Premio Racconti nella Rete 2021 “Le vecchie scale” di Michele Capitani
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Michele Lorenzini è in attesa: domani verranno, per farlo firmare.
Suo figlio gliel’ha detto: non c’è modo di pagare una badante per aiutarlo (oppure non ne vale la pena, Michele non ha capito molto bene) né ha modo di farsi trasferire in città per stargli più vicino, perciò si è accordato per una struttura che lo accoglierà volentieri: è stato rassicurato, si tratta di un grande appartamento dove vivono già degli anziani, insomma una casa vera, non un ospizio. Del resto, i volontari dell’associazione che se ne occupa sono passati più volte a trovare Michele, a conoscerlo, e convincerlo; gli sono sembrati persone carine.
Perché avrebbe dovuto dire di no? E dire di no a suo figlio?
Ma quando domani verranno a farlo firmare, per portarlo via, non firmerà.
Ha deciso.
Per qualche giorno ci aveva pensato, ma pensarci non è servito a nulla, perché è di notte, una notte all’improvviso, che ha capito quello che voleva fare.
Ha deciso che resterà a vivere in quella casetta, con la cucina cadente e una caldaia più vecchia di lui, quella casetta con un tappeto liso e gli infissi cigolanti, e scaffali con libri che non dicono più nulla a nessuno. Una casa abbastanza intristita, come lui, Michele, quell’ottantenne che si sente ormai muto e superfluo come quei libri dimenticati lassù.
Suo figlio non capirà, forse si arrabbierà, però a suo padre ormai non importa; ha capito anche questo: che non gli importa niente. Ma soprattutto ha deciso che continuerà a vivere da solo nonostante, da quando è restato vedovo, cioè da quindici anni, ogni notte se lo chieda: se mi sento male, chi se ne accorge? Chi mi soccorre? E puntuale, ogni sera, si risponde che è normale desiderare di andarsene nel sonno, ma subito dopo sopraggiunge il ricordo della sua Marina, che pregava per il contrario, per andarsene sapendolo, e potersi così congedare dai proprio cari; fu una preghiera che le venne esaudita.
E anche Michele a quel punto non sa più cosa pensare; pensa solo che, del resto, anche se fosse di giorno che si sentirà male, chi ci sarebbe ad accorgersene? Dunque ogni sera è così che si addormenta, con poche goccine nel bicchiere, e questi pochi pensieri.
*****
Abita in una palazzinetta di tre soli appartamenti: al rialzato sta un’altra vecchia, ottantenne anch’essa; al primo piano lui, il signor Michele, e al secondo una coppia (lei è figlia della signora da basso) con due gemelli di tre anni. La vecchia la incrocia di rado, quando la vede sistemare il pianerottolo o appoggiare fuori l’immondizia, mentre la madre coi bimbi più spesso, pur se non hanno mai parlato per più di cinque minuti.
Anzi, ora che ci pensa, altrove non li ha mai incontrati, a passeggio, o ai giardinetti, o in giro per la città. Raramente si sono ricongiunti giù al portone, rincasando, lui venendo da un capo della viuzza e loro dall’altra, con la madre sempre trafelata, con giacchettini e cento cose appese al passeggino o a lei stessa, e sempre con quel suo sguardo come a scusarsi per l’incomodo del loro ruzzare o della loro angelica impertinenza. Non si sono mai incontrati per via, o al mercato o a casa di qualcuno, ma anche lei magari penserà lo stesso di lui, che incontra solo lì, quasi sempre per le scale.
La donna sa che lui sente i due bimbi, perché la porta di casa di Michele è l’unica ancora in legno, un legno sottile dipinto all’antica; ecco perché spesso gli chiede un poco di sopportazione, senza che lui si sia mai lagnato di niente, e anzi a Michele dispiace che lei creda che gli diano fastidio, perché si diverte davvero ad avere quei monelletti fra i piedi, quando scende le scale, anche senza più la sua Marina che gli dia il braccio, e anche se a ogni gradino rischia di rovinare giù. Peccato solo che per le scale scenda oramai, gradualmente, sempre più a fatica, dunque sempre più di rado, mentre i due demonietti ci salgono e scendono.
Dei due gemellini, Laura è molto timida, mentre Alessio è estroverso, e ogni volta che vede Michele ha da mostrargli qualcosa: «Io ho la macchinina!», o sorridendo luminosamente sventola le stelle filanti che impugna e ha trascinate chissà da dove, una cometa allegra e sbrindellata, oppure comunica trionfante, col ditino nel naso: «Ho trovato una caccola!». Alessietto parla a Michele ma sempre a volume alto, è un po’ come volesse farsi sentire da altri cinquanta condòmini inesistenti, in quella minipalazzina, che si incontrino al portone, o in mezzo da Michele, o dabbasso dalla nonna.
Lauretta invece non parla mai, e quando il vecchio Michele e Alessio scambiano i loro buffi minidialoghi, lei resta sempre arretrata dietro al fratellino, o saldamente afferrata alla balaustra, ma sempre sorridente fissando quel vecchio che a quanto pare deve sembrarle simpatico. In verità, in qualche occasione Michele la sente, la voce della femminuccia: quando lui si congeda dopo essersi incrociati, per uscire dal portone o viceversa per rientrare in casa, lei o il fratellino, quasi a turno, gli domandano: «Dove vai?», al che a Michele, e a chiunque sia lì presente, viene immancabilmente da ridere.
Come viene da ridere quando lei esclama, vedendolo affacciarsi sul pianerottolo: «Ma è Michele!», e altre volte, quando il vecchio rincasa, la sente che lo dice quando si è già chiuso la porta alle spalle:
«Mamma, quello era Michele!»
Lui scherza coi genitori:
«Questa bimba mi fa venire le crisi di identità, ogni volta si sorprende che io sia io!»
Tutti sorridono, ma pochi passi fuori dal portone Michele pensa che Lauretta forse si meraviglia non che quel vecchio sia lui, ma che quel vecchio ancora ci sia… Be’, avrebbe ragione lei, forse ha intuìto che in realtà non è detto che lui si manifesti, ogni qualche giorno, sul pianerottolo, e non perché è vecchio ma perché ormai sa bene di avere un punto del suo corpo che cederà da un attimo all’altro, e sarà inutile ogni soccorso.
A lui viene da pensare che semplicemente un punto del suo corpo è più stanco di tutto il resto, dunque tra un minuto o sei mesi si fermerà; e non si dica che non ha avvertito, perché già l’anno scorso quella venuzza aveva ceduto, ecco perché suo figlio ora è sempre preoccupato. A Michele piace pensare che anche i suoi singoli organi cercano di essere rispettosi ed educati.
Altre volte, quando non vuole pensarci, considera che la piccola Laura resta sorpresa perché quel nome deve risultarle un poco misterioso, di un anziano solitario che vive proprio in mezzo alle case della famiglia, palesandosi solo ogni tanto, e più sentito che visto: lui s’immagina la mamma o la nonna che dicono «Non urlate ché disturbiamo Michele», o «Se incontrate il signor Michele salutate sempre, mi raccomando».
Una volta, quasi all’ora di cena, li ha sentiti che entravano nell’androne, riponevano le due nuove biciclettine, e chiedevano:
«Mamma, possiamo far sentire il campanello a Michele?»
«Sshh! Certo, ma non adesso che è tardi. Domani, va bene?»
I giorni appresso li avrebbe poi sentiti da sé, quei trilli, allegre note che ascendevano per le scale, l’unico suono al mondo che gli veniva più gradito rispetto alle voci dei due miniciclisti.
*****
Ecco perché un certo giorno Michele comprende che preferisce restare a vivere ancora lì, per quel che gliene resta: perché un pomeriggio rientrando nel portone trova Laura e Alessio seduti lì sul primo gradino; lui sorride, chiede loro permesso e li scavalca come può, e incamminandosi su per la rampa sente lei che gli chiede, come molte altre volte: «Dove vai?», ma quella volta, invece che un moto di divertimento sente un piccolo struggimento, una difficoltà a rispondere; cosicché le dice, senza voltarsi: «Vado a casa mia!», ma dentro di sé ancora sente risuonare l’interrogativo: «Già, dov’è che vado?…»
E quella stessa sera, molto tardi, a letto, sente che gli arrivano dei rumori da sopra, che come in un’illuminazione, nello scuro di quella notte, gli fanno capire che però non ne ha più fastidio. Perché lui aveva sempre mal tollerato i rumori dagli altri appartamenti, la musica poi neanche a parlarne. Strano dunque, che allo stesso tempo non gli dessero fastidio le due vocine su per le scale.
E invece stavolta anche quello gli appare gradito: un rumore di qualcosa che scorre, come delle ruote sul pavimento, magari uno dei due bimbi si è alzato all’insaputa dei genitori e si è messo a fare un gioco? O può darsi che abbiano uno sgabello con rotelle e loro lo spingono.
Michele non sa, sa solo che non era mai successo che un rumore a quell’ora non lo irritasse, lui che sempre fatica a pigliar sonno. Eppure stavolta si scopre a indovinare cosa potrebbe essere, e che gioco vanno facendo i due monelli, quasi come se giocasse anche lui, a indovinare fra sé e sé, nel buio.
E capisce di essere stato esaudito, forse la sua Marina da lassù gli ha illuminato quella notte, apparentemente eguale a tutte le altre notti da quindici anni in qua. Lo ha illuminato in tempo, preservandolo dalla nostalgia che avrebbe certamente provato nell’altra casa, nostalgia della macchinina che ruzzola per le scale, del sorriso scrutatore di Lauretta, e dello sguardo aggrottato di Alessio quando è tutto preso a scalare le scale con mani e piedi.
Ha deciso, Michele: morirà lì, forse da solo, ma udendo il trillo delle biciclettine nell’androne.
In questo racconto sei riuscito a rendere molto bene cosa prova un anziano che viene portato via dalla casa dove abita. Purtroppo a volte è inevitabile perché le persone anziane non riescono a gestirsi da sole. Ma resta una scelta difficile. Bravo e in bocca al lupo per la finale.