo spostò e si alzò. Batté tre volte le mani e l’uomo e la donna in camice rientrarono per rimovere il corpo.
- Riportatelo a casa, spogliatelo e sistematelo a letto. Fate in fretta a tornare, tra due ore abbiamo appuntamento con un industriale del cemento che vuole passare alla storia come il Bach giapponese.
Mentre i due si allontanavano con il corpo, l’uomo in bianco rimise le buste di carta trasparente nella cartellina porpora e nel farlo si soffermò su uno dei componimenti del defunto signor Yoshita, lo estrasse con cura dalla busta e lo lesse:
Dalla vita sei nato
Di morte sei vissuto
Di vita sei morto.
Molto appropriato, pensò l’uomo.