Premio Racconti nella Rete 2021 “Una giornata no” di Paolo Di Fino
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Mirko non si sveglia. O meglio, è sveglio, ma non intende alzarsi. Per nulla al mondo. E non è come le altre volte. Certo che gli è già successo di volersene restare a poltrire sotto le coperte. Soprattutto dopo qualche sbronza colossale. Però, stavolta è diverso. Non è ubriaco. Affatto. Oggi non ha proprio forza, né voglia, di affrontare il mondo.
Nella penombra del suo monolocale, Mirko tira su con il naso. Come una larva, si avvolge nel bozzolo che è il suo soffice piumone di Batman. Sfrega la guancia sul cuscino, la federa è ancora umida. Cazzo quanto ho pianto, si rimprovera, e, mentre sbuffa, spinge via il cuscino. Da uno spiraglio tra le pieghe del piumone, spia la luce che filtra dalle persiane. È del tipo più luminoso. L’alba. A quest’ora i raggi del sole sono bassi, entrano diretti nella stanza. Con un braccio scosta il mucchio di coperta che ha sulla testa. In cambio dell’aria calda e soffocante che ha sotto al piumone, gli arriva forte addosso l’aria viziata del monolocale. Con uno sforzo e un mezzo lamento, si tira su, e poggia la schiena alla testiera consunta del letto.
Con lo sguardo, Mirko segue i raggi più delineati, attraversano tutta la stanza, e colpiscono in pieno il poster del suo film preferito: Un giorno di ordinaria follia. Lui adora quella storia. Un insolito e spettacolare Michael Douglas che, dopo l’ennesimo rospo ingoiato, alla fine sbrocca con il mondo intero, decide di dire basta e di prendersi la sua meritata rivincita. Più o meno. Dovrei farlo pure io, si dice Mirko accendendosi l’ultima Camel del pacchetto, soprattutto dopo ’sta nottataccia.
Ieri notte. La vicenda di ieri notte è stata solo l’ultima di una sfilza di drammi collezionati nel tempo. Mirko Benzi non è il ragazzo della porta accanto, ma quello con una vita di sfighe più o meno grandi. A cinque anni, sua madre non voleva più né lui, né suo padre. Così ha deciso di andarsene dal quartiere assieme all’amichetto di turno. Le conseguenze? Un inevitabile e brusco cambio di quartiere, amici, e lavoro del padre per evitare le chiacchiere. Mirko che, a sei anni, si ritrova tutto il giorno a scuola dalle suore, perché il padre deve lavorare il doppio. Per svariati motivi, poi, passa l’intera adolescenza a cambiare scuole e amici. E, crescendo, fa lo stesso con i lavori e le ragazze. Fino a Laura, la sua ragazza storica. Otto anni a credere che finalmente la sfiga l’ha lasciato in pace.
Fino a un paio di settimane fa, quando la iella ha deciso di ripresentarsi con gli interessi. Prima suo padre che, manco da un mese in pensione, muore d’infarto. Poi il principale del negozio che lo chiama per dirgli che, con questa cazzo di crisi, deve licenziare una decina di loro. E neanche il tempo di dirsi che almeno gli resta Laura, che lei la notte scorsa lo lascia. Be’, in realtà non l’ha lasciato. Mirko l’ha solo trovata a letto con il suo migliore amico, mentre lui era a farsi il culo consegnando pizze. Un bel quadretto, no? Perciò non ha fretta d’affrontare un altro giorno.
Dopo avergli bruciato per bene in gola, Mirko butta fuori il fumo dalla bocca. Fa sì che si mischi ai raggi sopra la sua testa. Nel palato arido gli resta un retrogusto amaro. Spegne la cicca nel posacenere sul comodino. E resta lì a pensare. Una volta sognava di svegliarsi all’alba, di dare una svolta a questa cazzo di routine. Adesso, se non fosse che abita in un seminterrato, vorrebbe soltanto fare un volo dalla finestra più alta del palazzo. Anzi palazzina. Quattro piani. Che, con la sfiga che ha, il rischio certo sarebbe di non riuscire manco ad ammazzarsi, ma di restare un vegetale.
Eppure, ragiona fra sé mentre caccia fuori i piedi dal letto e li poggia a terra, ci sono stati pure bei momenti. Perso nei suoi pensieri, se ne frega del pavimento che pare una lastra di ghiaccio. Che favola il vecchio quartiere. Insieme, con papà, eravamo tosti. Poi dalle suore mi volevano tutti bene, gli altri ragazzini mi adoravano. E anche per quelli del liceo ero uno giusto, uno da copiare.
Con un mezzo dondolio Mirko si alza. Subito adocchia il suo fisico tisico nello specchio che ha di fronte. «E allora che cazzo mi è successo?» si chiede. Poi si gratta il cespuglio nero, incolto, che ha in testa. Con un gesto automatico, s’infila una delle maglie stropicciate che formano una montagnola sulla sedia accanto allo specchio. Il verde brillante della maglia gli fa sgranare gli occhi appiccicaticci. È quella di Hulk, la sua preferita. Almeno per le cazzate un briciolo di fortuna gli è rimasta.
Seduto al tavolino, con il thermos di caffè del giorno prima e le rimanenze della pizzeria dove lavora, Mirko improvvisa una sorta di colazione. Nel frattempo, la testa ancora gli frulla. Ero uno tosto. Magari dovrei fare come Douglas. Il caffè è più amaro della sigaretta, a stento gli scende in gola. Sei anni, che età! E che spettacolo il vecchio quartiere. Era bello pure dalle suore. Addenta un trancio di margherita, la mozzarella raggrinzita pare plastica. Però, da quanto sognavo di svegliarmi all’alba e avere un giorno tutto per me. Nonostante la qualità, una specie di fame chimica gli fa divorare senza accorgersene l’equivalente di due pizze. Che figata il liceo, le ragazze, gli amici. Quanto vorrei rivivere tutto, tornare indietro nel tempo.
«O almeno rivedere tutto» bofonchia, ancora preso a masticare un pezzo di crosta bruciacchiata. Di colpo scatta dalla sedia, come scosso da una scarica d’adrenalina. Si ritrova con i piedi ben piantati a terra, il braccio steso, e la mano con il thermos verso il cielo. Una delle mille pose che ha visto spesso nei suoi fumetti. Certo non in boxer e maglietta, e mai fatta da uno di due metri che pesa una sessantina di chili. Si riguarda nello specchio, sa che è il massimo del ridicolo. Tuttavia, nei suoi occhi scorge qualcosa: l’energia giusta, quella positività che gli ha permesso di reagire sempre. Sa che sarà così pure stavolta.
«Eccola la svolta!» grida, e lascia il thermos sul tavolino, in mezzo a tutto il caos che vegeta lì da giorni. Ingoia l’ultimo boccone. «Daje Mirko, che si riparte!» Di corsa raccoglie da terra i jeans strappati che indossa sempre. Saltellando come un pugile suonato, infila una gamba dopo l’altra. «E visto che mi hanno mollato tutti, si riparte da zero!» Poi, sempre come un tarantolato, indossa al volo le sue Nike multicolore senza lacci. Si ammira un’ultima volta nello specchio, e si dice che non è mai stato così tosto. «Non vedo l’ora di farmi un giro nel quartiere. E dalle suore. Chissà chi è ancora viva? E poi al liceo, magari becco pure qualcuno di quelli che abitavano là dietro!»
Fatti a due a due i gradini che danno direttamente sul parcheggio, Mirko, euforico, sale sulla sua Smart nuova di zecca. L’ultima botta di fortuna prima del cataclisma. L’ultimo regalo del padre, presa con la liquidazione per festeggiare assieme la pensione. Dentro profuma ancora di concessionaria. E lui deve ancora abituarsi al cambio automatico. Parte sgommando. Forse non è male che sia finita con Laura, tenta di convincersi, chissà quante ne rimorchio con questa!
Due ore di traffico sul Raccordo Anulare, e Mirko arriva nel vecchio quartiere. Non vuole usare il navigatore, vuole riconoscerli da solo i posti della sua infanzia. Che ricordi! Eppure, procedendo a passo d’uomo, si volta a destra a sinistra, e riflette che lo ricordava diverso, più bello. Scrolla la testa. Oggi non vuole farsi condizionare dalle negatività. Oggi devo essere super positivo. È il giorno della svolta, si ripete.
Gira a destra, e di colpo ha un flash. Riconosce il viale alberato, i tre palazzoni. Anche se ricordava dei colori sgargianti. Adesso sono grigi, e sembrano cadere a pezzi. Come le persone che ci abitano. Passa di fianco al parco giochi dove i suoi lo portavano. Ci stavano le ore, lo scivolo color puffo, l’altalena su cui il padre lo spingeva per toccare il cielo. Se lo ricordava enorme. Invece è minuscolo. E ora, di quei giochi, restano solo i pali arrugginiti. Servono a quelli che, lui intuisce subito, sono due spacciatori per poggiare la schiena. Mirko distoglie lo sguardo e prosegue oltre, fino al palazzo in fondo alla strada chiusa, dov’era casa sua.
Parcheggia l’auto proprio di fronte al cortiletto che dà sul vecchio portone di vetro e ferro. Da piccolo gli sembrava pesasse una tonnellata. Scende, e, ignorando gli sguardi curiosi di chi incrocia, va verso la portineria. Di sicuro Alda, la vecchia portinaia sarà morta, però lui spera che Giovanna, la figlia, ne abbia preso il posto. Così diceva sempre da bambina. Invece no. La fatiscente guardiola è tutta arrugginita, pare abbandonata da secoli.
Tuttavia, Mirko non si scoraggia. Controlla i nomi sui citofoni, ma nessuno gli stuzzica la memoria. Poi, pure se sa che è una pazzia, decide di salire lo stesso. Il portone sta messo peggio della portineria, e quando lo spinge scopre che non pesa una tonnellata. Invasato entra. Si ripete che vuole solo rivedere casa sua, ricordarsi di quando erano una famiglia felice. In pochi secondi sale le due rampe di scale. O la va, o la spacca! E alle brutte ho sempre le suore e il liceo da vedere.
Senza riprendere fiato o pensare a cosa dirà ai nuovi proprietari per entrare, suona il campanello. Passa un intero minuto in cui Mirko respira con le mani sui fianchi, prima che qualcuno apra la porta. L’accenno di sorriso sulle sue labbra si spegne appena la porta si spalanca. Davanti gli si piazza una trans, di chiare origini brasiliane, con indosso solo una vestaglia di raso. È alta quanto Mirko, però ha il triplo dei muscoli.
«Ciao bellezza, ora sono occupata. Ma se ripassi più tardi sono tutta tua» gli fa con una voce da baritono. Mirko non sa che rispondere. Accenna un «No, grazie, ho sbagliato piano.» Mentre ridiscende le scale sconsolato, nemmeno sente l’altra che gli grida: «Peccato, amore. Se ci ripensi sono qua.» A Mirko tornano in mente tante cose che aveva dimenticato. Suo padre che borbottava che il quartiere stava cambiando, peggiorando, che dovevano sbrigarsi ad andarsene. Le maledizioni a sua madre che li aveva mollati in quel tugurio.
Va bene Mirke’, non è successo nulla, non cambia un cazzo, pensa mentre riapre il portone. Ci sono sempre le suore, il liceo. Io so’ tosto. E questo dev’essere il giorno della svolta!
Non fa in tempo a pensarlo, che Mirko comprende che non sarà così. Di colpo si ricorda una frase storica del padre: «Quando diluvia, bello di papà, fatte i cazzi tua e resta nascosto. Una giornata no, è no. Punto.»
«Avevi ragione pa’» annuisce Mirko. Intanto sente l’eco delle risate che arrivano dal parco alla sua destra, e fissa lo spazio vuoto davanti a sé, lì dove fino a cinque minuti prima c’era la sua Smart nuova di zecca.
Sei sempre una sorpresa ! Grande paolo
Un racconto scritto bene e che mi è piaciuto (^_^)
Grazie mille Michele e Leonardo per i vostri commenti, contento vi sia piaciuto.
Complimenti Paolo! Bel racconto. In bocca al lupo per questo bellissimo percorso letterario !