Premio Racconti nella Rete 2021 “Didattica a distanza” di Paola Di Scala
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Lo studio dava un senso alle sue intere giornate e assorbiva i suoi pomeriggi . Dalla vecchia zia analfabeta aveva ricevuto l’educazione ad un rigoroso senso del dovere e l’insegnamento che solo lo studio garantisca una vita felice. Senza distrazioni di alcun tipo aveva collezionato titoli: il titolo di maturità classica, laurea con lode in filologia greca, master di perfezionamento, due dottorati. Il successo di essere sempre il primo della classe non coincideva con il successo delle sue relazioni, la sua prima ed unica ragazza lo aveva lasciato, rimproverandolo: – non sai stare in relazione con gli altri! Aveva sommessamente bisbigliato tra sé: – me lo dicono tutti…da quando son bambino- e lo aveva ammesso più chiaramente, quando nel 2015 si era trovato a festeggiare la sua immissione in ruolo da solo, con la sua birra Moretti, scelta proprio per l’etichetta apposta sulla bottiglia: il baffo che gli strizza l’occhio e gli propone un brindisi- nunc est bibendum, ora beviamo, professore! Sembrava invitarlo anche, con il calice alzato, ad esplorare oltre l’orizzonte dei libri studiati ed apprendere quanto si impara solo nell’interazione tra esseri umani . Sentiva comunque che tutti i suoi titoli di studio avrebbero contribuito alla riforma Buona Scuola appena varata. Il professore Adone, con la sua camicia bianca, inondato di generoso dopobarba di qualità, al suo incedere in classe percepiva il brusio delle ragazze. I sorrisetti eccitati al suo ingresso lo lusingavano. Le sue lezioni ben preparate venivano presentate con quel piglio istrionico, calamitante per ogni uditorio. Una mattina, accingendosi a spiegare i versi di Archiloco, fa una premessa: – Per un attimo, ragazzi, uscite da questa aula… con il pensiero – si affretta a dire- solo con il pensiero- scatenando una di quelle fragorose risate all’unisono che solo le classi di Liceo sanno regalare e son segno sicuro di una classe reattiva e pronta a recepire il resto della lezione. – Sentitevi parte di questo dialogo che il poeta del VI secolo instaura con sé stesso, e invita ed incoraggia il proprio cuore a soffrire e godere, ma anche a riconoscere il cosiddetto ruthmòs della vita, un’altalena di gioie e dolori- e declamava il frammento di Archiloco, nella traduzione liberamente interpretata:
– Cuore, cuore mio, coraggio, esci dal petto, va! In battaglia! Vincerai!? non inorgoglirti e non vantarti troppo. Perderai !? non startene lì in un cantuccio, a piangere troppo! gioire delle gioie, addolorarsi del dolore, con misura! Sappi che questo è il ruthmòs che governa la vita degli esseri umani. Tutti in silenzio hanno ascoltato attenti, tutti vogliono intervenire: – vorrei capire la differenza tra thumòs e kardìa, entrambi i termini significano ‘’cuore’’ giusto? – aveva chiesto Andrea. Il professore che dalle domande, dagli sguardi e dall’energia dei suoi studenti trae nuovi stimoli, risponde: – kardìa significa cuore, come muscolo, Thumòs invece è il cuore, sede delle passioni. – Professore! – chiede la parola con la mano alzata Giorgio – allora, una domanda: come si fa a dire ad una passione di avere una misura, di esserci, ma non esserci troppo? Una passione per sua natura va oltre misura. – Certo- risponde- ma la consapevolezza del ruthmòs è l’unico segreto per entrare nel flusso della vita con la passione necessaria, e per rimanere nei confini di una misura che è l’argine da non superare. La campanella suona, gli studenti escono dall’aula. Tra loro anche Carola, la studentessa che per tutta l’ora aveva tentato di calamitare con il suo sguardo adorante e la sua scollatura generosa lo sguardo del professore e lo aveva stordito di una energia a lui fino ad allora ignota. Si slaccia un bottone della camicetta bianca, si sistema il foulard rosso attorno al collo, dal taschino tira fuori un pallino di carta arrotolato e lo lascia sulla cattedra. Al professore confuso, vien solo da chiederle: – Che profumo hai? è davvero irresistibile! Con un sorriso intrigante lei risponde: – è opium professore! – e scivola via. Con un turbinio nello stomaco apre il biglietto: è un numero di cellulare seguito da un cuore. Non riesce a controllare le azioni successive, esce dall’aula in fretta, non passa nemmeno per la sala professori, sale in automobile e come stordito, le scrive: – Ti desidero! – di getto, ancora inebriato dall’afrore di opium. Gli sembra di essere in uno dei frammenti di amore abituato a declamare. Sa di sbagliare. Ma è come spinto da fame ingovernabile, dall’atavica assenza totale di relazioni. Ora si trova alle prese con una persona vera, con un sentimento vero, nuovo per lui! Si sente vivo finalmente, capace anche lui di provare quello che solo nei libri aveva letto. Continua ad inviare messaggi.
Ogni messaggio illumina il telefono che Carola aveva messo al centro del suo letto con la coperta rosa, e illumina anche il sorriso beffardo del volto pieno di acne della sua amica Bea che porge il palmo della mano in su, verso Giorgio: – Maledette! Avete vinto voi! – esclama il ragazzo e appoggia sulla mano di Bea una banconota da cinquanta euro. La mancanza di risposta ai messaggi, invece di ridestare il professore dalla assurda frenesia che lo ha colto, lo rende ancora più audace. In una eccitazione forsennata e crescente aumenta il tenore dei messaggi, diventa più esplicito, più diretto, mento filtrato fino a sfociare in un – ti amo! scomposto, fuori proporzione. Giorgio sul punto di tirare fuori un’altra banconota da 50 euro, colto da compassione esclama: – poverino! incredibile! siete proprio due maledette! – Carola limandosi le unghie e guardando il cellulare accendersi ad ogni messaggio, con la bocca a cuoricino risponde: -Siete così prevedibili e, prendendo con la mano sinistra l’altra banconota, batte il cinque con la mano destra di Bea. Dallo spiraglio della porta della camera di Carola, la Signora Olivieri osserva uno strano movimento: il cellulare che si accende e si spegne in continuazione, i tre ragazzi sul letto e senza scarpe che ridono ad ogni messaggio e, cosa ancora più allarmante, Giorgio che passa i soldi alle ragazze. Senza indugi irrompe nella stanza: – Che cosa state facendo? – urla e la ragazza, con uno scatto immediato e colpevole: – mamma! Devi bussare!
I ragazzi mettono via i soldi, si ricompongono, si chinano per mettersi le scarpe, la signora Olivieri, prontamente, afferra il telefono ed esclama: – questo lo tengo io! – Mamma lasciami il telefono, dammi il telefono, dammelo! La signora Olivieri sente il telefono vibrarle in mano lo guarda e legge scorrere sullo schermo: – come Catullo, questo sento e brucio dentro, ti amo! In qualche istante realizza che non è messaggio di coetaneo, legge il mittente, il cuore accelera, un giramento di testa repentino, interroga Carola: – che succede? Che ti ha fatto! Esce, inseguita da Carola che vuole evitare la conseguenza peggiore che riesca a immaginare: il sequestro del suo telefonino. Dopo dieci minuti i coniugi Olivieri sono in Presidenza, dopo un’ora il professore Adone viene allontanato dalla Scuola, da quella stessa Scuola che voleva concorrere a rendere Buona, come il nome della riforma reclamava.
Il rimorso, la frustrazione e il senso di fallimento lo fanno sprofondare negli anni a seguire. Alla prova della vita, tutto lo ha deluso. La passione di amore, quella per lo studio, quella per l’insegnamento. Nel 2020 torna a scuola e la sua delusione si fa ancora più cocente. Sono cambiati gli studenti: il loro modo di studiare, i loro comportamenti. Sono cambiati i loro occhi, sono spenti, nel vuoto oppure sul cellulare. Ma è cambiata anche la scuola: burocrazia, griglie di valutazione, inferocite chat di genitori. Nella nuova scuola non parla con nessuno, si guadagna persino un soprannome, di cui non si accorge subito, vista l’assonanza con il suo cognome: lo chiamano tutti Alone. Per la fama screditante che lo seguiva come un alone ma anche perché la camicia indossata aveva disegnate sotto le ascelle aloni concentrici di sudore stratificato. Nei corridoi della scuola il suo arrivo è preceduto da una sorta di ola di sghignazzi, seguiti da ammiccamenti di colleghi che arricciano il naso e scuotono la testa. Aveva scoperto il suo soprannome, quando una collega di inglese – ritenendolo un cognome esterofilo – lo aveva chiamato Alòn, e si era accorto allora che il termine alone, pronunciato come vocabolo inglese Alòn, appunto, significa Solo. Quando viene chiusa la scuola per l’emergenza sanitaria a marzo 2020 si sente esonerato dal presentarsi a lezione. I ragazzi aspettano in collegamento, il preside lo cerca, le chat dei genitori mitragliano dissensi e indignazione. Dorme ore ed ore sul divano con una coperta di pile marrone, un pomeriggio si addormenta col mozzicone tra le dita e un pacco di fogli protocollo a righe pieni di grafie incomprensibili, poi si sveglia di soprassalto, colpisce violentemente le fiamme con il mocassino semi logoro che aveva ancora ai piedi, e ripresosi dallo spavento pensa che se fosse morto, qualcuno, avrebbe scoperto la cosa, per ironia della sorte, di nuovo dall’odore emanato, e sarebbe divenuto un alone coerente, fino alla morte. Con il passare dei giorni il baffoMoretto delle bottiglie sparpagliate in terra, pareva dirgli: -professore… come ti sei ridotto? – Lasciami in pace baffoMoretto e tentava di interrompere pure la relazione con lui. Un giorno esce per comprare le sigarette, uno studente lo ferma: – prof! – Il professore serra le mascelle, infastidito al pensiero che anche la sua professione ormai sia ridotta a quattro lettere, vorrebbe tornare a casa. Ma nel suo cappotto marrone, va a fare la scorta di scatolette e bottiglie al supermercato. La porta automatica si inceppa per un istante, vede la sua immagine riflessa e dietro di lui, rispecchiata anche la sagoma di una donna, con un foulard rosso svolazzante. Il flusso improvviso di aria condizionata del supermercato e l’apertura della porta diffondono il suo profumo nell’aria. Profumo di opium. La porta scorrevole si apre, il professore con lo sguardo a terra, si sente osservato, spinge veloce il carrello con la spesa. Surgelati, liquori, carni, cassa, la donna lo guarda, fa per parlargli. Lui affretta il passo si ferma solo perché la porta scorrevole, di nuovo si inceppa: la donna sfiora il suo braccio e gli dice: – scusi- e cerca il suo sguardo- scusi!- ripete. Lui fa solo un cenno con la mano ma il suo cuore batte fortissimo. Tutta la notte ripercorre la sua vita: osserva imbambolato l’etichetta della bottiglia del baffoMoretto, ricorda il brindisi della immissione in ruolo. Al ruthmòs, professore ! gioisci delle gioie, addolorati per i dolori, non troppo, riconosci il ruthmòs che detta legge nella vita degli esseri umani…è proprio questa la vita che hai studiato! Ora devi dimostrare la tua cultura! A fianco del suo letto il baffoMoretto gli strizza l’occhio e alza il calice: non è facile per nessuno! Coraggio !Alle ore 8 del mattino dopo si connette davanti alla telecamera per la lezione in Didattica A Distanza. – Per un attimo, ragazzi, uscite da questa aula… con il pensiero. Non fa in tempo a dire – solo con il pensiero! I ragazzi sono usciti tutti dalla lezione a distanza, disconnettendosi.
Alle ore 8 del mattino del giorno dopo si connette di nuovo, con la stessa classe, pronto ad articolare in modo nuovo e diverso una appassionata lezione su Archiloco. La sua enfasi oratoria, arricchita di spunti e di elaborazioni personali accolte dal totale silenzio della classe, evocano l’esordio della sua carriera di professore – Il poeta parla con sé stesso, con il proprio cuore e lo invita ad avere coraggio, a soffrire e godere, ma a riconoscere quello che lui chiama il ruthmòs della vita. Soddisfatto della ritrovata energia retorica il professore chiede alla classe di intervenire con domande ordinate. Ma i piccoli volti incorniciati in pallini nella aula virtuale intervengono tutti insieme: -prof, la connessione è saltata! Che cosa è il ruthmòs?- -non si è sentito nulla, Prof può ripetere che ha detto?-
-Il ruthmòs – prova a ripetere…poi esce dalla lezione. La connessione è saltata.