Premio Racconti nella Rete 2021 “Gli angoli dei palazzi” di Michele Capitani
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Ma come si fa a arrivare preparati a quell’eccezionale evento che è l’incontro fortuito con la persona con cui si era vissuto un forte e duraturo amore?
«Se la incontrassi dopo l’angolo di quel palazzo, come reagiremmo, io e lei? Sarebbe un caso, e al caso è impossibile dare un appuntamento, ormai lo so, il Caso non arriva quasi mai puntuale: o è in ritardo, o in anticipo.
Mi posso illudere quanto voglio, di avere riordinato almeno i pensieri e gli argomenti, ma il cuore me lo sento sempre fermo in questa strana terra di nessuno, in un mezzo e mezzo, dove la familiarità con questi palazzi e queste vie non mi giova proprio a nulla. Cammino e cammino, ma sto sempre lì»
Questo pensava Marco, quella mattina, come sempre da qualche mese, dopo che si erano lasciati. Pensava anche a tutta l’immensa letteratura su quell’evento che un giorno sapeva che sarebbe giunto, cioè quando si sarebbe trovato lei di fronte, ma certo tutti i libri che aveva letto valevano poco, valevano zero. Quella che gli premeva e compulsava spesso era la sua letteratura interiore, un’enciclopedia nella mente, grandiosa seppure sconclusionata, composta dai diari immateriali che aveva scritto verso sé stesso dopo che si erano lasciati; le consolazioni, le narrazioni, gli autoconvincimenti: un’immaginaria pila di carta squadernata fra il cuore e la memoria, foreste di pensieri di cui le parole che a volte si era lasciato uscire per materializzarsi confidenze ad amici, così da sentirsi meno solo, ne erano solo una poca parte.
E che comunque non gli cancellavano quell’immagine di lei, sempre la stessa, che ogni giorno gli tornava a galla nel cuore: lei di spalle, che lentamente si inabissava per sempre giù per le scale…
E che comuque non sapevano rispondergli alla domanda: chi è che dimentica prima: chi lascia, o chi viene lasciato?
*****
Eppure, nel momento in cui, scantonato un angolo d’un palazzo, davvero si trovò piazzato dalla sorte di fronte a lei, gli sembrò come di essersi svegliato d’improvviso, capì di essere stato portato fino al punto esattamente all’opposto dell’universo, rispetto a dove si trovava tre secondi prima: prima andava per le vie del mondo senza di lei, a lei cominciava a non pensare più per tutte le ore del giorno, finalmente, perché iniziava ad essere trascorso del tempo, o (ancora più ai confini del tempo) perché la testa era altrove fra le cento persone e le mille minime incombenze del giorno qualunque.
E invece adesso: l’adesso, io e te qui, quando c’è di nuovo lei davanti, cioè i passati anni felici della tua vita materializzatisi d’incanto sul marciapiede, nelle forme di quella persona. La tangibilità di quanto sia impossibile fuggirsene via dalla propria storia.
Tutto e nulla cambiato: lei indossa una sciarpa che non le conosceva, però ha la stessa ciocca di capelli dondolante lì di lato, sulle rughette del suo ridere.
Quando ridevate.
Rieccotela qui, l’acqua a cui attingevate, sorgente e foce di ogni emozione, anche se ora il livello è scemato, e sembrate una fontana singhiozzante e siccitosa per l’inutilizzo: prima tutto scorreva via leggero, gli impegni, i problemi, le gite, le notti abbracciati, mentre ora le domande sono scarne e lente:
« Cosa fai… come stai…»
Però una cosa ancora li unisce, lo sentono: non interessano davvero le risposte all’impacciato questionario che si rimbalzano: sanno invece che sono stanchi di evitarsi, intenzionalmente o meno, e sono stanchi di silenzi, dunque si vedono ambedue frenati dal congedarsi frettolosamente e ripartire verso i loro universi paralleli di un minuto prima.
Non riescono a muoversi da lì.
Il Caso in realtà non li ha mai abbandonati: lui adesso li ha fatti incontrare, ma era anche stato sempre lui a farli solo sfiorare, inconsapevoli, a distanza di un minuto alla stessa cassa di supermercato, a incrociarsi scivolando rapidi e chini sotto la pioggia su uno stesso marciapiede, senza vedersi, o ad alternarsi nel medesimo parcheggio della posta, a cinque minuti di scarto l’uno dall’altra.
Gli amanti che non combaciano, il Caso li tiene come i due orologi opposti sul campanile, con le lancette che non riescono mai né a vedersi né a sovrapporsi.
Ma il Caso fa, il Caso disfa, tesse, annoda, arrotola o taglia, non potendo però evitare che resti, in loro due, una cognizione tutta loro, che di sé stessi conservano, una molecola non scissa, anzi salda, che resta anche per mesi, o anni, come nebulizzata nell’aria, e dunque invisibile ma presente, e sempre lì lì per riconcretarsi e condensarsi, gocciolare, nutrire.
Insomma, forse, rivivere.
*****
«Dove vivi ora?»
«Nella casa, quella lassù. Te la ricordi?»
«Ma stai dicendo quella…»
«Già, proprio quella»
«Insomma la nostra»
«Per così dire»
«Ci sei andato da solo, alla fine»
«Be’, era bellissima»
«Certo che me la ricordo. Ma come hai potuto andare a starci senza di me?»
«Era troppo bella»
«Chi se ne frega che era bella, era la nostra»
«Ma tanto all’interno ho cambiato tutto, per ricordare il meno possibile il nostro progetto».
«Posso venirci?»
«Eh… se vuoi».
«Posso venirci?»
«Ma perché?»
«Posso venirci o no?»
E ora Marco ha in potere l’universo, lo sta reggendo con due briglie: il sì e il no, poiché a seconda di quale delle due mollerà, l’universo davanti a sé prenderà una via o un’altra; a seconda che dirà sì o no, l’universo che vive in quella ragazza ripiglierà a ruotare, in un verso oppure in quello opposto. L’universo di loro due, con i soli e le nebulose e i vuoti e i moti inarrestabili, la nascita di stelle, le distanze e gli allineamenti.
Lo sapeva, che avrebbe rincontrato l’universo dietro l’angolo di un palazzo.
Ma tutto ciò lo potrebbe sapere se vi si soffermasse, perché, come il tempo non scorre egualmente in ogni angolo del creato, così Marco ci mette soltanto un attimo a rispondere, e la risposta è quella giusta da dare.
Sa che è quella giusta anche dopo averla detta, perché certe risposte escono da sole, stufe di essere state incatenate ad ascoltare l’attardarsi dei pensieri. Tutta la marea di scritti su quel drammatico momento che è l’incontro fortuito con un ex amore, l’oceanica letteratura interiore di paure, di precedenti feroci o imbarazzati, è scomparsa istantaneamente in un buco nero, e la risposta giusta uscirà da sé.
Gli esce subito quel suo “Sì” alla donna che ama, perché tanto il pensiero arriva sempre dopo le parole importanti (la memoria, poi, ancora più con calma), mentre le parole sono concrete e sbrigative, vanno da sé perché sanno cosa fare, decidono e danno l’abbrivo alle cose.
Quelle che escono da sole senza consultarci, per aprirci la strada.
Perché tanto, le nostre parole, ne sanno più di noi.