Premio Racconti nella Rete 2021 “Autobus” di Laura Capella
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Sono alla fermata. Ho freddo. Il mio autobus è in ritardo. Spazientita passeggio nervosamente. Ad un tratto, però, dalle nuvole si fa strada un raggio di sole e una dolce brezza mi accarezza il viso. La prospettiva cambia, il mio umore ne beneficia. Il pensiero comincia a vagare e si impiglia in un ricordo.
Sono sempre stata per indole una esploratrice, anzi un esploratore, dato che uno dei ricordi più vivi che ho della mia infanzia è che avrei voluto essere un maschio, per non perdere tempo di gioco per correre in casa a fare pipì, mentre avrei voluto farla in piedi, come i miei amici, maschi per lo più. Ci ho anche provato, confesso, con risultati direi più che deludenti. In accordo con questa fantasia, ho sempre pensato che volevo esplorare, farne proprio un mestiere, anche, volevo fare l’archeologo e, più tardi, lo scienziato esploratore, alla Darwin. Mi sono letta “Civiltà sepolte” mentre frequentavo ancora le elementari, mi cibavo di storie avventurose e romanzesche, tra le molteplici mie letture, sin dai miei primi passi come scolara.
La mia fantasia era fervida, i sogni ad occhi aperti si moltiplicavano accanto a quelli notturni più canonici. La passione per l’avventura e l’esplorazione, nata forse dalla lettura, aumentava giorno dopo giorno, ma soffrivo, nella vita reale, perché frenata dalla presenza di un nonno un po’ pachidermico, a mio giudizio, e inoltre troppo incline alle chiacchiere col vicinato. Era sempre lui che mi accompagnava, dovunque, a scuola, ai giardini, in passeggiata. E mi frenava, col suo passo di pensionato. Senza fretta. Ero in sua compagnia quando, stufa di aspettarlo, per la prima volta, a sei anni scappai dalla sua custodia e me ne tornai a casa da sola, attraversando ignara una strada piuttosto trafficata, per quanto possa esserlo una strada di paese.
Passano un paio d’anni e siamo in una analoga situazione. Il nonno mi accompagnava e mi riprendeva ancora da scuola. Sfuggii ancora una volta alla sua vista, correndo, perché il suo passo lento mi avrebbe procurato un ritardo a scuola. Ma il motivo, credo, non era solo quello. Sono convinta ci fosse un primo anelito alla libertà, un afflato di ribellione: avevo allora otto anni e i dieci minuti di percorso a piedi dei quali, in questo modo, mi conquistai il privilegio di percorrere da sola, erano per me 10 minuti di libertà incondizionata, di fantasticherie incontrollate, di mondi sconosciuti da esplorare e da fare miei e solo miei. Di contro, lo stesso percorso sulla via del ritorno, era invece lo spazio dell’amicizia, che condividevo con alcuni compagni di scuola: Lucia, Carlo ed Andrea che diventarono subito per me inseparabili: uno di loro diventò persino il mio piccolo grande amore delle elementari!
Come avrei potuto fare tutte queste esperienze con un nonno al seguito?
Il mondo era mio in quel tragitto, le mie due anime, quella curiosa e indipendente all’andata, quella sociale, ironica e perfino romantica al ritorno.
L’incanto finì, tuttavia, interrotto bruscamente dall’ennesimo trasloco di famiglia, sul finire della quinta elementare. Un brutto giorno di maggio, dalla città cosi viva e rumorosa, piena di sorprese e di amici, che avevo iniziato a frequentare da sola, fui catapultata in campagna, sola e senza alcun contatto col mondo, col mondo civile, almeno, quello che avevo appena iniziato ad assaggiare e che gradivo molto. Ero disperata.
Il babbo mi portava a scuola in macchina, una magra consolazione per una presenza peraltro abbastanza assente, poi mi riprendeva all’uscita. Tutto questo durò per circa un mese, fino alla fine della scuola, esame compreso. Niente più passeggiate da sola o con gli amici. E poi, i pomeriggi interminabili a casa con la mamma, arrabbiata forse quanto me, ed i fratellini piccoli ed insopportabili: una vera prigione, un abisso di solitudine. Odiavo la campagna quanto la amava mio padre. Mia madre la tollerava appena e forse anche per questo era sempre di cattivo umore, o almeno a me così sembrava.
Iniziai ben presto le esplorazioni dei dintorni, ma non mi davano le stesse soddisfazioni della città: campi e prati, un boschetto trasandato, case di ricchi chiuse e senza bambini in vista, strade vuote a parte la statale troppo pericolosa. Ero sola.
Fu solo dopo l’estate che uno spiraglio mi si palesò. La scuola media a cui ero stata iscritta era ad un paio di km di distanza da casa, troppi per coprirli a piedi con una cartella pesante, su una strada trafficata e pericolosa come la Bolognese, senza marciapiede. Fui quindi iniziata all’uso dell’autobus. Una facilitazione per mia madre, sempre affaccendata con i figli piccoli, che non avrebbe dovuto accompagnarmi in macchina. Ma soprattutto, per me, fu il miraggio di una libertà ritrovata, la possibilità di mettere ancora alla prova il mio spirito avventuroso e libero. L’autobus come un treno, una metafora per la libertà.
Erano solo tre fermate, ma dai finestrini potevo vedere colline, valli, immaginare fiumi, orizzonti, mondi … E poi, chissà, un domani avrei potuto finalmente raggiungere di nuovo la città, la mia amata città, con le sue piazze, i giardini pullulanti di bambini, ragazzi, amicizie da poter ritrovare, da poter fare.
È scritto bene, ma ci sarebbe voluto un finale un po’ più…
Grazie Leonardo per la lettura ed il commento, per quanto capisca che il racconto non ti è proprio piaciuto. Nessun problema, Se sono qui a confrontarmi con altri su un terreno alquanto impervio è anche, e soprattutto, per imparare. Effettivamente il finale forse è un po’ sbrigativo, i finali non sono la cosa che mi riesce meglio, d’altra parte volevo lasciare la storia in sospeso, un po’ all’immaginazione di chi legge. Che cosa potevo scrivere? Calata nella mente di una ragazzina in prima media, per giunta sognatrice, avrei dovuto dire che ciò che ho immaginato in realtà non è successo, o è successo abbastanza più tardi, quando dalla collina sono scesa per andare al liceo, Di fatto, un nuovo episodio.
P.S. avevo già notato che molti degli altri racconti, non solo quelli per i Corti, hanno una impostazione più cinematografica o comunque un finale a sorpresa. Belli. Anche dalla loro lettura ho imparato. Non era nello scopo, almeno niziale, del mio racconto. Ma ne farò tesoro.