Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2021 “I simboli” di Jessica Bonacci

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021

Dopo un lungo viaggio, arrivai a destinazione accompagnata da cinque miei amici, eravamo con valigie e zaini in spalla. Di fronte a noi un college con una struttura abbastanza bizzarra, fatta a ferro di cavallo, quasi come ad augurarci fortuna per trovare una strada nella nostra vita.

Era completamente immerso in una vasta distesa di natura, tutt’intorno un silenzio assordante.

Mi fermai lì per qualche mese, ero pronta per quella nuova avventura; una ricerca sull’esoterismo.

Ci addentrammo nel viavài di studenti fino ad arrivare alla segreteria per la consegna delle chiavi, salutandoci stabilimmo un orario per vederci poco più tardi.

M’incamminai perciò da sola in quel lungo corridoio, guardandomi attorno notai molte porte, fino ad arrivare alla mia camera.

Entrai ed era piccola come mi aspettavo fosse, dalla finestra potevo ammirare un meraviglioso giardino confinato in un fitto bosco che attirò la mia attenzione. Stanca del viaggio guardai il letto, provai ad assecondare la sonnolenza latente ma vigile come sempre, mi promisi di sistemare le valigie. Cercai con gli occhi l’armadio e lo trovai alla mia sinistra, talmente piccolo che non credevo potesse contenere tutto.

Disfeci la valigia mettendo i vestiti nei cassetti e tra le grucce presenti, provai invano a trovare una sistemazione per la valigia ma finì per metterla sotto il letto insieme al mio computer.

Soddisfatta finalmente mi sdraiai, chiusi gli occhi facendo un respiro profondo e precipitai in uno stato catatonico.

Aprì gli occhi fissando il soffitto, era bianco, lo era tutta la stanza, la luce del sole mi ricordò d’improvviso quel bosco, una forte curiosità mi portò ad alzarmi e ad avvicinarmi di nuovo alla finestra.

In lontananza nonostante la selva fitta mi sembrò di intravedere del grigio, simile a una rovina; socchiusi gli occhi per focalizzare il più possibile ma fui interrotta dal bussare della porta, erano i miei amici.

Presi il mio zaino e con molta fretta controllai se ci fosse tutto il necessario al suo interno; una torcia, una borraccia d’acqua, una fune, sembrava esserci tutto, mi legai in vita una felpa e uscì dalla stanza.

Decidemmo di visitare il college, questa volta ripercorsi insieme a loro quel corridoio fino ad arrivare a quelle porte chiuse, notai etichette che prima non avevo visto, forse per la stanchezza; erano uffici amministrativi, un’infermeria, una biblioteca e una stanza di ristoro.

Quel bosco però sembrava non abbandonare mai i miei pensieri, quell’impressione diventò così persistente al punto che, proposi ai miei amici di uscire per una passeggiata tra la natura.

Rieccoci nel formicaio di ragazzi, le voci che mi circondavano erano ovattate, un senso di leggerezza s’impossessò di me, si sentiva il profumo dell’erba nell’aria, ero totalmente in sintonia con la natura, sentivo il rumore dell’acqua, frenetici gli occhi andarono alla ricerca della boscaglia.

I miei amici notandomi in sovrappensiero, mi chiamarono riportandomi nel vociare della folla, dissi loro di essere entusiasta per la nostra ricerca, sperando di ricevere risposte pratiche e non solo teoriche.

Man mano che camminavamo lasciavamo dietro di noi l’aura protettiva del college, raggiungemmo quella valle paradisiaca annusando di nuovo quel buon profumo di natura che respirammo a pieni polmoni, il verde era ovunque, la fontana in pietra segnata dal tempo creava un effetto suggestivo, l’acqua scorreva riproducendo lo stesso fragore delle cascate interrompendo piacevolmente la monotonia di quel silenzio.

Con grande stupore notammo la presenza di cavalli, il loro aspetto affascinò tutti, rimanemmo incantati; erano neri con il manto lucido, sparsi qua e là per il giardino.

Notai un cavallo in particolare, l’unico distante dagli altri, che si dirigeva verso il bosco: aveva un comportamento curioso, apparentemente sereno ma fu subito evidente il suo turbamento, sembrava quasi impaurito, tanto da retrocedere nel giardino. Con naturalezza andai verso di lui, nei suoi enormi occhi si percepiva ancora paura, restai immobile, sperando di infondergli la mia stessa tranquillità. Dopo qualche istante, sciolta la tensione il cavallo allungò il collo fino ad avvicinare la sua fronte alla mia, in quel momento capì che l’elemento di disturbo non eravamo noi bensì il bosco.

Ritrovata la calma, distaccandoci, lui iniziò un galoppo verso i suoi simili ed io tornai dai miei amici che basiti assistettero alla scena. Proposi loro di andare a perlustrare il bosco, mi seguirono senza ribattere.

Agitati e al contempo euforici ci addentrammo, ci avviammo, ci incamminammo nella selva misteriosa, il profumo s’intensificò sempre più, il canto degli uccelli era confuso tra il fruscio degli alberi, i raggi del sole filtravano a fatica creando una luce fioca.

Sotto i nostri piedi il crepitio di rametti, funghi di vari colori e dimensioni ricoprivano la terra contornati da foglie bagnate ormai esanime.

Respirando l’aria piacevolmente umida, camminammo fino a scorgere un sentiero che sembrava portare all’altro capo del bosco, il suolo era sterrato, tornò il bagliore del sole, davanti a noi lo scenario cambiò inaspettatamente ed eccolo quel grigio intravisto dalla finestra che confermò la mia intuizione, una città fantasma, come tale regnata da un silenzio malinconico.

Osservammo la distesa di rovine senza proferire parola per qualche minuto, lo stupore fu tanto ma la curiosità lo superò di gran lunga, così muovendoci in direzioni diverse mi incamminai tra i ruderi, percepivo energie sinistre, le domande non si fecero attendere. Come mai l’uomo di per sé egoista e materialista abbandonava un’intera città restituendola alla natura?

Andammo alla ricerca di un indizio che potesse spiegarci il degrado circostante.

Notai una delle poche strutture rimaste intatte, c’era qualcosa d’insolito, quattro mura e nessuna via d’accesso, avvicinandomi inciampai il delle radici che fuoriuscivano dal terreno, nascoste tra le erbacce, mi ritrovai con le ginocchia e le mani immerse nel terriccio umido, nel rialzarmi da terra notai un luccichio tra le foglie, così feci per scansarle con il piede e vidi una botola che portava ad un passaggio sotterraneo, chiamai i miei amici per non entrare da sola in un posto che sicuramente era disabitato da secoli o forse più.

Ci addentrammo nei sotterranei, scendemmo uno alla volta, poggiandoci alle pareti rocciose e scivolose per il troppo muschio, c’erano delle stanze, una dietro l’altra, sembravano come le cantine dei nostri giorni, al loro interno trovammo dei mobili con degli oggetti di ogni tipo, dall’aspetto molto antico, con le torce in mano, ognuno controllò una stanza, sembrava non esserci nulla di utile riconducibile all’esoterismo; pochi mobili e pochi oggetti, entrando e aprendo un cassetto di un comò dell’epoca, un panno molto impolverato avvolto su se stesso attirò la mia attenzione, conteneva qualcosa, lo srotolai fino a tirar fuori una piccola scatola quadrata cava e incompleta, c’erano dei simboli incisi sopra che non conoscevo, mi scivolarono dal panno due bacchette, anch’esse con un simbolo ciascuna, era tutto nello stesso stile e sembravano essere dello stesso legno per tutti e tre i pezzi.

Mi sembrò curioso che qualcuno potesse aver avvolto quelle cose in un panno per poi metterle in un comò, ad un tratto sentì i miei compagni chiamarmi per uscire da lì e tornare in superficie, si stava per fare buio, velocemente riavvolsi il tutto mettendolo nel mio zaino e mi accodai per uscire.

Tornammo nelle nostre stanze, cercai quei simboli su internet, senza risultati, sembravano non esistere.

Maneggiando la scatola mi venne istintivamente di appoggiarla al muro, all’improvviso si attaccò come per magia e vidi brillare i simboli della scatola e delle bacchette, quei simboli sembravano parlarmi, iniziai a pensare che mi sarebbe piaciuto poter confidare alla mia cara e lontana amica cosa avessi trovato. D’improvviso suonò la campana, la cena era pronta, mi diressi verso la porta della stanza e passandoci attraverso, vidi un bagliore alle mie spalle, mi girai e mi ritrovai altrove in un quartiere a me caro.

Spaesata cercai di capire dove fossi, realizzai di trovarmi nel suo quartiere e cercai subito casa sua. Notai per giorni una ragazza bionda in evidente stato di gravidanza, era con le sue amiche, aveva qualcosa di diverso dalle altre; sempre triste, sempre isolata dal resto del gruppo. Una sera mi trovavo nei corridoi, la incontrai da sola, così colsi l’occasione per parlarle: <<Hei, ciao piacere mi chiamo Jessica>>. Mi guardò con aria confusa, così aggiunsi: <<ti senti bene? Hai bisogno d’aiuto?>>. Lei rispose con voce sommessa: <<Piacere, io sono Carol, si grazie tutto bene>>, disse con un luccichio negli occhi. <<Aspetti un figlio, maschio o femmina?>>, le domandai e lei rispose: <<Non lo so!>>. Preoccupata, aggiunsi: <<Sicura vada tutto bene? Posso aiutarti!>> e lei, senza voltarsi, sussurrò: <<No, non puoi! Nessuno può farlo!>>. Poi si girò e iniziò a camminare velocemente, allontanandosi.

Qualche sera più tardi girando per i corridoi, sentì un pianto di un neonato, seguì il suono fino ad arrivare a una stanza, sotto il letto trovai un bimbo in fasce, lo presi e lo portai in infermeria, dovetti svegliare la signorina Jones, vice-direttrice del college.

Passai giorni a cercare quella ragazza per sapere se stesse bene e per farle sapere che il bambino cresceva a vista d’occhio.

Nell’arco di pochi mesi era diventato alto quasi quanto me, ora le sue parole iniziavano ad avere un senso.

Era biondo con occhi azzurri, molto bello, ma cresceva in modo innaturale. Ero certa fosse suo figlio, le somigliava tantissimo, però di lei nessuna traccia. Mi presi cura io del bambino per molto tempo.

Un giorno mentre lo portavo in braccio dall’infermeria alla mia camera, alcuni giovani spavaldi e arroganti sussurrarono cose orrende pensando fosse malato, non sapendo che in realtà era un neonato. Uno di loro guardandolo con disprezzo disse: << Sarà malato, guardate come è magro e debole, morirà di sicuro>> ed io con forte rabbia risposi: <<magari muori tu! Coglione!>>. E così fu, quel ragazzo si ammalò e morì. Così capì che la scatola era anche questo: un’apertura di senso e di significato, foriera di esperienze incredibili ma non solo, in essa i sentimenti più veri e spontanei non avrebbero incontrato nessun filtro, nessuna mediazione. Scelsi di nasconderla per sempre. Per chiunque l’avesse trovata, pensai, sarebbe stata la fine del mondo.

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4 commenti »

  1. Davvero molto intrigante, meriterebbe un seguito.

  2. Grazie mille Nicolas, potrei anche accontentare la richiesta volendo.

  3. Racconto insolito e interessant,mi è piaciuto molto
    E sono d’accordo con chi vorrebbe un seguito.

  4. Grazie Stefania, sono davvero contenta di sapere che apprezzate e volete un seguito, ci sarà sicuramente ??

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