Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2021 “Lettere d’amore” di Roberta D’Elia

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021

Denise aveva il sole nelle pieghe.

Sotto le sue ciglia non c’erano mai nuvole. 

Portava scarpe solidali, vestiti a fiori, una coda di cavallo e più anni di quanti gliene avresti mai dati guardandola.

Aveva un marito, due bellissimi bambini e una strada larga e pulita, che la portava al lavoro tutte le mattine. 

Ad essere più precisi, la strada l’avrebbe portata al lavoro di mattina quella settimana, ma molto spesso capitava di pomeriggio, oppure i sabati e le domeniche.

Perché Denise faceva i turni. 

Era cassiera al supermercato, da due anni ormai. 

I turni erano certo pesanti. Molte volte le pesava star lontano dalla famiglia nei fine settimana, quando c’erano i compiti da finire, pranzi e cene da preparare.

Ma lei non si lamentava. 

Aveva sempre fatto quel che più desiderava, e quando non poteva dire di aver veramente “scelto” la vita, tutte quelle volte che aveva detto “sì” o “no” senza quasi accorgersi, aveva sempre avuto l’impressione che la corrente l’avesse portata dove ogni essere umano vorrebbe stare: in un luogo caldo, sicuro, senza scosse. 

Aveva la maturità classica, presa a dispetto del consiglio dei genitori, i quali avrebbero preferito per lei un percorso più “concreto”, più simile al loro, e un diploma di archivista, preso anni dopo.

In effetti, la bibliotecaria l’aveva fatta per qualche tempo, per un istituto privato che, a causa della crisi, anni addietro, aveva chiuso. 

Ma non disperava, anzi, stava studiando per un paio di concorsi pubblici che richiedevano questa specializzazione, e, con un po’ di fortuna, avrebbe finalmente avuto un posto sicuro.

Ora che i bambini erano più grandi poteva, con calma, durante le poche serate libere, dedicarsi allo studio. 

Ma anche il lavoro in cassa, in fondo, non le dispiaceva.

Un ripiego, vero, ma le permetteva di osservare le persone, e di avere tanto tempo per pensare. 

La vita di Denise era divisa in percentuali.

Ogni mattina faceva il conto della percentuale di felicità che possedeva.

Perché, oltre a un’immaginazione vivace, una buona cultura, un bell’aspetto, ed una famiglia amorevole, Denise aveva un sogno nel cassetto, ed il suo lavoro di cassiera al supermercato le permetteva di coltivarlo, grazie al silenzio interiore, grazie al fatto che non ci doveva mettere troppo la testa.

Certo, lei aveva avuto una vita un po’ diversa dalle amiche che l’università l’avevano terminata, che non avevano dovuto cambiare i loro programmi per far nascere un bambino.  

Loro, le altre, ora erano professioniste, insegnanti, copywriter.

Una, addirittura, aveva anche fondato un’agenzia sua, e nel tempo libero girava il mondo con persone che conosceva appena, e chiamava tutti amici.

Con queste sue compagne di vecchia data, Denise era sempre rimasta in contatto: avevano coltivato la passione per i libri e la scrittura.

Si sentivano più o meno regolarmente, a seconda degli impegni dell’una o dell’altra, avevano fatto anche qualche corso, insieme. 

L’avevano invitata spesso fuori per dei fine settimana, ma lei non era mai andata e dopo un po’, avevano semplicemente smesso di contarla.  

“Ah già, i bambini”, dicevano, come se lei fosse la persona destinata a rimanere sempre un passo indietro, perché aveva degli obblighi, dei figli, una famiglia che loro, libere, non avevano. 

Ma nel suo conto delle percentuali, Denise non le invidiava: era sempre al di sopra del sessanta per cento. 

Che importava se lei aveva le unghie meno rosse delle sue amiche, i capelli meno pettinati, non andava ad inaugurazioni e aperitivi?  

Lei, la sera, poteva tornare a casa contando di ricevere il bacio che le altre dovevano andarsi a cercare, leggere favole ai suoi figli e metterli a letto in un abbraccio, preparare i biscotti con le noci, ed essere presa in giro se venivano troppo grandi.  

“Sono troppo grandi, perché ci metti troppo amore”, suo marito le diceva. 

Eppure, anche se ogni tanto, quando le incontrava, si sentiva a disagio per quello sguardo che le sussurrava un “poverina”, che loro, neanche accorgendosene, lasciavano sottintendere, lei, alle sue amiche, voleva molto bene.  

Era grazie a loro, ai loro complimenti per la sua capacità di scrittura, ed anche in una certa qual misura ai loro contatti, che da qualche tempo in qua aveva ha avuto il coraggio di creare un suo profilo online. Una sua sé fittizia, ma anche in fondo forse più vera, dal quale offriva a conoscenti, non conoscenti, ed amici degli amici, un servizio.

Scriveva lettere d’amore conto terzi.

Le scriveva per chi non aveva tempo, non aveva emozione, aveva qualcosa da commemorare, o qualcosa da farsi perdonare. E le scriveva anche un po’ per sé stessa.

Suo marito, cui, negli anni, non aveva fatto mancare, e non le aveva fatto mancare, belle parole d’amore, all’inizio l’aveva presa un po’ in giro.

Ma, come sempre, era diventato nel tempo il suo più accanito sostenitore, nonché un ottimo correttore, una guida all’interno di quel labirinto che per lei rappresentava ogni tanto l’animo maschile. 

Le aveva anche consigliato, per renderlo più sicuro e professionale, un valido metodo per poter essere retribuita per queste sue “prestazioni” senza che questo potesse ingenerare malintesi o situazioni spiacevoli, che sul web, si sa, non si sa mai. 

Era metodica in questa sua passione: si faceva addirittura compilare un questionario che aveva messo a punto per lo scopo, con informazioni generali dell’una e dell’altra persona interessata, ed i dettagli della storia d’amore, ancor prima di passare ad indagare allo scopo vero e proprio della lettera.

Del resto, il successo della stessa dipendeva proprio da quello: la quantità di emozione, più che la correttezza dell’informazione. Doveva arrivare diritta al cuore. 

Le piaceva stare in quel mondo di storie: tanti amori, tante difficoltà tante delusioni e speranze.

Storie normali, eppure tutte un po’ speciali.  

Storie come la sua, ed alle volte no, più appassionate o dolorose.

Ma in tutto questo conteggio lei non faceva mai raffronti: da tempo aveva capito che nella varietà delle cose risiedeva la bellezza della sua, personale, quotidianità. 

Qualche volta le era capitato che, per un destino particolare, si appassionasse in modo diverso ad una lettera piuttosto che a un’altra. 

Le era successo anche poche settimane prima, a causa di una circostanza speciale: si era accorta di essere stata ingaggiata per scrivere una lettera d’anniversario di matrimonio per un uomo che lei in realtà conosceva di persona.  

O no, non che si conoscessero approfonditamente, giusto un buongiorno e un buonasera. 

Abitava nel palazzo accanto il supermercato, lo vedeva uscire quando aveva il turno del mattino e stava lì in piedi con le colleghe al freddo a prendere il caffè, durante la pausa che veniva loro concessa dopo aver sistemato gli scaffali, e prima di iniziare il turno in cassa.

Lui usciva in giacca, cravatta, valigetta e spesso i bambini, che portava a scuola un duecento metri più giù. 

Certe volte, facendo il turno della sera, gli aveva passato la poca spesa per la cena sul lettore.

Un buongiorno o un buonasera. 

Era conoscente di una sua amica e l’aveva sempre incuriosita, perché al supermercato faceva sempre un po’ più rumore degli altri, agitava l’aria intorno a sé, come se fosse più realizzato e sicuro di qualsiasi altro essere umano tra gli scaffali.  

Si era fatta l’idea che lavorasse per una banca o in assicurazione. Era un classico tipo “urbano”, che trasudava un piccolo successo, la sensazione di essere arrivato.

La moglie si vedeva poco nelle foto, una bionda, almeno, fino agli ultimi scatti non recenti, che, non sapeva perché, si era immaginata lavorasse …. poco. 

La incuriosiva particolarmente quest’uomo perché si divertiva ad immaginare quali piccole miserie e tic potessero nascondersi sotto un’apparenza così perfetta. 

Ma il suo compito poche settimane addietro era stato semplicemente commemorare con un po’ di calore (che, evidentemente lui, da bravo professionista, faticava a trovare) un quindicesimo anniversario.

E tutto quello che si era trovata ad impastare era poco più del ricordo dell’estate al mare in cui lui aveva assediato e conquistato la sua bionda, poco più che adolescente. 

Anche la ricerca sui social non aveva dato grandi risultati, cosa che l’aveva lasciata un po’ delusa.

Non era una cosa che a Denise capitasse così spesso nella sua ricerca di materiale per compilare le lettere, strano a dirsi, non le piaceva ficcanasare.

Lei prediligeva sognare, regalare emozioni nuove con cui poter dipingere delle storie forse un po’ vecchie, dare una nuova sfumatura al suo parzialmente immaginario mittente, uno sguardo diverso, una coperta in cui il destinatario potesse scaldarsi ancora un po’.

Per cui aveva lasciato perdere la strana curiosità che le era sorta e si era dedicata al suo compito, con la solita solerzia romantica. 

Aveva anche ricevuto un messaggio di ringraziamento.

Tutto era andato alla perfezione.

Il giovedì di esattamente ventitré giorni dopo accadde qualcosa.

Il responsabile del suo negozio la chiamò dicendole che, a causa di una serie di malattie comunicate con breve preavviso, si sarebbe dovuta recare il giorno seguente a fare il primo turno del mattino presso un supermercato diverso, più in centro. 

Si era alzata quindi molto prima ed era andata in bicicletta, nonostante il freddo. 

Soprattutto il freddo, infatti, quel mattino la infastidiva.

La sua postazione era la cassa più vicina all’uscita.

Nonostante il trapuntino blu sulle spalle, sentiva freddo, oltre che l’odore di polvere di quel maledetto giacchetto.

Erano le nove meno venti, l’orario in cui gli impiegati vengono a fare la piccola spesa di gastronomia per i loro pranzi in ufficio. 

A un certo punto lo vide.

Era ben vestito, come al solito, ed emanava anche fin troppo profumo.

Il suo cestino conteneva: affettati, focaccine, due prodotti di gastronomia, una piccola bottiglia di vino, dolcetti, oltre che calici lunghi di plastica e forchette di pari materiale. 

Denise pensò che dovesse lavorare lì vicino, del resto era una zona uffici.

Fece anche un sorriso tra sé e sé, incuriosita dall’abbondanza e dagli articoli che questo uomo si era riservato per il pranzo. Chissà se la sicurezza di sé lo dispensava dal rischio di ingrassare.

Stava giusto passando gli articoli sul lettore con un mezzo sorriso, pensando che quella bella cravatta meritasse almeno un buon ristorante, o che fosse così buffo che quell’uomo che le aveva raccontato così tanto di sé non conoscesse nemmeno il suo viso, quando sentì una voce femminile alle spalle.

“Ho preso anche queste”, la voce disse. 

“Queste” erano un pacchetto di patatine e una piccola bottiglia di spumante.

Lei era una donna magra, curata, con un vestito attillato sul petto e una gonna vaporosa. Tacchi alti, ma non così alti da non poter camminare con grazia, trucco leggero, una voce calma ma un po’ squillante, come il sorriso che aveva sul volto.

Aveva anche le guance leggermente imporporate di … aspettativa. 

Lui si girò verso di lei : “hai fatto molto bene”, disse. 

E le cinse, con un gesto che Denise trovò un po’ maldestro, la vita. 

Non alzò più lo sguardo, il freddo e i loro, mutui, inebrianti profumi l’avevano un po’ stordita. 

Quella bella donna gioiosa non era sicuramente bionda, ma tanto valeva. 

Denise aveva notato una cosa: le loro fedi erano diverse.

Una nuvola era passata, ora si sentiva una complice.

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2 commenti »

  1. Molto bella l’idea narrativa e gestita molto bene. Forse avrei “alleggerito” un poco la prima parte, che è comunque funzionale a inquadrare il finale, che è davvero buono. Peraltro
    mi ha coinvolto moto perchè, se pur piccola e ormai data, ho scritto lettere d’amore conto terzi (quando ero a militare).

  2. Grazie Simone! Per la tua opinione, e la condivisione del tuo vissuto.

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