Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2021 “La casa nuova” di Laura Capella

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021

Mi ero installata da poco nella mia nuova casa, ed ero ancora sommersa dagli scatoloni del trasloco. Avevo scavato al loro interno per cercare di avere subito a portata di mano le cose essenziali, ma non avevo molta voglia di fare ordine: ordine per cosa? Tanto ero l’unico abitante di quella casa e non attendevo certo degli ospiti, non nell’immediato futuro, comunque.

Ero più curiosa di scoprire qualcosa sui precedenti proprietari. Avevo comprato la mia abitazione all’asta ed era parzialmente ammobiliata: vecchi mobili di legno molto scuro, alcuni dei quali in noce, ma le cui venature si perdevano sotto un rivestimento misto di gommalacca e cera d’api, si annidavano in angoli poco luminosi delle camere. Erano un po’ lugubri ma con quel fascino dell’antico, seppur non di grande valore.

Ce ne sarebbe voluto di tempo per sistemare quell’accozzaglia di cose. Non ero sicura se sbarazzarmene subito o tentare di recuperarli per il mio uso. Di sicuro meritavano una ispezione al loro interno: chissà, forse avrebbero potuto celare dei tesori nascosti. Mi avvicinai ad un vecchio trumeau situato in un angolo poco illuminato del salotto. Di solito questo tipo di mobile contiene qualche cassetto nascosto. L’assenza di una chiave che aprisse lo sportello centrale mi dissuase però da quella ricerca.

In camera da letto avevo notato la presenza di un bell’armadio a due grandi ante. A differenza dei precedenti, questo era verniciato di smalto bianco, alla maniera contadina: era semplice, ma aveva una sua eleganza solida.

Nei giorni immediatamente successivi al mio trasferimento non ci avevo fatto caso, perché ero estremamente stanca, ma la sua immagine aveva lavorato nel mio subconscio e ora mi era all’improvviso montata una curiosità irrefrenabile di aprirlo, per vedere cosa contenesse. Essendo situato in un angolo piuttosto buio della camera, dovetti armarmi di una torcia elettrica per capirci qualcosa in quel guazzabuglio di abiti, ciarpame ed oggetti potenzialmente interessanti, senza dover tirare fuori tutto.

Sotto un drappo di lucido raso color cioccolato, vidi sbucare l’angolo di una borsa di cuoio scurito dall’uso e dal tempo. Azzardai e, incuriosita, la trassi fuori dalla penombra, per osservarla alla luce del sole, che penetrava limpido ma freddo dalla grande finestra. Non era una borsa femminile da passeggio come avevo sperato. Adoro le borse vintage.

Avevo invece scovato una vecchia borsa da medico, anzi una borsa da “dottore”. La mia fantasia si scatenò subito, non vi erano al suo interno indizi sul suo possessore originale. Era vuota. Da quel poco che avevo saputo dei precedenti proprietari della casa, non poteva essere loro, non erano medici. Si trattava di commercianti, prima molto benestanti, poi sempre di meno, finché, per colpa certamente anche della pandemia, avevano dovuto chiudere le loro attività. Quando pensavo a questo mi sentivo quasi in colpa dell’essere venuta in possesso di un appartamento che qualcun altro aveva dovuto vendere per un dissesto finanziario.

Ma, ritornando alla borsa, emanava un fascino di altri tempi.

L’immagine di un calesse tirato da una cavallina scattante, con un giovane medico di campagna, lanciata al trotto per correre in aiuto ad una partoriente o soccorrere un contadino infortunato nei campi, mi balenò davanti.

Il cuoio, lucido ancora della vecchia ingrassatura, nonché per il contatto continuato con le mani del medico, apri e chiudi decine di volte al giorno, mandava bagliori ramati sotto gli ultimi raggi del sole.

Il bambino vagiva nella mia testa, tra le mani del medico, il suo primo parto, una grande emozione, quasi fosse figlio suo. Lo consegnò, tremando lievemente, nelle braccia fiorenti della contadina, che accolse amorevolmente il suo primogenito.

Il sole stava tramontando, ma non me ne ero accorta, assorbita com’ero nelle mie fantasticherie. La borsa, tuttavia, emanava ancora un pallido luccichio, era come se sprigionasse calore, quasi lo avesse assorbito in tanti anni al servizio degli altri. La toccai di nuovo, era morbida al tatto, liscia per la consunzione, ma ancora robusta. Avrebbe potuto lavorare ancora per anni, certi oggetti non si consumano veramente mai. Aveva qualche scucitura negli angoli, minima, non c’era da temere che potessero perdersi i ferri del mestiere, anzi, questo aggiungeva altro fascino al suo aspetto austero. Nessuna concessione alla futilità da parte di qualcuno che mette la sua vita al servizio di persone malate. Non si cambia per un capriccio di moda, né si alterna tutti i giorni per il suo colore, una borsa da dottore. L’unica cosa che vale è la sua funzionalità e quella, dopo tanti anni, ancora si era mantenuta.

Posai la borsa in un angolo e mi dedicai alle altre cose riposte dentro l’armadio. Erano in massima parte oggetti senza valore e di scarso interesse, da qualunque punto di vista li si volesse guardare: oggetti di uso comune per la pulizia della stanza, panni da spolvero, spazzole e spazzolini che suggerivano un interesse quasi maniacale, per l’ordine e la pulizia. Completavano l’insieme spray disinfettanti, flaconi di detergenti e cere per la mobilia. Tutto ciò faceva pensare ad una persona anziana, che passasse la maggior parte del suo tempo in casa, senza molti interessi o svaghi personali.

Dietro questo apparato, però, trovai dei libri, delle agende consunte, dei vecchi quaderni di scuola. Mi attardai un po’, spinta da una certa curiosità, nella lettura delle note, scritte in una calligrafia minuta e regolare, riportate sulle agende, quasi tutte degli anni tra i ’60 e i ‘70. Niente di rilievo vi era riportato, ed io persi subito l’interesse in quella lettura.

Ero alla ricerca, era chiaro, di qualche indizio che potesse far luce sulla vita e sulle attività di chi mi aveva preceduto nell’abitare quella casa. Passai ai quaderni, che erano molto ordinati, e scritti in bella calligrafia: sicuramente un orgoglio per chi li aveva posseduti. Anno 1937-38, citava il frontespizio del primo.

Qualcosa nell’inclinazione delle lettere, soprattutto di quelle che si sviluppavano in verticale, in particolare le l e le t, ricordava la forma del vergato sulle agende, anche se quest’ultimo era di una mano più matura. Entrambe le calligrafie sembravano femminili, forse la stessa persona, probabilmente la proprietaria della casa. Per il resto, gli esercizi elementari erano ripetitivi e, anche in questo caso, dopo poco, richiusi i quaderni con una punta di delusione. Avevo sperato in qualche descrizione, uno stralcio di vita familiare, ma non avevo trovato niente.

Alla fine, quando stavo per richiudere l’armadio, mi cadde l’occhio su qualcosa che sporgeva da uno dei libri, vecchi e ingialliti dal tempo, impilati in bell’ordine accanto ai quaderni. Era una vecchia foto in seppia, sul retro recava una data, il 3 luglio 1935, e una dedica: “Alla mia dolcissima Ida nel giorno del suo quarto compleanno. Con infinito amore, il babbo.”

La foto inquadrava una bambina di pochi anni, con una enorme bambola in braccio, il viso raggiante di felicità. Accanto a lei un giovane uomo, sulla trentina, la sua mano sinistra era posata sulla spalla della bimba, il volto stanco ma sereno. Il suo braccio destro era rilasciato lungo il fianco, la mano stringeva una borsa da dottore.

Il mio sguardo cercò subito la borsa che avevo posato in un angolo da qualche parte, ma non ricordavo bene dove. La vidi immediatamente. Era come se mi chiamasse. Ancora un bagliore, un riflesso più intenso di come mi sarei aspettata in quella luce ormai stanca, al calare della sera.

Il giovane medico, felice della sua giornata di lavoro ed anche del modesto compenso che quella famiglia aveva potuto permettersi, era corso in paese, all’emporio, ed aveva comprato la più bella bambola che avessero in vendita, per sua figlia, che proprio quel giorno compiva gli anni.

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6 commenti »

  1. Una storia delicata, apparentemente calma, che nasconde desiderio e curiosità. Sarebbe bello conoscere i risvolti successivi. Si presta molto alla curiosità del lettore che si chiede: cosa troverà ancora?
    Complimenti

  2. Grazie Fabio Volpe per la lettura ed il tuo commento. Ho apprezzato. Anche a me in fondo verrebbe voglia di continuare a scavare in quell’armadio e chissà che non lo faccia in futuro. Per quanto riguarda la calma, il discorso è lungo,

  3. La storia conduce bene il lettore alla ricerca della… storia (ed è bello che quello che trova la protagonista cercando nel passato sia una memoria narrativa). Se posso dare un consiglio, forse avrei evitato il primo riferimento al trumeau: se si cita un mobile chiuso all’inizio… si dovrebbe aprire prima della fine (come il fucile di Checov). E’ un’inezia, sia chiaro, in un racconto compatto e serrato.

  4. Giusta osservazione Simone. La chiave del trumeau potrebbe comunque essere stata riposta….dentro l’armadio, in attesa che qualcuno la trovi.

  5. Gentile Laura,
    dopo aver risposto al tuo gradito commento sono andata alla ricerca di ciò che hai scritto. È una curiosa coincidenza quella di trovarsi casualmente qui, e non in un “luogo” di discussione sulla didattica delle scienze. Il tuo racconto mi è piaciuto perché incentrato sull’ anima degli oggetti, sull’atmosfera delle abitazioni. Le case conservano sempre l’impronta di chi le ha abitate, a dimostrazione del fatto che la vita è dovunque, non solo dove avviene il ciclo di Krebs!

  6. Grazie Teresa per aver letto il mio racconto e per il commento. Effettivamente è una strana coincidenza, Questo periodo è stato molto particolare, non potendo partecipare in presenza ad eventi più legati al mio solito mondo ed usando continuamente il computer per la didattica digitale, aggiornamento professionale ecc, ho avuto un certo rigetto nei confronti di convegni virtuali che ho per lo più disertato, dedicandomi ad altro, cercando linfa nuova e diversa, utilizzando le mie poche energie residue per dedicarmi di più alla lettura e un poco alla scrittura. Sento che ci rincontreremo.

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