Premio Racconti nella Rete 2011 “Margherita e l’inverno” di Nerina Fiumanò
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011E un giorno a Milano arrivò l’inverno. Un inverno rigido come non se ne vedevano da anni. Un inverno talmente gelido che nessuno usciva più di casa se non per andare al lavoro o per le urgenze domestiche.
Tutto era congelato e grigio e la natura sembrava morta.
Le strade erano impraticabili per la neve e pericolose da percorrere.
Il vento soffiava tagliente e spazzava via ogni cosa. Qualche temerario passante si arrischiava fuori ma dopo pochi minuti era costretto a rintanarsi in qualche posto riparato: un bar, un portone, un negozio o casa sua. La nebbia e le intemperie erano ormai l’aspetto ordinario del cielo milanese. Qualche rara nottata di quiete regalava la visione della madonnina illuminata lassù in cima al duomo. Ma nulla di più.
E più passavano i mesi e più la situazione peggiorava invece di migliorare. Più passavano i mesi più ci si rendeva conto che l’inverno non sarebbe finito. Mai più. E che a Milano era cambiato il tempo. Inesorabilmente e drammaticamente. Milano era ormai destinata a vivere per sempre così, nel gelo di un inverno senza fine, nell’impossibilità oggettiva e pratica di qualsiasi spostamento esterno. Più le condizioni climatiche peggioravano, più era evidente che la città stava assumendo nuove dinamiche e una nuova organizzazione sociale. Tutto si svolgeva sempre più all’interno di ambienti chiusi e riscaldati: si lavorava pressoché tutti da casa dato che la tecnologia lo permetteva e dato che non esisteva più il “contatto col pubblico”.
I negozi e i supermercati non esistevano più. Al loro posto un unico enorme magazzino per gli approvvigionamenti che funzionava solo per corrispondenza.
Le scorte venivano recapitate da grossi container che arrivavano dai posti caldi e divise in pacchi a seconda delle richieste di ciascuna zona o quartiere della città. Le consegne erano state organizzate su larga scala in modo tale da non dover stare all’aria aperta per troppo tempo. I pochi lavoratori che uscivano di casa per lavorare erano proprio gli addetti ai magazzini rifornimento-merci e gli spedizionieri che facevano una vita infernale, su turni massacranti.
Le scuole erano state chiuse e i bambini venivano istruiti da video formativi che venivano proiettati in casa a orari stabiliti sulle antenne televisive gestite dal Comune. I compiti venivano assegnati e ritirati via posta elettronica dagli insegnanti.
I musei, i ristoranti, i cinema, i locali notturni, le poste, le banche, gli uffici pubblici, le biblioteche, i parcheggi…tutto inesorabilmente chiuso. Le auto abbandonate in strada erano ricoperte da uno strato di ghiaccio che sembrava marmo, inamovibili. Quelle che giacevano da mesi nei garage o nei box, stavano pian piano marcendo.
Gli unici mezzi di trasporto erano dei rari e preziosi “gatti delle nevi” che venivano usati per gli spostamenti indispensabili, come per l’arrivo dei lavoratori al magazzino centrale (fondamentale per qualsiasi attività e per la distribuzione del cibo), come per la distribuzione dei beni di sopravvivenza (una volta alla settimana) e come per le urgenze mediche. Alcuni gatti delle nevi erano stati predisposti per l’esclusivo utilizzo da parte degli ospedali e dei Pronto Soccorso e funzionavano come ambulanze. Gli ospedali erano sempre pieni e i medici vi sostavano dentro per mesi interi senza mai rincasare.
Da Milano non si poteva né uscire né entrare. Tutte le vie di comunicazione con il resto del paese e del mondo erano interrotte. Le strade e le autostrade assolutamente impraticabili. Gli aeroporti chiusi. Le ferrovie inutilizzabili; i binari erano ricoperti di neve e ghiaccio.
Il resto del mondo proseguiva normalmente nelle proprie attività e nei propri cambiamenti climatici. Solo Milano era stata toccata da questa terribile sciagura e non se ne conosceva con certezza il motivo: pareva fossero state una serie di concause accidentali, ma in qualche maniera c’entrava il livello di inquinamento raggiunto dalla città negli ultimi tempi.
In ogni caso il resto del mondo stava a guardare e documentava la sciagura di questa città per cui era impossibile intervenire o essere d’aiuto dall’esterno.
Chi si era trovato lontano dai propri parenti nel periodo di “glaciazione” era rimasto bloccato per sempre al di fuori della cerchia delle mura cittadine e viveva esule in qualche altro posto nella speranza di poter un giorno tornare ad abbracciare i propri cari.
Il giorno in cui la glaciazione ebbe inizio, un lontano 31 ottobre 2050, Margherita era stata data alla luce. Era nata mentre cadevano i primi fiocchi di neve e non aveva mai visto il sole in vita sua. Era cresciuta in una grande casa, un enorme palazzo di edilizia popolare in periferia, con la madre e la sorella di poco più grande. Il padre non lo aveva mai conosciuto ma sapeva che non abitava lontano da lì. La madre faceva la portinaia dello stabile e aveva accesso a tutte le zone comuni del palazzo. Vivevano nello stabile almeno 150 famiglie.
Margherita aveva una fervida fantasia e una immensa curiosità. Continuava a fare domande alla madre e alla sorella e voleva sapere come era la vita prima della glaciazione. Aveva capito che esisteva una cosa chiamata “natura”, aveva visto in televisione dei fiori, degli alberi, dei prati e persino il sole…e sognava, come tutti i bambini.
Mentre Milano congelava Margherita cresceva, chiusa dentro a quel palazzo in cui si era creata una vera e propria comunità. La gente viveva insieme e condivideva questa prigionia forzata tentando di superare i momenti difficili grazie alla solidarietà e alla vicinanza degli altri. Certo gli equilibri non erano facili. C’erano persone di ogni razza e colore, di ogni età e religione. C’erano donne e bambini, c’erano maschi adulti e persone anziane. C’erano cinesi e arabi, musulmani e cattolici, meridionali e slavi…Non era facile andare d’accordo. A volte capitavano feroci litigi per un nonnulla, a volte c’erano grandi feste e giornate di riposo. Le riunioni condominiali erano gli eventi più attesi e partecipati. Ma anche i semplici pomeriggi di ritrovo fra ragazzi nelle sale comuni erano momenti di vita irrinunciabili.
Margherita stava dunque crescendo lì, in un mondo fatto di scale e ascensori, di corridoi, porte e stanze in cui si assiepavano almeno venti persone alla volta.
Nonostante il suo nome Margherita non aveva mai visto un fiore.
Un giorno Margherita trovò in un cassetto dimenticato di casa una scatola di pastelli di cera. Li guardò e riguardò. Aveva sei anni ormai e decise di cominciare a dare un senso alla sua vita.
Margherita cominciò a disegnare. Disegnava fiori e alberi e prati e monti e il sole, ovunque. Margherita cominciò a disegnare sui muri della propria cameretta, poi su quelli del salotto di casa, poi fuori sui muri del corridoio e nell’androne degli ascensori…Passarono gli anni Margherita cresceva e il palazzo si riempiva di colore e di foreste e prati e boschi.Mentre Milano congelava un palazzo di periferia fioriva…
Tutti nel palazzo amavano Margherita, e amavano ancor di più il suo meraviglioso lavoro. I muri, gli antri, le porte…tutto si stava trasformando in un simulacro di natura. Tutti chiedevano a Margherita di riempire il loro appartamento dei suoi disegni. Quelle pareti che erano state dei confini invalicabili, i muri di una vera e propria prigione, stavano diventando uno spettacolo dell’arte e della fantasia. La vita scoppiava lì dentro.
La gente passava nei corridoi e ricordava il mondo, com’era stato e come era ancora al di là della coltre gelata. La gente davanti a quei fiori dipinti piangeva, sognava, gioiva e nutriva la speranza.
Finché un giorno il cielo gettò l’ultimo fiocco di neve. E l’inverno finì. Miracolosamente. Inspiegabilmente.
Margherita alzò gli occhi e vide un raggio di sole per la prima volta in vita sua. Le cadde il pastello a cera dalle mani e corse fuori. Per la prima volta corse fuori. Aveva 12 anni.
Il sole su Milano. Di nuovo. E lì nel bel mezzo di un quartiere di periferia che stava disgelando…un palazzo pieno di fiori…
Molto carino…e tocca anche alcune problematiche attuali!
Se ti va leggi il mio e esprimi un’opinione: Benvenuta Sophie
Originale, non scontato. A mio parere, quando si scrive una storia che sia essa un racconto o un romanzo, la peggior cosa (dopo la mancanza di stile e di una storia) è cadere nella banalità. Nel tuo racconto la banalità non ha dimora.
Un racconto che invita a sperare sempre in un domani migliore attraverso la virtù della resistenza. Margherita, in tempi difficili, aiuta gli altri a non dimenticare. Quando i giorni bui terminano ciascuno la ringrazierà perché ha saputo tenere viva la speranza. Un ottimismo che mi piace.